don Marco Pozza – Commento al Vangelo di domenica 16 Ottobre 2022

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“Non si riuscirà mai perdere la fede”

Lo preghiamo Dio: certo che lo preghiamo! Preghiamo pure Cristo con sua Madre, la Madonna benedetta. Pure i santi preghiamo: che la loro intercessione riesca a scomodare Cristo a ricordarsi di noi. Delle nostre suppliche e richieste. Che, in poche parole, esaudisca al più presto il nostro desiderio che ci ha spinto a tirarlo in ballo.

Fossimo sinceri, dovremmo ammettere, spuntando la lista della spesa, che qualche volta – una, due, massimo tre nell’arco di una vita intera! – preghiamo Dio quando siam dentro qualche guaio, oppure quando il portafoglio si sta svuotando e si vorrebbe qualche soldo in più. Qualora fossimo interrogati, poi, prenderemmo a prestito questi momenti come giustificazione della nostra fede quando, con la massima onestà, son solo sprazzi di speranza terrena di un bel colpo di fortuna.

Un Dio a disposizione nostra, ad (ab)uso e consumo delle nostre vogliuzze: una sorta di santo-patrono che, nell’emergenza, riesca a farci evitare una cantonata con una soluzione su misura. Qualora non si avverasse, poi, la colpa è sua: “L’ho pregato quando avevo bisogno e non mi ha risposto”.

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Cristo, da parte sua, non è tenuto ad esaudire le nostre richieste: il suo compito è mantenere fede alle sue promesse. Che, sovente, si discostano dalle nostre esigenze. Pregare, dunque, più che chiedere la grazia che si avverino le nostre pretese, i nostri capricci, è chiedere la grazia di saper accorgersi che ciò che Dio custodisce nel cuore per noi è infinitamente migliore di ciò che noi siam capaci di chiedergli.

È come entrare in una stanza con il nostro progetto bello e fatto perché Dio ce lo firmi e uscire con in mano il suo progetto, invece: per poi accorgersi che il nostro, a confronto, era poco più che uno scarabocchio. Non ci è forse mai capitato di chiedere qualcosa a Dio, di vedercelo non esaudito e poi accorgerci che, lentamente, si stava aprendo una strada inimmaginabile per noi che ci è parsa infinitamente migliore di quella che avevamo in mente?

Dicono alcuni che solo a questo serva il cristianesimo: rendere un po’ più sopportabile la fatica di vivere. Fosse anche solo questo, comunque meglio poco di niente. Il fatto è che più che alla resistenza il Vangelo invita all’insistenza. Resistere è impegnarsi a più non posso per arrestar un qualcosa che ci opprime, insistere è credere di potere un giorno trovare un senso alla fatica che si compie: «Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai».

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Insegnò loro ad insistere con Lui, senza diventare per forza pesanti: è un’arte per pochi, questa. Fu l’arte vincente di quella vedova che, al tempo di Gesù, si vide fare giustizia da un giudice disonesto non perché difesa da un celebre avvocato ma per la sua insistenza: «Le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi».

Se insisti e resisti – scriveva Trilussa – raggiungi e conquisti. Da che cosa cerchi, da come lo cerchi, insomma, sovente si riesce a misurare anche la grandezza di un’anima. Dio, almeno, ne è capace.

Anche Cristoddìo, spesse volte, insiste. Insiste quando noi, addirittura, Gli chiediamo di lasciarci stare, di non voler più aver a che fare con Lui. “Chi ti vuol bene – pare dica a qualche anima indispettita dai suoi sgarbi – sa quand’è l’ora di insistere anche se tu gli hai urlato di lasciarti in pace d’ora in avanti”. Di volerti bene senza, per forza, incatenarti. Solo un dubbio tormenta il Dio cristiano: «Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».

Che trovi la fede è il minimo sindacale: Bernanos c’insegnò che non si può perdere la fede. Potrà dunque dormire sonni tranquilli su questo fronte. Il massimo possibile, all’uomo, è che la fede cessi di plasmare la sua vita. Che diventi un peso inutile, al pari di quei regali che continuiamo a spostare di stanza in stanza perchè, alla fine, ci sentiremmo in colpa d’averli buttati. Non sappiamo che farcene, però. Renderla inutile, anestetizzandola, è il rischio possibile. Averla avuta in dono e non averla saputa cogliere, questa sì è la grande preoccupazione che impensierisce Dio.

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