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don Alessandro Dehò – Commento al Vangelo del 28 Gennaio 2024

Commento al brano del Vangelo di: Mc 1, 21-28

“Cosa vuoi da noi Gesù Nazareno?” un grido lanciato a frantumare lo stupore che stava incantando i fedeli della sinagoga. Non basta l’incanto per credere, l’incantesimo svanisce, si lascia sempre ammansire dalle abitudini. Un grido lacerante contro questo Cristo che, invadendo la sinagoga, stava minacciando ciascuno di noi lì presenti, stava muovendo guerra, ci stava conquistando.

Dovevamo svegliarci, dovevo scuoterli da quel torpore, se lo fai entrare davvero questo Nazareno è pericoloso, perché vuole qualcosa da noi, anzi, io lo sentivo, pretende noi, tutto di noi. È un rapace, non si ferma, se lo lasci entrare, se lo lasci entrare davvero, non risparmia niente, si nutre di ogni cosa, abita le gioie e i fallimenti, abita qualsiasi istante, lasciarlo entrare è farsi possedere da lui, vivere posseduti, dovevo gridare per avvertirli del pericolo. (E ancora lo grido, adesso che dopo essere stato liberato, ma solo per un istante, sono stato incatenato nuovamente e definitivamente, ma a Lui).

Entrava in sinagoga quel giorno ed ogni sua parola era come fosse forgiata di nuovo, come se fosse viva, come se ogni suono proveniente dalle sue labbra fosse irrorato di sangue, come fosse fatto di nervi e di carne, come se ti guardasse, come se fossero parole con gli occhi di Dio dentro, come se fosse lo stesso Dio a parlare, come in Genesi, quando il creatore si divertiva a disegnare la concretezza delle cose. L’autorità del Nazareno era evidente, prima di lui le cose semplicemente non erano. Lui le partoriva vive davanti a noi. I discepoli che erano con lui lo guardavano con sguardo adorante, quei giovani pescatori, ne erano l’esempio, erano già posseduti dal suo carisma.

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Adesso che sono stato liberato dalla vecchia possessione posso dire con sicurezza che il Suo Amore è molto più pericoloso di qualsiasi demone. Che è una possessione totale, che non è vero che vuole qualcosa da noi, lui vuole noi, vuole te, ti vuole possedere. Lo stupore dei vecchi che lo ascoltavano era ingenuo, sarebbe svanito di lì a poco, io, solo io, potevo capire davvero dove stesse andando il Cristo, io che ero posseduto, io che ero in mano a una passione altra, io che pativo, io che mi ero già consegnato a qualcuno, io che conoscevo la forza dei legami, io e solo io potevo sentire tra le pieghe delle parole di quell’uomo che il suo Amore era forte come la Morte, che lui, una volta presi, non ci avrebbe lasciati mai. La sua autorità era terribile, perché sapeva di eterno. Un’eterna possessione.

“Sei venuto a rovinarci?” lui lo sapeva che avevo ragione, Lui mia dolce eterna rovina. Lo dico anche oggi, lo dico con una consapevolezza ancora maggiore: lui ci rovina! Viene a scuoterci dal torpore e pretende da noi una vita difficile, totalizzante, pretende il martirio, pretende che si divenga tutti come lui. Lui è la rovina di ogni nostra forma di tranquillità, di ogni buon senso, di ogni leggerezza. Lui affonda gli artigli nelle pareti del cuore e lo infetta di sogni troppo grandi, ci costringe a crocifiggere il nostro ego in nome di un Padre che solo lui sente così intimo. Lui ci rovina, se lo lasci entrare ci costringe a non accontentarci più di ciò che siamo.

“Io so chi tu sei: il santo di Dio!”. Io lo sapevo, io che prevedevo il disastro, io che sentivo il dramma, io che avevo il cuore posseduto, io lo sapevo. Non i saggi della sinagoga, non i teologi che tutto razionalizzano, non i predicatori della felicità e del benessere, non loro, io lo sapevo, io che avevo il cuore posseduto, io che soffrivo per amore, che cercavo libertà, io che ho sempre avuto il bisogno di consegnarmi a qualcuno, di essere di qualcuno, io sapevo che solo Dio mi avrebbe potuto salvare, ma in cambio di una possessione ancora più radicale. Così gridai il suo nome, gridai la sua provenienza, svelai Dio, lo costrinsi a palesarsi, volevo citarlo in giudizio, perché lo sapessero tutti, anche quegli occhi stupiti, imparassero da subito che appartenere a Dio significa trafiggersi d’amore per il creato. Significa morire d’amore, senza sconti, senza cercare scorciatoie, senza trattenere nulla. Io so chi tu sei, questo gridai, e anche adesso lo so, lo so sempre di più, perché tu sei in me, adesso che mi possiedi, adesso che non mi lasci più andare, adesso che Dio danza tra le mie misere carni di amante posseduto, io so chi tu sei, tu sei la mia dolcissima ossessione.

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“Taci, esci da lui!”. Così mi sentii in sua balia. Non è stato un esorcismo, è stata una conquista. La sua parola, ci avrei giurato, aveva scardinato le mie difese, crollate le mura, un vuoto dentro che ci sarei morto, mi ci sarei ucciso in quella voragine. Durò poco, mi avrebbe riempito.

Io non so se funziona così con tutti, se la fede, quella vera, sia sempre così drammatica. Di certo credere non è una decisione mentale, conosco gente che da anni si sta chiedendo se sia razionale credere, e rimane, magari stupito, ad ascoltare chi nella sinagoga risveglia, almeno per un po’, un minimo di interesse. Ma non tace mai. Non si lascia conquistare. E così non cede, non crede.

Non è stato un esorcismo, io ho sentito in me come l’arrivo di una lettera infuocata d’amore, e tacere fu un ordine inevitabile, anche adesso me lo dico, anche adesso quando in me la tentazione di bastare a me stesso mi assale, taci, dico alle difese che quotidianamente costruisco, taci, alle mie parure, taci alle consolanti teorie di chi si spaccia per sapiente, taci, lascia solo rimbombare il Verbo di Dio. Lasciati possedere, costi quel che costi. Taci, solo questo mi dico ogni mattina. Taci e impara dagli alberi muti, dalla silenziosa leggerezza delle nuvole, taci e diventa vento tra le Sue dita, taci e lascia che la vita accada, taci e non aver paura di lasciarti portare via. Io non so se per tutti è così ma la fede, per me, è un rapimento continuo, ostaggio di Colui che un giorno ha invaso il mio cuore scacciando tutto ciò che non era Lui.

“E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui” perché essere posseduti da Cristo strazia la nostra ragione che si accontenterebbe di molto meno, grida la paura che sia troppo difficile seguirlo, oppone violenta resistenza. Perché io continuo a sapere chi è Lui, colui che non ci lascia in pace, colui che si crocifigge a me, colui che fa a pezzi per sempre anche l’idea di un Dio comodo e facile. Io, straziato, gli grido ancora che libero da me ora sono solo suo, fino al Calvario, e oltre, da quando mi sono lasciato possedere da questa sua eterna ossessione di me.

Per gentile concessione dell’autore don Alessandro Dehòpagina Facebook

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