<<Disse ancora questa parabola per alcuni che presumevano di esser giusti e disprezzavano gli altri>>.
L’introduzione alla parabola raccontata nel Vangelo di oggi è il grande esame di coscienza a cui dovremmo costantemente sottoporre la nostra vita di fede. Infatti non di rado accade che confondiamo la religiosità con P aumento esponenziale della nostra latente superbia e non comprendiamo invece che tanto più cresciamo nella vita di fede tanto più dovremmo crescere nella grande umiltà di considerarci dei miseri a cui il Signore ha guardato con misericordia.
Pensare di essere migliori degli altri solo perché andiamo a messa la domenica o perché riusciamo a dire il rosario ogni giorno e confessarci il primo venerdì del mese, significa cadere nella trappola del fariseo del Vangelo di oggi: <<O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo>>.
Ringraziare il Signore perché non facciamo schifo come gli altri non mi sembra un grande livello di vita spirituale. Eppure anche se nessuno magari arriva a verbalizzare una simile cosa, in fondo al cuore molto spesso mettiamo in paragone la nostra vita con la vita degli altri e ci viene da sentirci fortunati perché ci sentiamo migliori.
Gesù indica invece nella preghiera del pubblicano la vera preghiera: <<ll pubblicano invece, fermatosi a distanza non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore>>.
Non la memoria della miseria altrui, ma la memoria della nostra miseria ci insegna la via dell’umiltà . Più enfatizziamo il male  degli altri più cresciamo in superbia noi. Più ci accorgiamo del nostro male e più in noi agisce con potenza la Grazia che ci salva.
<<lo vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato>>.
Commento di don Luigi Maria Epicoco al Vangelo di Lc 18, 9-14.
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