Paolo de Martino – Commento al Vangelo del 29 Gennaio 2023

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Matteo inizia il lungo discorso della montagna. Dopo aver sostenuto la tentazione nel deserto e aver incominciato la sua predicazione, Gesù, come un nuovo Mosè, sale sul monte e comunica la sua Torah, questa volta non più incisa sulla di pietra ma nel cuore dell’uomo.
«Vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna»: Gesù si accorge del dolore, delle lacrime, delle ingiustizie, delle potenzialità, dei limiti, delle situazioni concrete di chi lo segue.

Le beatitudini sono rivolte non solo ai suoi discepoli, ma a tutti i credenti.
Le otto beatitudini sono il cuore del vangelo. Per nove volte riecheggia la parola “felicità”. Le beatitudini evocano fatiche, lacrime, speranze. Nel suo elenco ci sono tutti gli uomini: i poveri, chi piange, gli incompresi e quelli dal cuore puro, gli unici in grado di vedere Dio.
Le beatitudini sono il manifesto di Gesù. Dicono chi è Dio e chi è l’uomo.

Mosè era salito sul monte Sinai e aveva dato i comandamenti, in pratica cosa bisognava fare e cosa non bisognava fare. Gesù ora sale sul monte e dona le beatitudini, in pratica come bisogna essere. Le beatitudini ci mostrano cosa possiamo essere, a cosa siamo destinati. Amico lettore, ti chiedo e mi chiedo: nelle nostre catechesi quanto tempo dedichiamo ai comandamenti e quanto alle beatitudini?
Gesù sale sul monte. Il monte è un luogo carico di significato. In Matteo gli avvenimenti importanti della vita di Gesù si svolgono sui monti: le tentazioni, la moltiplicazione dei pani, la trasfigurazione, l’arresto, il mandato finale affidato agli apostoli.

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Gesù si mette a sedere, come un maestro, secondo l’uso del popolo di Israele, da cui provenivano i cristiani della comunità di Matteo.
Letteralmente il testo greco dice: «Gesù aprì la bocca», un’espressione semitica usata quando qualcuno sta per iniziare una dichiarazione solenne.

Felicità

Gesù sa che il principale problema dell’uomo è la felicità. Ogni uomo desidera solo questo e tutta la vita s’interroga su come essere felice. Chi è felice? Chi è davvero beato? Come essere felici?

La risposta di Gesù a tutti questi interrogativi spiazza e manda in tilt la mentalità corrente. A una prima lettura superficiale, sembra elogiare la sfortuna. Gesù definisce beati, cioè felici, chi è povero, chi piange eppure sappiamo che chi vive nella povertà o nel pianto, chi è perseguitato non è per niente felice. Gesù sembra esaltare il dolore, la sofferenza, la sopportazione ma non è così. Dio non ama il dolore, né ci invita alla rassegnazione. Attenzione: quando Gesù parla di felicità, ne parla al futuro perché è verso il futuro che dobbiamo guardare per essere felici. Amico lettore, non avrai una ricompensa per avere sopportato il dolore ma se vivrai in una certa logica, anche se costa dolore, sarai nella direzione giusta per godere della felicità di Dio.

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Siamo sinceri: per noi felici sono quelli che vestono bene, con la casa in montagna, con un posto di lavoro di prestigio, amici influenti. Questi per noi sono le persone felici! Eppure Gesù non sembra essere dello stesso parere: felici sono i poveri in spirito, gli afflitti, gli affamati di giustizia, i perseguitati. Sì amico lettore: questo è il vangelo! Questa è la bella notizia! Se Gesù avesse detto che felici sono i ricchi, i forti, che novità sarebbe stata?

Un particolare: la prima beatitudine è al presente («vostro è il regno di Dio») mentre le altre sono al futuro (sarete saziati, riderete, avrete la ricompensa nei cieli). Probabilmente Gesù le intendeva come realtà attuali, da costruire ora. Nel corso degli anni, forse, i primi cristiani, di fronte all’apparente impossibilità di realizzare “oggi” il piano di Dio, hanno spostato il loro accento sul futuro. Gesù voleva cambiare il mondo. Da questo punto di vista le beatitudini sono una rivoluzione politica che nel tempo abbiamo un po’ addolcito. I poveri sono felici qui, ora, perché è con loro che Dio cambia la storia, non con i potenti. I poveri hanno il cuore al di là delle cose.

Speranze

Essere felice, nella Bibbia, significa porre Dio “prima” di ogni altra cosa, davanti a tutto e a tutti. Per noi occidentali la felicità è un obiettivo, una meta e ci affanniamo da mattina a sera nel tentativo di raggiungerla. Corriamo sempre in cerca di qualcosa che non raggiungeremo mai e che ci sfuggirà sempre, ci illudiamo che quando avremo un bel lavoro, una solidità economica, una bella casa saremo felici. Chi raggiunge questi obiettivi, invece, avrà un’amara sorpresa: non basteranno! E così inizierà una nuova rincorsa alla ricerca di altri traguardi. Un uomo dalla cultura occidentale, dinanzi ad una montagna, la deve scalare: un orientale, invece, si ferma, la guarda, e magari prega davanti a lei. Di fronte ad un tramonto, un occidentale cerca di fotografarlo per catturare l’attimo: un orientale, invece, si siede e lo guarda, lascia che queste immagini gli entrino dentro. Per noi occidentali la felicità è la meta, per gli orientali è la strada.

Felicità è una parola ebraica (“ascer”) che vuol dire “avanzare, guidato”. La felicità non è la meta ma la strada che mi porta alla meta. La felicità è oggi o non è mai; è saper godere di questo presente o non sarà in nessun futuro: La felicità non è solo “stare bene” ma vivere tutto ciò che c’è da vivere. Non ci sarà nessun paradiso per chi non sa vivere sulla terra, nessuna felicità senza fine, per chi non vive la felicità che finisce.

Un’ultima annotazione: Gesù le ha vissute le beatitudini, amico lettore, sono il suo ritratto. Hai davanti ai tuoi occhi il modello di ogni beatitudine.

Proposte

Le beatitudini non sono dei comandi, sono delle proposte. Non sono una soluzione ai nostri problemi, sono un cammino.
Le beatitudini non sono solo un ritratto del discepolo ideale, ma prima di tutto sono un ritratto di Gesù! Lui è il povero in spirito, l’afflitto, l’affamato, il mite, il perseguitato, il misericordioso, il puro di cuore e l’operatore di pace.

Gesù ci rivela ciò che in apparenza è nascosto. Le beatitudini sono un invito a guardare le cose da una prospettiva diversa e accorgerci che le cose non sono solo come sembrano. È questione di cambiare punto di vista sul mondo. Prendere sul serio le beatitudini non significa imparare una nuova regola morale, ma guardare con occhi diversi la nuda e cruda realtà che stiamo vivendo in questo momento. Ecco cos’è la fede: il tentativo di guardare dentro le cose e guardarle con gli occhi di Dio.

La bella notizia di questa domenica? Se accogliamo le beatitudini, la loro logica ci cambia il cuore sulla misura di quello di Dio. E possono cambiare il mondo.

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