Commento al Vangelo del 8 Luglio 2018 – p. Silvano Fausti

In questo brano tocchiamo l’unicità della fede cristiana; la fede cristiana non è una dottrina, non è un’illuminazione, non è una morale, non è un’etica, non è una legge, non è una norma, non è un costume, non è una cultura; la fede cristiana esattamente riguarda la carne, il corpo, lo scandalo del cristianesimo è che Dio è “corpo”. Protagonista del Vangelo è il “corpo di Gesù dato per noi” e l’ultimo miracolo di Gesù nella sinagoga a Cafarnao è la guarigione della mano; la mano serve per toccare.

E abbiamo visto che la fede è toccare questo corpo, ma si può anche schiacciare, questo corpo; e il valore della corporeità è disprezzato, ma la prima eresia cristiana è dire che Gesù è Dio, ed il corpo non conta: l’importante è che lui è Dio. Invece non è vero che Gesù è Dio, mi spiego per chi lo sentisse per la prima volta. Gesù è il soggetto, il soggetto è ciò che non si conosce, Dio lo conosciamo bene, quindi applichiamo a Gesù, facciamo di Gesù l’attaccapanni di tutte le nostre idee, ideologie su Dio: questa si chiama idolatria.

E normalmente fanno così anche i cristiani.

Mentre è vero il contrario: Dio, nessuno l’ha mai visto, quel che lo rivela è la carne di Gesù, l’uomo Gesù: la sua umanità. Quel Dio che nessuno ha mai visto, ci si è rivelato, per la prima volta, in quest’Uomo, sulla croce; in questo corpo che è “dato per tutti”, dove il corpo stesso è puro dono, all’altro, quindi è puro martirio, testimonianza assoluta di amore.

Mentre noi vogliamo essere come quel Dio che pensava Adamo, e da qui nasce tutto il male del mondo, perché cerchiamo di imitare il Dio potente, che giudica, condanna, sta sopra la testa degli altri, il nostro Dio è in tutto uguale a noi; essendo uguale a noi ha dovuto scegliere di essere una persona, ma in quella persona ha toccato tutto il mondo perché è una persona come tutti e Gesù si è sempre chiamato soltanto il “Figlio dell’uomo”.

Il “Figlio dell’uomo”, perché se tu prendi un uomo e gli togli tutto quello che ha d’intelligenza, di bontà, di bellezza, di ricchezza, ecc.. chi è? È un figlio di uomo.

Quindi comune a tutti gli uomini. E Lui ha assunto la nostra umanità nel suo aspetto più comune e più nostro; la carne è limite, è materia: l’ha assunta totalmente e ha fatto del limite e della materia il luogo della comunione e del dono.

Molti cristiani in realtà non sono cristiani, ma sono docetisti, la prima eresia, cioè è un’apparenza il corpo, importante che lui è Dio, lo so anch’io, era Dio poteva far tutto; no, no, è il suo corpo che rivela Dio, non le altre cose: le altre cose sono le nostre idolatrie proiettate su di lui.

Quindi vedremo questo aspetto che è fondamentale ed è lo scandalo. “Caro salutis cardo”, dicevano gli antichi, caro è la carne, che è il cardine della salvezza, perché se non avesse assunto la nostra carne, la nostra carne non avrebbe valore, siccome noi siamo carne, siamo corpo, il corpo non ha valore. Invece è nel corpo che tutto viviamo.

Va bene, allora vediamo questo testo.

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XIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO B

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Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria.

Dal Vangelo secondo Marco
Mc 6,1-6

In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono.

Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità.
Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.

Parola del Signore

Fonte: LaSacraBibbia.net

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Prima di commentare il brano, il contesto immediato: vi è il discorso sulla fede che è toccare, ma prima della fede c’erano le parabole, la Parola che spiega il mistero del seme che cade sotto terra e muore e così produce frutto e, prima delle parabole, c’erano i suoi, i familiari di Gesù che erano andati per prenderlo, perché dicevano: “É buono, quest’uomo, Gesù, lo conosciamo bene, però è matto; lo curiamo un po’ in modo che taccia e non dica parole strane e poi, coi prodigi che sa fare, ci risolve tutti i problemi; però bisogna portarlo a casa, perché non dice cose giuste”. È già prospettato il rifiuto dei suoi e qui lo rifiuta tutto il paese e dietro il rifiuto dei suoi è profilato sia il rifiuto del suo popolo, Israele, sia di quei suoi che sono i suoi discepoli, sia di quei suoi che siamo noi,  che sempre ci troviamo davanti a questo scandalo, che si racconta  in questo testo, dove non si mette in discussione quel che lui fa, e quel che lui dice “è mirabile, è da Dio”, ma “come mai è quest’uomo?”.

E allora vediamo i primi due versetti, anzi il primo e la prima parte del secondo:

1E uscì di lì e giunge nella sua patria, e lo seguono i suoi discepoli. 2E, venuto il sabato, cominciò a insegnare nella sinagoga;

Questo capitolo muove da questa indicazione di Gesù, che esce di lì, quel “lì” indica la casa di Giairo, dove Gesù ha fatto risorgere la figlia del capo-sinagoga, è come se venisse un po’ sottolineato il legame con il brano precedente, non è solamente un’indicazione logistica, ma è quasi un invito a tener presente quanto verrà adesso narrato con quello che ci ha appena  raccontato, con quello che è avvenuto nella casa di Giairo e anche nell’incontro con l’emorroissa.

Ed esce di lì, e giunge nella sua patria. Questo è da dove parte Gesù, dalla casa di Giairo e dove arriva, Gesù. Gesù arriva nella sua patria, arriva a Nazareth, cioè arriva nel luogo dove ha vissuto trent’anni, la sua vita. Allora in un certo senso, uno può anche chiedersi come Gesù torna nel luogo dove è stato, dove è cresciuto, dove ha coltivato le sue relazioni, dove è conosciuto e dove conosce. Allora questo fatto di Gesù che torna lì è già un fatto ricco di per sé, chissà con quale spirito arriva lui, chissà con quale spirito sarà accolto nella sua patria.

E arriva con i suoi discepoli: lo seguono i suoi discepoli, quei discepoli, anche nel capitolo terzo erano stati indicati da Gesù come, di fatto, la sua nuova famiglia “chi è mia madre, chi sono i miei fratelli” di fronte a tutti i suoi che lo chiamavano da fuori, dice: “questi! Questi che ascoltano”, come dire che Gesù torna nella sua patria, di fatto, con una “sua famiglia”, nuova, che è costituita da questi discepoli e che, in un certo senso, potrebbe allargarsi ai suoi compaesani, non è che sono in alternativa, la possibilità è offerta a tutti, così com’è stata per i discepoli sarà offerta anche ai suoi compaesani di Nazareth.

Adesso proviamo a ritradurre questo, noi più o meno siamo cristiani, siamo suoi compaesani, lo conosciamo io da più di trent’anni, anche voi, chi ha più di trent’anni Lo conosce da più di trent’anni, se venisse qui, cosa diremmo? Probabilmente lo manderemmo via. Già state leggendo il Vangelo, cose serie. il problema non è conoscerlo, è riconoscerlo. Il vangelo è stato scritto perché lo conoscessimo, in modo tale che quando torna, lo riconosciamo.

Lo riconosceremo quando riconosceremo in ogni uomo il “Figlio dell’uomo”. E adesso vediamo lo scandalo perché qui si ritrovano questo, che hanno sempre conosciuto, in un paese che non è un grande, quanti saranno? Erano 2/300 persone, o meno, quindi si conoscono tutti bene.

Voi pensate: aver conosciuto per trent’anni Dio che era lì con te che lavorava, che giocava, che scherzava, dice: “no, impossibile!”. Che viveva da normale, imparava, andava a scuola, andava alla sinagoga, ha imparato a conoscere la Parola di Dio, assimilarla, a identificarsi, a viverla, ha imparato a balbettare prima con sua mamma, tutte queste cose semplici.

È interessante come alcuni vedono anche in alcune parabole, per esempio la donna del levito, come dire: avrà visto sua madre, avrà visto delle signore, anche per poi parlare del Regno, utilizzerà le cose comuni, di ogni giorno, anche nel linguaggio.

Gesù arriva a Nazareth e poi si dice che: “venuto il sabato” richiama già un sabato precedente, in cui, all’inizio del capitolo III,  ha operato una guarigione dell’uomo dalla mano inaridita e hanno deciso di ucciderlo, ma anche questo fatto “venuto il sabato”, certo, si sta aspettando il sabato, perché il sabato è il giorno in cui ci si reca nella sinagoga, ma dice anche, dalla parte di Gesù, questo fatto: non è uno che è preso dalla fretta, attende che arrivi quel giorno, “venuto il sabato”. Sa attendere il giorno giusto e comincia a insegnare nella sinagoga; come diceva Silvano, questo ambiente in cui è nato, la sinagoga, che lui ha frequentato, lì, arriva – la sua parrocchia, dove andava a “catechismo”, e quante cose gli hanno insegnato!– e non si dice nemmeno qui, come in altri luoghi, che cosa dicesse Gesù, ma, di fatto, coincide la sua persona con l’insegnamento, che avviene adesso nella sua sinagoga, dove lui è cresciuto e perciò la sottolineatura che faceva Silvano di dire: “Se Gesù entrasse adesso”, perché nazaretani lo siamo un po’ tutti, abbiamo una certa frequentazione, per lo meno, con Gesù, almeno per quello che conosciamo di Gesù, il rischio è, appunto, di “sapere già”; Gesù, però, entra in questa sinagoga e insegna.

Pensate alla sorpresa, no, quello che noi riconosciamo come Figlio di Dio, fosse tua sorella, che ti scoccia, tuo cugino: ed è così. Il regno di Dio verrà quando noi riconosceremo il Figlio di Dio in qualunque persona, ognuno sarà “il Messia” per l’altro, ognuno sarà il “Figlio di Dio” per l’altro, allora saremo tutti Figli di Dio, che avremo lo stesso amore del Padre per tutti, quindi non è a caso che Gesù si è fatto uomo concreto, poi non aveva fratelli, per cui erano fratelli tutti gli altri un po’. Pensare che Dio è uno di noi, ecco quando riusciremo a pensare questo, che ognuno di noi è figlio di Dio, ma realmente, allora abbiamo capito qualcosa di noi e degli altri e di Dio, ma così come siamo, non perché siamo più bravi o perché facciamo volare via gli uccellini di argilla.

Vediamo la seconda parte del secondo versetto:

e molti, ascoltandolo, erano scossi dicendo: Donde a costui queste cose? E quale sapienza data a costui? E codesti  prodigi  operati  dalle sue mani?

Allora questa è la reazione di fronte a Gesù che insegna, appunto molti che lo ascoltano e rimangono scossi, rimangono colpiti, è qualcosa che colpisce e, ne sono ben consapevoli  di  questo, ma quello di cui non riescono a rendersi consapevoli è appunto che queste cose vengano dette da questa persona, che loro conoscono bene: “costui“.

Mi meraviglia che quella persona che conosco sia intelligente: no, impossibile, lo conosco! C’è da dire che abbiamo già catalogato tutto! Dove la meraviglia non è in quello che dice o in quello che fa, ma che sia “costui”, che conosco, no, impossibile! L’assurdo è che sia questo che conosco io, non so se è chiaro.

Tra l’altro la parola colpiti, scossi, meravigliati indica sempre la meraviglia: Marco usa solo mille vocaboli, quindi pochissimi, ma usa otto vocaboli diversi, usati trenta volte per indicare la meraviglia, cioè che resti colpito, scosso, perché c’è qualcosa di nuovo, però qui la novità è pervertita, cioè quel che dice “no è impossibile, come mai proprio Lui che conosco”, non so se intuite, proprio Lui, figlio di Dio; proprio io, proprio tu, sarà un altro, ma non noi, e invece no! Proprio Lui, e in quell’uomo tocca ogni uomo ed è  lì il principio del cristianesimo, che ogni uomo poi realmente, non solo è chiamato, è realmente figlio di Dio, questo è il senso dell’incarnazione, il nostro corpo è corpo di Dio, tempio dello Spirito, per questo risorgiamo; non è un modo di dire e per questo Dio ci ha fatti, per essere come lui, suoi figli, quindi lo scandalo è proprio il principio di tutto questo scandalo, e noi invece lo dimentichiamo, perché mettiamo Gesù con tante aureole, con tanti fronzoli, angioletti, per cui non è più nessuno di noi, e Gesù non è mai stato così, è “costui”; e poi sì, è vero, fa queste cose, i prodigi, la sapienza, ma come mai?

Infatti, mi viene in mente che noi a volte abbiamo un po’ queste attese: quando arriva Gesù lo riconosciamo di sicuro, come  in certi film in cui non può essere che lui, poi c’è la musica di sottofondo, quando arriva è lui, oppure pensiamo che vada in giro con l’aureola, per cui appena si muove, no! Perché, di fatto, i suoi compaesani, non è che sono scossi, sono scandalizzati dalle cose, dalla sapienza, ma che sia Lui, a fare quelle cose lì, questa persona qui. È questo che rende appunto incredibile la faccenda, di fatto qui avviene lo scandalo, quando si diceva che si potrà riconoscere anche in ogni persona il figlio di Dio. Quasi a dire che io ho già i miei schemi, conosco già come deve essere Dio, allora dico: è impossibile che sia quella persona, ed invece di lasciarmi mettere in questione da quella persona, da quello che dice, da quello che fa, – e la conosco bene– io la metto in questione, è impossibile, le sue mani, si dirà nell’altro versetto, le mani di un falegname, i prodigi operati dalle sue mani. Quello che fa scandalo è che sono le “sue mani”, quando si parlava prima del corpo, adesso sono le mani di questa persona.

Fossero state le mani di un taumaturgo, di un mago, che faceva magie già da piccolo, o di un violinista, di un pianista, non c’era allora il piano, allora capisco, no, le sue mani, e – spiegherà dopo – di falegname.

È come se la nostra attesa di Dio avesse bisogno sempre di qualcosa di sensazionale, di inspiegabile, e quello che è straordinario, che è veramente divino, è che il Signore arrivi come uno di noi, questo è veramente opera di Dio.

E che ognuno di noi, poi, è come lui, non solo è chiamato figlio, ma è realmente figlio, se ascolta questa parola, se accetta il suo limite come luogo di comunione, e la sua quotidianità,  e  accetta l’altro come figlio di Dio, come suo Signore, è il regno di Dio, e finalmente c’è il paradiso sulla terra. La stima infinita di ognuno, anche dell’ultimo degli uomini, anche di quelli che si credono  grandi, poverini, anche loro sono figli di Dio, l’unica cosa che hanno di grande e non lo sanno.

Vediamo la seconda parte di questa obiezione che è il versetto 3:

3 Non è questi il falegname, il figlio di Maria e fratello di Giacomo e Giuseppe e Giuda e Simone? E le sue sorelle non sono qui tra noi? E si scandalizzavano di lui.

Faccio un passo indietro, prima ancora, ma è lo stesso, no, che se “costui” fosse stato figlio del sommo sacerdote o almeno di una persona potente, o possibilmente del divino Cesare Augusto, o anche di Erode, non importa, e di Salomè, non importa, purché fosse una persona eccezionale l’avremmo anche accettato, invece che sia proprio “costui”, le sue mani, le sue mani, scusa è quello che mi ha fatto il manico della zappa l’altro ieri

Che il Figlio di Dio, che è il Messia, sia il falegname del mio paese – che non era il falegname della Brianza – proprio diventa, per queste persone, il motivo di scandalo. Gente che appunto frequenta la sinagoga, potremmo dire noi, che ci troviamo a leggere le Parola, ad andare in chiesa, questo scandalo, colpisce proprio queste persone, che in un certo senso, possono avere lo svantaggio di presumere di conoscerlo, e quando arriva, non lo riconoscono.

Non lo riconoscono, perché lo conoscono, è il falegname: è Gesù che viene identificato col mestiere che fa: il falegname.

È bello: la sua identità è il suo lavoro: calzolaio, falegname

Così viene identificato e poi viene identificato nel suo lavoro, nella sua professione e nella Sua rete di relazioni: conosciamo la madre, conosciamo i fratelli, le sorelle, i parenti vicini, le sorelle stanno qui da noi, come dire, abbiamo la situazione sotto controllo  e non riescono a tenere insieme le due cose: di fronte alla sapienza e ai prodigi e di fronte alla conoscenza delle relazioni, della persona, prevale questa.

Anche perché se accetto che quello è il Messia e poi capiremo che è il Figlio di Dio, allora vuol dire che chiunque di noi è come lui, non è un uomo eccezionale, è “l’uomo”, e basta. È il Figlio dell’uomo, che è il senso di ogni uomo. Per questo è la salvezza di ogni uomo, Gesù. Fosse stato il “grande profeta”, che fa cose strabilianti, invece, ha fatto per trent’anni il falegname, lo conoscono tutti.

Tra l’altro è bello,  trent’anni sono una vita, in fondo. Quindi  la sua vita è stata una vita ordinaria ed è il riscatto dell’ordinarietà di ogni vita: ha pianto, ha riso, ha fatto pipì, popò, ha imparato a balbettare, ha succhiato il latte, poi è cresciuto, ha giocato, si è graffiato, avrà anche litigato un po’ – spero proprio – carattere del sud anche lui, è vivace, certamente non era un tipo spento, cioè che tutta la nostra vita è riscattata ed è divina e non c’è frazione della nostra vita che sia insignificante.

Come se, a volte, possiamo avere la tentazione di dire: ma, io non credo però se io vedessi il Signore allora sì, gli credo, se mi appare qui, gli credo. I nazaretani pensavano di credere in Dio: quando gli è apparso: no, non è Lui. Ne aspetteranno un altro, perché è impossibile che Dio sia così, come se noi ci aspettassimo sempre un Dio che ci allontana dalla nostra condizione, mentre lì si accorgono di avere davanti un Dio che sposa completamente la nostra condizione, non ci porta fuori dalla nostra realtà, ma ci dona di vivere la nostra realtà con un altro spirito.

Per questo è salvezza del corpo, dell’umanità, e non è una religione, una legge, una dottrina.

È proprio il corpo di Gesù, che appunto siamo chiamati a riconoscere, in questo modo.

Ha detto: “il corpo di Gesù”: i Vangeli sono nati attorno all’Eucaristia, per spiegare cosa sono le parole: “prendete e mangiate, questo è il mio Corpo, dato per voi, mangiate, assimilate questo Corpo”.

Per paradossale che sia, il Signore diventa lo scandalo della fede, si scandalizzavano di lui, non delle cose che dice o dei prodigi che ha fatto, ma di “lui”, è lui che fa problema, quello che dovrebbe motivare la nostra fede, il Signore, diventa motivo di scandalo della nostra fede, si inciampa su questo, ma in questo modo, sottolineando ancora di più, come diceva Silvano all’inizio: “che cos’è, la nostra fede?”.

Che non vogliamo un Dio che sia come noi, che sposa i nostri limiti, la nostra fragilità, la nostra debolezza, e fa di questi il luogo di comunione, cioè il luogo di Dio, dell’amore; vorremmo che fosse qualcosa che ti tira fuori dal limite, che ti fa andare in delirio, insomma, come sono tutte le persone che vogliono essere come Dio, che vogliono essere importanti: sono deliranti.

C’è un’espressione di una preghiera eucaristica che dice: “ha condiviso in tutto, eccetto il peccato, la nostra condizione umana”. L’ha condivisa in tutto.

E il peccato è non condividere la condizione umana, tra  l’altro, è dividersi dagli altri.

Per cui potremmo dire: non c’è condizione umana che non abbia, vicino a sé, la presenza di questo Signore. Che l’ha condivisa in tutto. Un’espressione di Paolo VI diceva che l’umanesimo cristiano non è quello dell’uomo che si fa Dio, ma del Dio che si fa uomo, cioè il processo è esattamente il contrario di quello che ci aspetteremmo, appunto quello dell’incarnazione.

Guardate che noi cristiani mediamente a queste cose non ci crediamo: sì, ci crediamo, forse, però se arriva lo mandiamo via, Lo mandiamo dalla Caritas; passi un’altra volta, adesso non ho qui gli spiccioli. È vero, confesso il mio peccato, ma è vero, è così!

Anche mi fa venire in mente adesso, il problema della Caritas, quando Matteo nella parabola del Giudizio dirà: “Quando mai ti abbiamo visto?” Come? “Assetato, affamato, nudo, in carcere, malato, forestiero, eccetera”. Lì lo vediamo. Cioè chi impara a riconoscere in questo Gesù, il Signore, impara a riconoscere il Signore in ogni persona, possiamo vederlo, allora la questione non è che il Signore non ci sia, ma che non lo sappiamo riconoscere.

Anche in chi dice che gli altri.. no?

Anche in quelli!

Anche in quelli! Figli di Dio anche loro, anche noi, allora!

Anche noi. Questo è il punto. Allora, come dire, capiamo bene che in quella sinagoga, allora, c’è la presenza del Signore, e possono scoprire che quella presenza c’è già stata. Cioè la presenza lì di Gesù in quel momento, consente, o dovrebbe consentire a queste persone, di rivedere indietro tutto quello che è stato e dire: ma il Signore era qui e noi non lo sapevamo. Questa è la sorpresa dei nazaretani, questa è la nostra sorpresa.

Era quel bambino bisognoso, quell’adolescente discolo, magari, era quello e poi sarà quello in croce, perché non Lo vogliamo accettare.

Appunto o si parte dalla pretesa di conoscere già questo Signore, ma allora diventa davvero, come si diceva l’attaccapanni, di quello che noi pensiamo, gli mettiamo addosso tutto – le ideologie cristiane sono tremende, peggiori di tutte – oppure accogliamo la rivelazione di Dio che Gesù ci fa.

E sapete che Gesù, il nostro Dio, è stato ucciso per bestemmia, dalle persone religiose, perché questa sarebbe una bestemmia, e invece è il progetto di Dio, che vuol essere tutto in tutti e che ci ha fatti come lui e lui si è fatto come noi, per mostrarci chi siamo noi e chi è lui.

Come se per difendere la grandezza di Dio, noi rifiutiamo Gesù: è impossibile che sia così, Dio è più grande; per  motivi religiosi, si può negare che Gesù sia Dio, che questa persona, che la carne di questa persona, questo falegname di Nazareth, sia il Messia, in mezzo a noi.

Capite che cambia tutti i tipi di religiosità, di relazione con le persone, in casa, fuori casa, tra i popoli, con Dio, e con noi stessi. Conoscere la nostra quotidianità, il nostro limite come luogo del divino, non i nostri deliri.

E di fronte allora ai prodigi e alla sapienza, non dico “come mai è costui?”, ma dirò “guarda che prodigi!”, “guarda che sapienza!”.

Qui si possono dire tante cose, ma è molto bello che il nostro Dio sia “il falegname”. Dove il falegname non era una persona importante come da noi, lì ogni famiglia aveva della terra, solo quando andava in miseria, avendo perso la terra, faceva quei mestieri che un contadino normalmente fa da sé nei tempi morti: quando è inverno si fa lui gli attrezzi, li aggiusta.

Siccome Lui non aveva più terra, la Sua famiglia, allora, faceva questo mestiere, umile. Non era come il “fine intagliatore” di cui parlava Fisichella. Faceva i presepi della Val Gardena o dei crocefissi, un gran commercio.

E guardate è il riscatto di tutta l’umanità, questi trent’anni, quest’essere falegname, queste sue mani di lavoratore.

E anche il fatto che i suoi compaesani possano dire appunto che lo conoscono, conoscono il mestiere, conoscono la madre, conoscono i parenti, le sorelle sono qui, da un lato ci dice che queste persone, di Gesù, conoscono tutto e, in un certo senso, il nostro Dio, non ha nulla da nascondere, non è che ha chissà quale dottrina segreta. Non ha nulla da nascondere, si fa conoscere, non è che bisogna sempre aspettare chissà quali cose, chissà quali misteri, no, nessun mistero, nessuna straordinarietà; semmai lo straordinario è che si rivela così, nella normalità, nella quotidianità, in trent’anni vissuti lì.

E guardate che come criterio del discernimento dello Spirito di Dio, la prima Lettera di Giovanni, capitolo IV versetto 2, se mi ricordo, dice: “Chi non crede nel Figlio di Dio venuto nella carne non è da Dio”. Lo Spirito di Dio ti fa riconoscere la carne, il Figlio ci è rivelato nella carne di Gesù, Dio stesso, il Verbo si è fatto carne, Dio nessuno l’ha mai visto, lui ce l’ha raccontato nella sua carne e la carne di Gesù è l’esegesi di Dio, dice Giovanni, è il racconto di Dio, tutto il Vangelo.

In modo che diventi la nostra carne tutta il racconto di Dio; perché la nostra vita è un racconto, cioè ciò che viviamo è il nostro vero racconto, la nostra storia vera, la nostra identità. E si scandalizzavano.

Inciampano. Gesù diventa qui la pietra in cui inciampa il cammino di queste persone, perché è proprio la sua persona che crea quest’inciampo. Invece di essere la pietra su cui fondare, diventa invece la pietra che scandalizza, che fa inciampare il cammino di queste persone, quelle che sono nella sinagoga, che hanno già i loro schemi, che hanno già le loro attese.

Ripensavo un po’ a quando Paolo dice in 2 Cor 5,16: “se ho conosciuto Gesù nella carne, questo vale niente, devo conoscerla attraverso lo spirito, quella carne” e così Ebrei 2,11, dice “non si è vergognato di chiamarsi nostro fratello”; e dice la sposa del cantico, che è l’umanità, allo sposo, che è Dio: “se tu fossi mio fratello” è il desiderio dell’uomo; ed è nostro fratello, e siccome è nostro fratello, non lo vogliamo! Perché è come noi. È il mistero di ciascuno di noi, riconoscere Dio in noi e negli altri.

Il fatto di non accogliere Gesù così, come dire non accolgo la possibilità che mi è offerta di una vita simile alla sua, di questa possibilità, che viene offerta; perché in un certo senso non devo aspettarmi un’altra condizione, ma mi è data la possibilità già da adesso di vivere da figlio.

Così come sono e col mio carattere, anche se sono bresciano, di Pinzolo, con tutti i limiti che possiamo avere, come gli apostoli, che erano beceri come noi! Non erano gente allevata a becchime di facoltà teologiche.

È bella questa normalità di Dio, che ogni uomo, ogni figlio di uomo è figlio di Dio, e lo standard è questo: non quello che dice, ma quello che fa. È la carne. L’identità.

4 E diceva loro Gesù: Non c’è profeta disprezzato se non nella sua patria e tra i suoi congiunti e nella sua casa.

Adesso vengono riportate le parole esplicite di Gesù, mentre dell’insegnamento non viene riportato nulla, adesso vengono riportate queste parole, probabilmente un proverbio, c’è anche un proverbio dalla sua e, quello che Gesù dice, che appunto questo è il rischio, che ci sia un disprezzo, proprio nella sua patria, tra i suoi congiunti, nella sua casa; in chi appunto ritiene di conoscerlo o di conoscerlo già.

E per noi adesso, al di là della situazione di Gesù, a livello di relazioni personali, se io pretendo, presumo di conoscere una persona, povera quella persona! Perché in un certo senso sarà obbligata a rientrare nei miei schemi, io non vedrò altro che quello che ho sempre visto e non darò mai all’altra persona la possibilità di essere diversa, arriverò a negare l’evidenza, come fanno questi qui. Purché sia confermato quello che io penso, andrò avanti per la mia strada.

La riprova contraria, conoscete persone importanti di cui avete stima? Grande stima. Pensate se quelle persone importanti fossero vostra sorella, vostro fratello, vostro figlio, vostra madre. eh, No, quello no, lo conosco! Se quando non lo conoscete è importante, quando lo conoscete: insomma è come me! È lì la cosa importante da capire, chi siamo noi; non so se mi spiego, disprezziamo la realtàè solo quando una persona non la conosciamo, o c’ha un certo alone, o è apparsa in televisione, oh, è importante! Se no è un povero fesso, quindi un povero Cristo davvero, cui voler molto bene, perché ne ha tanto bisogno.

È come se attraverso anche queste parole Gesù aiutasse i suoi compaesani a prendere consapevolezza, come dire: provate a riflettere anche su questo detto, che c’è e mettetelo in relazione a quello che sta avvenendo, cercate di leggere la vostra situazione, qui non è tanto che Gesù conosca un calo dell’autostima, perché quelli non lo riconoscono. Il problema non è suo; il problema è di chi, non riconoscendo Lui, non scopre neanche le proprie possibilità, questa è la questione.

È come me, quindi Lo disprezzo. Ah, ho capito che apprezzamento hai di te! E lui vuole alzare la stima che abbiamo di noi: siamo come lui, cosa vuoi di più?

È il disprezzo della condizione umana, il rifiuto della nostra condizione, che buttiamo all’esterno.

Anche i razzisti, chi detesta qualcuno è perché disprezza se stesso, se uno apprezza se stesso, l’altro è uguale a lui; se lo disprezza siccome è uomo, in realtà, disprezza se stesso.

5 E lì non poteva fare nessun prodigio, solo, imposte le  mani  a  pochi infermi, li curò.

Siccome non c’era fede non ha potuto far prodigi; e qui c’è una cosa che i prodigi, non li fa Gesù, è la tua fede che ti ha salvato,  i prodigi li ha fatti la fede, così dice a Giairo: “continua ad aver fede” e sarà la fede di Giairo che risusciterà la figlia. Quindi il prodigio lo fa la fede.

E qui vorrei fare un racconto, che mi diceva già mia mamma da piccolo, poi l’ho trovato su san Bernardo.

C’era una volta un cane, che si chiamava Boninforte, un bel cane, grosso; una coppia che viveva in campagna, aveva  questo cane fedelissimo, dovevano andar fuori, hanno lasciato lì la culla del bambino, col cane vicino, così erano tranquilli, poi non succede mai nulla. Poi tornano e vedono la culla rovesciata e il cane gli viene incontro correndo, e vede che è insanguinato.. “oddio, ha mangiato il bambino!”. Allora aveva lo spiedo, dice “e prese e lo ancise”, e lo uccise, all’istante, il cane Boninforte. Poi va lì, vede la culla rovesciata e vicino un grande serpente, contro il quale il cane aveva lottato e aveva ucciso il serpente e allora, pentito, fa la tomba sul ponte che porta alla chiesa, per il suo cane “a Boninforte” e gli metteva i fiori; poi morto lui, continuano le donne a mettere i fiori e poi, pensando che fosse un santo, continuavano a mettere fiori e siccome lo pregavano, faceva miracoli. Faceva veramente i miracoli; “et era uno cane” dice san Bernardino! Non è mica lui, il cane, è la tua fede! Per quelli che cercano miracoli, ha fatto questo bel racconto, è bellissimo: “et era uno cane”.

Capite l’importanza della fede? Perché Dio esiste: se tu hai fiducia lo accogli, se lo respingi, è chiaro che non può far nulla. Se tu consideri l’altro fratello, davanti a te, figlio di Dio, ma questo è il grande miracolo! È cambiato tutto nella vita, sua e tua;  ma questo lo fa la mia fede, mentre noi andiamo in cerca dei prodigi che magari mi fa spuntare un orecchio nuovo, no dei capelli!

Mi viene in mente, proprio sul fatto della nostra fede, che qui, al versetto primo si diceva: “uscì di lì”, cioè nella casa di Giairo, dove, perché Giairo, appunto, ha continuato ad aver fede, Gesù ha resuscitato, invece si dice qui: “e lì”, cioè nella sinagoga, “non  poteva fare nessun prodigio”, tra un luogo e l’altro, tra un “lì” e un “lì”, quello che cambia, appunto, è l’atteggiamento di chi è con Gesù. Gesù è Lo stesso: era Lo stesso nella casa di Giairo, è Lo stesso qui; non è cambiato, nel tragitto; quello che è cambiato nel tragitto è che là c’era un capo-sinagoga, Giairo, che ha accolto la parola di Gesù: “continua ad avere fede”, qui invece, appunto, questo non è possibile, e Gesù si rivela in quella che è la sua, possiamo chiamarl,a “debolezza”: “non poteva fare nessun prodigio”, non poteva! Lui è onnipotente, no, non può. I compaesani riescono a far questo: a impedirgli di fare appunto i prodigi, questi prodigi. Ed invece “a pochi“, quelli che avranno fede, questa “imposte le mani”, tornano ancora i prodigi e le mani, che citavano, sono le mani di Gesù. C’è questa relazione, c’è questo incontro.

Ed è la nostra fede che ammette l’incontro, se tu lo respingi, non può. Insomma, piove, se tutti apriamo l’ombrello, ecco, nessuno si bagna, va bene; ma se la pioggia fosse la grazia di Dio, come lo è, noi apriamo tutto l’ombrello delle nostre difese.

Invece è accogliendo l’“uomo”, l’altro, che accolgo il Signore e allora nasce il prodigio.

Vuol dire che anche appunto i prodigi non sono dei tentativi in cui il Signore forza, no ci sono se c’è la fede delle persone. Gesù non è uno che viene a fare chissà quali numeri, non è questo che è in gioco l’abbiamo visto nel capitolo precedente, con l’emorroissa, con la figlia di Giairo.

6a E si meravigliava della loro non fede.

Qua Gesù si meraviglia – al versetto 2 erano gli altri che erano scossi per la sua persona – qua è Gesù che si meraviglia di qualcosa che appunto lo colpisce che è la loro non fede; qualcosa che, Gesù non conosceva ancora. La meraviglia di Gesù riguarda da un lato la nostra non fede o la nostra fede; in un caso o nell’altro è qualcosa che mette in evidenza quella che è la parte della nostra libertà, che meraviglia il Signore quando c’è e lo meraviglia quando non c’è.

È bello questo, che siamo la meraviglia di Dio, perché è tale il rispetto della nostra libertà. Credere è un atto di libertà somma:

uno può non credere e si meraviglia: “Come? Come non crede?”. “Scusa, viviamo di fiducia, se non crede, questo non vive..” e quindi si meraviglia, dice: “Come mai non c’è?”. E quando trova la fede, dice: “Oh, che bello!” che meraviglia!” cioè è sempre meravigliato perché è una cosa inedita, ciò che noi facciamo, della nostra fiducia, se vogliamo aver fiducia o non averla; siamo liberi di credere o non credere, tutti uguali. E questi sono i suoi, che sarebbero i credenti, per sé, i suoi, di fatto, la sua famiglia, quelli che gli appartengono, che non credono; quelli che credono di credere, e di conoscerlo bene. E siamo la meraviglia di Dio, sia quando crediamo, sia quando non crediamo. Si sorprende perché è l’atto supremo della nostra libertà.

Questa non fede, che rispetto al capitolo precedente, richiama ancora con più forza la parola dell’emorroissa, la sua fede e la fede di Giairo. Dove era stata presente questa fede, si presenta la vita; cioè il frutto di quella fede, che non è un’adesione così a chissà quale dottrina, ma è che la gente riprende a vivere, come l’emorroissa, come la figlia di Giairo: il frutto è quello. Per cui, di fatto, impedendo questo, queste persone impediscono a loro stesse di vivere.

Non è solamente una questione di presa di posizione di fronte a Gesù.

Tra l’altro questo brano, nel parallelo di Luca, finisce in modo anche abbastanza più cruento: decidono di buttarlo giù dalla rupe del villaggio. Quindi la prima predica che fa a Nazaret è col lancio del predicatore dalla rupe: bel risultato!

Ecco, e l’incredulità, come la cura, Dio? La cura esattamente con la nostra incredulità: lui finirà in croce, perché non gli abbiamo creduto, come bestemmiatore e malfattore e proprio il suo finire in croce è la medicina omeopatica, che ci salva; cioè mostra che anche se lo uccidiamo, lui ci ama, allora puoi aver fiducia, dà la vita per noi, allora veramente è Dio, perché Dio è uno che dà la vita, non uno che la toglie.

Dio è Uno che ama senza condizione, allora posso aver fiducia, Dio non è quello che pensava Adamo, che è uno che ti vuol fregare e giudicare, no, Dio addirittura si è fatto totalmente uguale a noi, per dirci che anche noi siamo come Lui.

E guardate che incarnare il cristianesimo in questa quotidianità, nella carne, è proprio il cristianesimo della liberazione dalla falsa immagine di Dio e di uomo ed è la divinizzazione dell’umanità e del mondo.

E noi facciamo eucarestia, tutta la nostra liturgia, eucarestia, per ringraziare di che cosa? Di questo corpo dato per noi e noi mangiamo, nel senso che ci alimentiamo, viviamo di questo corpo, attraverso la parola che ce lo fa conoscere, in modo di essere  questo corpo.

questo corpo che abbiamo preso, perché ognuno di noi l’ha preso, rendiamo grazie, ringraziamo perché ce l’ha dato, e siamo capaci di donarlo a nostra volta e questo è il circolo della vita: prendere come dono d’amore e sapere dare per amore, questa è la vita stessa di Dio, che viviamo nel corpo, siamo il tempio di Dio, il corpo di Dio.

Spunti di riflessione

  • Perché i suoi, che lo conoscono bene, non lo accettano? Se fosse stato figlio dell’imperatore, l’avrebbero rifiutato?
  • Noi, che siamo i suoi, accettiamo Gesù com’è: povero, umile e servo di tutti?

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