Un aspetto fondamentale della spiritualità cristiana è questo: è proprio di Dio dare gioia. Come è proprio del fuoco bruciare, dell’acqua è bagnare, è proprio di Dio dare gioia. È una cosa dimenticata dai cristiani perché noi conosciamo spesso il dovere, conosciamo spesso tanti impegni giusti, ma conoscere la gioia è conoscere Dio.
È una gioia che sa resistere alle difficoltà perché è proprio del nemico toglierci la gioia in tutti i modi; basta una contrarietà , basta subire una ingiustizia. Il male, il peccato e i miei limiti ci sono. Dio tuttavia mi dà gioia. Perché il mio male è il luogo del perdono, la mia miseria è quello della misericordia, il mio limite è il luogo della comunione, ed è la forza di questa gioia che fa sì che questa nostra vita umana diventi divina.
Se io invece guardo sempre i miei limiti, allora mi abbatto, mi avvilisco, e di vita cristiana non se ne può parlare, se non come di un impegno moralistico che è negazione del Vangelo. La forza stessa del Vangelo è questa gioia che è il segno della presenza di Dio. Ed è quello che leggiamo oggi con i termini del mangiare, delle nozze, del vestito nuovo, del vino nuovo, degli otri nuovi. La più grande ascesi spirituale è cacciare via i pensieri tristi e vivere degli altri.
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I discepoli di Giovanni e i farisei digiunano, i discepoli di Gesù sono mangioni e beoni come lo stesso Gesù. I farisei, sono persone brave e oneste, attaccate alla Parola di Dio, alla legge codificata nel passato. Quindi per loro la vita è il passato, è l’osservanza di quella legge. Essi non vivono il presente, osservano quella legge, osservano ciò che è passato.
I discepoli di Giovanni invece sono in un’altra forma di religiosità , tutta rivolta verso il futuro. La vita sarà quella futura, adesso dobbiamo aspettare. Quindi nel presente cosa si fa? Digiuniamo. Digiunare vuol dire morire, vuol dire non vivere. Mangiare è la vita. Invece i discepoli di Gesù mangiano. Per loro Dio è colui che è qui, ora, con noi. Tutti i Suoi doni sono Sua presenza e quindi li viviamo come eucaristia, come ringraziamento.
Quindi la vita cristiana è vita vissuta alla presenza di Dio. Qui e ora mangio e vivo. C’è questo duplice rischio nel vivere l’esperienza religiosa: cioè il rischio di essere ancorati al passato, che è una forma di alienazione che lega la tradizione, e blocca. Il rischio opposto è quello di una fuga nel futuro: è l’alienazione che manda gli occhi così avanti, per vedere il Signore, che non vede nel presente.
Invece il dono della fede è puntare gli occhi sul presente, per l’esperienza di Dio che è qui presente. Dio è colui che è, è l’eterno presente; l’esperienza di fede urge sul presente, valorizza il presente. E ci riempie di gioia e felicità .
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Per riflettere
Il digiuno, che il vangelo paragona all’attesa dello sposo, ci prepari a testimoniare più concretamente la fede e l’amore.
FONTE: Ascolta e Medita – Centro Pastorale per l’Evangelizzazione e la Catechesi