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p. Gaetano Piccolo S.I. – Commento al Vangelo di domenica 5 Maggio 2024

Domenica 5 Maggio 2024
Commento al brano del Vangelo di: Gv 15, 9-17

L’impegno delle parole

Le parole che diciamo sono importanti. Sebbene usiamo con superficialità le parole, esse sono in realtà sempre un impegno. Quello che ci diciamo rappresenta uno spazio, mette dei confini, è il terreno su cui ci verifichiamo. Le parole aspettano di essere rese vere dai fatti. Una parola che non si compie, è una parola disattesa, è una delusione, è un impegno mancato, dice che siamo stati poco attenti o forse dice addirittura che non abbiamo amato.

Criteri di verifica

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Credo vada compreso così il termine che traduciamo come ‘comandamento’: sono parole che impegnano, parole che ci fanno capire quali sono i confini della relazione con Dio, sono i criteri per verificare se siamo ancora in quella relazione o se ce ne siamo andati. Ascoltare quelle parole, cioè viverle, è infatti la fonte della gioia.

Gesù ci invita a vivere quelle parole, non perché siamo schiavi dei suoi ordini, ma perché solo vivendo quelle parole ritroviamo la pienezza di noi stessi, ci realizziamo. È vero, siamo spesso distratti da altre parole, altre promesse, ma poi ci accorgiamo di come siamo stati ingannati, delusi, ci ritroviamo vuoti e tristi. Per questo dobbiamo fare attenzione e discernere le parole che ascoltiamo.

La misura dell’amore

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La parola che per Gesù è più importante non riguarda lui, ma le relazioni tra noi, riguarda l’appello ad amarci tra noi. Per fortuna Gesù aggiunge però un come: «amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato». Quel come è fondamentale perché altrimenti rischieremmo di misurarci l’amore l’uno con l’altro. Se il criterio dell’amore fosse il modo in cui l’altro mi ha amato, potrei giocare al ribasso o tendere al più alla competizione. Il criterio proposto da Gesù è invece esterno, è lui stesso, il criterio è il suo modo di amare.

Non importa come mi stia amando l’altro, se tanto o poco, ciò che conta è tener presente come mi ha amato Gesù, cioè senza misura: «li amò fino alla fine». Gesù è il buon pastore che dà la vita per le pecore. Gesù è colui che, per svegliare l’amico, è disposto a farsi uccidere. È un comandamento certamente nuovo, proprio perché noi siamo abituati a misurare l’amore, siamo abituati a preservarci e a non perdere. Ma nelle parole di Gesù questa logica è completamente distrutta.

Si può provare ad amare così solo se noi stessi abbiamo sperimentato l’amore di Gesù. Se non lo abbiamo vissuto, non possiamo neanche capirlo e non avremo nessuna esperienza o nessun criterio per amare come egli ci ha amato, continueremo a essere mercanti o commercialisti dell’amore, che si fanno i conti per cercare di non perdere.

Essere amici

Non si tratta di stare semplicemente nella relazione con Gesù, ma di starci da amici e non da servi. Questa differenza che Gesù stesso ci indica è fondamentale per prendere consapevolezza del modo in cui stiamo vivendo la relazione con lui, ma anche tutte le altre relazioni significative della nostra vita.

L’amico è colui che sta nella relazione in maniera gratuita. «L’amicizia», dice C.S. Lewis, «nasce quando fiorisce questa domanda: come, anche tu? Pensavo di essere il solo!». L’amico non ha turni di lavoro, non guarda l’orologio per vedere se è finalmente il momento di andare via. L’amico gioisce al vedere l’amico, non si preoccupa del tempo che adesso l’altro gli porterà via. L’amico non giudica, ma è capace di vedere nell’abisso del nostro cuore e di rimanerci ugualmente vicino. L’amico non ci sta accanto per interesse e non fugge quando si profila la sconfitta.

Vivere da servi

Al contrario stare in una relazione da servo vuol dire essere animato da sentimenti di paura e di insofferenza. Il servo ha paura di essere licenziato e di essere punito. Il servo vive la presenza del padrone come un peso, non vede l’ora di andarsene, fa quello che si deve fare sperando di finire presto. Il servo si accontenta: forse rimane nella relazione perché teme di non trovare di meglio, è convinto che quello sia l’unico modo in cui lui ha diritto di essere voluto bene. Il servo si convince che in fondo non c’è nulla di male ad avere un padrone. Il servo è uno che non ha una grande stima d sé e si lascia usare come se gli altri ne avessero diritto. A volte, purtroppo, possiamo vivere da servi anche la relazione con Dio.

Quello che annunciamo

Il Signore invece ci ha scelti, non si è accontentato di noi. Ci ha scelti per amore, ci ha scelti perché vuole donarci la pienezza di una relazione sana. Questa esperienza è fondamentale per portare l’annuncio del Vangelo. Se non ci siamo accorti di essere amati così da Dio, non avremo molto da annunciare. Portare il Vangelo significa testimoniare con la vita che è possibile amare così, gratuitamente, senza farsi i conti.

Leggersi dentro

  • Mi sembra di vivere le mie relazioni da amico o da servo?
  • Qual è il mio modo di amare?

Per gentile concessione di P. Gaetano Piccolo S.I.
Fonte

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