HomeVangelo della Domenicadon Alessandro Dehò - Commento al Vangelo del 17 Dicembre 2023

don Alessandro Dehò – Commento al Vangelo del 17 Dicembre 2023

Commento al brano del Vangelo di: âśť Gv 1,6-8.19-28

Venne un uomo mandato da Dio, forse a ricordarci che ogni cosa è mandata da Dio e a Dio rimanda, che ogni aspetto del reale non è altro che l’enigma che porta scolpito in cuore il desiderio di un amante. Che siamo lettere sospese di una sterminata lettera d’amore.

Che siamo stati gettati nel mondo solo per il gusto dolce di decidere il coraggio di farci amare. Così bisogna infrangere la durezza, scalfire il seme, forzare il nocciolo del frutto per incidere poesie al suo interno. Forse bisogna aprirla come un forziere questa vita o come una mano bisognosa, sprofondando nelle cose, alla ricerca del volto del Desiderio.

Inciso in miniatura sul lato fragile dell’esistente, inciso a caratteri antichi, risplende il suo nome.

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Venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché la luce, da sola, non basta. Perché qualcuno deve sempre ripeterci che non è scontato il monte, il mare, la nebbia, il respiro. Qualcuno deve ricordarci, testimone innamorato, che se qualcuno ci avesse descritto il reale con i suoi vulcani e le stelle e la terra e il fuoco e l’acqua e la nascita di un bambino e il mistero della solitudine e la malinconia che ci stringe il cuore, se qualcuno ci avesse descritto l’Universo senza che noi potessimo vederlo, non gli avremmo creduto mai, atei per troppa bellezza e scarsità di immaginazione. Così serve un testimone per questa luce che per eccesso rischia di non muovere in noi la risposta più dolce e sicura, quella della fede.

Io credo nell’Infinito perché ogni giorno mi commuovo del finito. Io credo nell’Eterno perché ancora non mi capacito della poesia luminosa delle ombre. Io credo nell’Invisibile perché ubriacato di stupore dalla maestosità di un sasso.

Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. No, non siamo noi la luce. Noi la cerchiamo, la beviamo, la staniamo, la sospiriamo, ma non siamo noi la luce. E questo rende lieve il cuore. Io non sono, questo dico ogni giorno, senza fine, io non sono così rimango in attesa dell’Essere, io non sono così mi libero dal dover dimostrare di essere all’altezza, io non sono così da fare i conti in ogni istante con la mancanza, con la distanza, con la nostalgia di Te. Io non sono e non so piĂą nemmeno quel che avrei voluto diventare. Io non sono perchĂ© tu sia, vivente in me, mio respiro, mia luce. Io non sono per provare a farti venire alla luce in me, io non sono che un povero mendicante d’amore, testimone della tua misericordia.

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Tu chi sei? (…) Cosa dici di te stesso? Che non sono il Cristo, che non sono un profeta, che se lui è Parola io sono solo voce, ma anche che a quella voce ogni giorno mi aggrappo per provare a essere all’altezza della fede che canta anche in lei, nonostante me.

Forse credere è tentare di convertirsi alla propria voce abitata dalla Sua Parola.

Io posso dire di me stesso che senza quella voce non riuscirei a credere nemmeno di essere vivo, che senza quella voce muto sarebbe l’universo, muto il mio cuore, vuoto perfino l’amore. Io sono solo una voce nel deserto delle mie paure, e che l’onore di dover parlare sempre di Lui, ma anche il peso di non potermi mai sottrarre alla testimonianza, mi condanna a rincorrere sempre ciò che dico.

Chi sono io? Uno che si è trovato inchiodato a una Parola che chiede tutto, una Parola che si prende gioco del male che mi abita, una Parola che si svuota e si accontenta della mia voce (e mi sembra ancora incredibile). Io condannato come tanti a una Parola importuna, che non lascia in pace. E in questo canto, ogni giorno, tutto il resto attorno a me mi sembra sempre più deserto.

Io battezzo nell’acqua. Nei diluvi posso giurare di aver visto resistere zattere se non proprio arche, davanti ai mari chiusi conosco chi ha intuito sentieri di liberazione, mi è capitato di vedere acqua scaturita dalla roccia a forza di preghiere, e piovere finalmente su vite apparentemente condannate a definitive siccità. Ho visto l’acqua della disperazione tramutata in vino e purtroppo anche vino ridotto ad acqua per mancanza di fede.

Ho visto gente ricominciare e ricominciare ancora in un eterno battesimo. Ma più di questo non posso. Battezzare nello Spirito, immergere in Dio, trasfigurare l’esistenza questo è solo Lui che può. Io che non sono battezzo in acqua per dire in un gesto la mia inadeguatezza, per dire che non posso. Io che battezzo in acqua sto sul confine del possibile per provare a farmi finalmente raccogliere, per diventare luce in Lui. Io sono solo voce in attesa di Parola. Vivo per la Sua testimonianza.

Per gentile concessione dell’autore don Alessandro Dehòpagina Facebook

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