Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 20 Ottobre 2022

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Come un roveto ardente

Nel Vangelo di oggi Gesù fa ai suoi discepoli una confessione molto umana: e lo riconosciamo come uno di noi, come un fratello, travagliato interiormente. Confida ai discepoli la consapevolezza che ha del proprio compito che lo anima e quasi lo assilla e che desidera ardentemente compiere: portare il fuoco sulla terra. E, a causa di questo dono alla terra tutta, ciò che dovrà subire, sopportare: l’immersione nella morte, e ciò lo turba fino all’angoscia.

C’è una grande coerenza in Gesù: egli desidera ardentemente compiere ciò per cui è venuto, la sua vocazione. E questo compito lo narra nelle due forme radicali di ogni postura umana: ciò che sta a lui fare: “portare il fuoco sulla terra”; e ciò che deve sopportare, ovvero ciò che, proprio a causa di quel fuoco, deve subire: l’immersione nella morte violenta. Della prima ha un gran desiderio, della seconda una grande angustia.

Portare il fuoco dell’amore di Dio sulla terra, ossia diventare il roveto ardente dell’umile e appassionata presenza di Dio, fu per Gesù narrare con ogni umanità la misericordia infinita di Dio per tutte e tutti. Questa è la vocazione e la missione che Gesù ascoltò nelle Scritture e riconobbe per sé fin dall’inizio (cf. Lc 4,18-21): vivere a nostro favore lasciandosi guidare in tutto dallo Spirito di Dio che lo abitava (cf. Is 61,1-2). E così ci ha narrato l’infinito amore di Dio per le sue creature, la sua misericordia – per noi inconcepibile, tanto è inscalfibile, eterna e senza limiti – per suscitare in noi la fiducia di figlie e figli diletti, ognuno amato come fosse l’unico di Dio.

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Gesù è diventato il roveto ardente di Dio vivendo fino alla fine nell’amore per amici e nemici, vivendo a loro favore senza essere distratto dalla preoccupazione per la propria vita, per rivelarci che il fuoco dell’amore di Dio consuma solo se stesso, e mai le sue creature. Questo è ciò che lui ha tanto desiderato vivere, nonostante fosse il cammino in cui rischiava, come i profeti, la morte oltremodo ingiusta e violenta.

E anche nel modo in cui subì e sopportò l’ostilità fino al disprezzo e al rigetto si rivelò il roveto ardente, la compassione infuocata di Dio: rispondendo con mitezza a insulti e minacce, non cercando di salvare la propria vita a qualunque costo, ma accettando, per amore della verità dell’amore, che la sua vita venisse derisa, umiliata, minacciata, e infine, quando non c’era altra via per non contraddire l’amore, uccisa.

Ogni discepola e discepolo di Gesù è chiamato a fare di queste sue parole un’interrogazione quotidiana per sé, chiedendosi se trova in sé almeno un po’ di coerenza tra il suo desiderio e la vocazione alla fraternità cui il Vangelo chiama, se c’è urgenza nel suo desiderio di compierla, se essa ha il primato reale nella sua vita. E se è consapevole e disposto all’angustia cui la chiamata alla fraternità ci espone: a subire ostilità e rifiuto.

La presenza di Gesù infatti continua a suscitare divisione anche tra i vicini, e quando siamo almeno un po’ riconoscibili come suoi discepoli e discepole per l’amore che viviamo, anche noi siamo esposti all’inimicizia, ed è nel quotidiano della casa che ognuna/o si trova a vivere contemporaneamente il proprio desiderato compito e la propria temuta angustia.

sorella Maria

Per gentile concessione del Monastero di Bose

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