Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 3 Febbraio 2021

“Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?” (vv. 2-3). A una domanda perplessa e “stupita” (cf. v. 2) da parte della gente di Nazaret segue immediatamente la lettura cristologica che l’evangelista Marco fa di tale perplessità e delle sue conseguenze: “[Gesù] era per loro motivo di scandalo … E lì, [a Nazaret], non poteva compiere nessun prodigio … e si meravigliava della loro incredulità” (vv. 3.5-6). 

Scandalo e incredulità: ecco le due parole chiave, la cui interrelazione ci interroga e, speriamo, ci scomoda. Scandalo, ovvero inciampo, contraddizione. Lo scandalo dell’eccezionale nel familiare: “Non è costui il figlio e il fratello di gente che noi conosciamo?” (cf. v. 3). Quel compimento avviene “qui da noi” (v. 3), dicono i concittadini di Gesù, e questo non è credibile! L’orizzonte chiuso del familiare, la sclerosi dell’appartenenza a un gruppo ripiegato su se stesso possono diventare un ostacolo, un inciampo all’irrompere della novità di Dio. Quella di un Dio che irrompe sempre da un altrove.

Dio infatti ama far esplodere i confini angusti della familiarità e dilatare gli orizzonti chiusi da ogni riduzione alla propria casa, alla propria patria. Dio ha sempre amato innescare questa esplosione. Quante volte nella storia con Israele Dio ha scelto di varcare i confini dell’alleanza con il suo popolo… E Gesù quante volte ha mostrato questa stessa esplosiva eccedenza con gesti liberi e liberanti che spostavano più in là i confini di un’appartenenza chiusa su di sé e dunque mortifera…

Eppure qui Gesù non può che registrare una ristrettezza di sguardo e di cuore. Con umana meraviglia (cf. v. 6). “Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua” (v. 4). Gesù prende coscienza, e con questo aiuta altri – anche noi – a prendere coscienza di quanto una troppo ristretta e asfissiante familiarità “carnale” con lui sia di ostacolo al riconoscimento di lui come Signore. Paradossalmente, familiarità può far rima con incredulità. 

E con questo il vangelo di oggi suggerisce – anche a noi – di guardarci da una riduzione della fede in Gesù a un umanesimo troppo umano, troppo orizzontale, troppo carnale. L’accesso al mistero della rivelazione di Dio nell’uomo Gesù di Nazaret ci chiede uno spogliamento, una morte del nostro “io” e dei suoi occhi carnali. Per riconoscere in Gesù di Nazaret “il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16,16), anche noi – come Pietro – dobbiamo svuotarci per permettere al Padre di operare in noi il prodigio della fede. Quel prodigio che neanche Gesù può operare a causa della nostra incredulità. Lavoriamo dunque per fare spazio in noi a questa azione della grazia, nella speranza di poter divenire destinatari della stessa beatitudine offerta a Pietro: “Beato sei tu … perché né carne né sangue ti hanno rivelato” il mistero di Cristo, “ma il Padre … che è nei cieli” (Mt 16,17).

fratel Matteo


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