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don Nicola Salsa – Commento al Vangelo del 16 Luglio 2020

Non preoccupatevi di cosa direte

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Piotr Zygulski – Commento al Vangelo del 16 Luglio 2020

Lo “stare” (histemi) delle Marie vicino (para) alla Croce e lo “stare vicino” (para+histemi) alle Marie del Discepolo Amato non sono di certo un parcheggiarsi, un addormentarsi, o un “divanarsi” come direbbe Papa Francesco.

Innanzitutto si giunge al Monte non perché si è stati immobili, ma perché si sta nel cammino. Lo “stare” non è quindi in antitesi con il “camminare”, ma ne è anzi la vigilanza, la persistenza, la fedeltà, il radicarsi nella salita al Monte in cui Dio si manifesta come Crocifisso, in cui il suo annientarsi assorbe la nostra desolazione.

Lo “stare” è poi un “esserci” di prossimità, di solidarietà, di servizio; è uno “stare radicalmente per” qualcuno: la Madre è per Gesù, ma si accorge che innanzitutto è Gesù per la Madre. Lei – nello sguardo del Figlio – fa esperienza che il Discepolo Amato è amato per Lei, vive per Lei, sta per Lei. Lei ci sta.

E il Discepolo la riconosce come Madre dolce, Madre del Figlio e Madre sua, che è figlio nel Figlio, e quindi fratello della Sorella che ha scelto di starci sino in fondo per amore. Ed è proprio qui, in questa reciproca unità propiziata dal nullificarsi per l’altro, che lo “stare” si vive proprio nello stare vicini insieme: nell’abitare, nonostante le spine e la guerra che infuria, il fiore gigliato del Nulla in cui si nasconde il Dio Crocifisso.


Commento a cura di:

Piotr Zygulski, nato a Genova nel 1993, dopo gli studi in Economia all’Università di Genova ha ottenuto la Laurea Magistrale in Filosofia ed Etica delle Relazioni all’Università di Perugia e in Ontologia Trinitaria all’Istituto Universitario Sophia di Loppiano (FI), dove attualmente è dottorando in studi teologici interreligiosi. Dirige la rivista di dibattito ecclesiale “Nipoti di Maritain” (sito).

Tra le pubblicazioni: Il Battesimo di Gesù. Un’immersione nella storicità dei Vangeli, Postfazione di Gérard Rossé, EDB 2019.

Arcidiocesi di Pisa – Commento al Vangelo del 16 Luglio 2020

Medita

Tutti abbiamo carichi pesanti, difficili da affrontare e sopportare, ma nei momenti di crisi dobbiamo rifugiarci in Gesù, l’unico in cui possiamo trovare la pace dal mondo e dagli affanni.
Dio si trova in ogni luogo che ci circonda: un fiore, un bambino, un sorriso, il cielo, il mare.
Riposiamoci in Dio cercando di resistere alla malinconia e alla tristezza e impariamo dall’umiltà di Gesù a portare il nostro giogo con pazienza.
Il rifugio in Dio è un giogo dolce e mite che solleva l’anima dalle nostre debolezze.

Rifletti

Cosa ci opprime? Quali demoni interiori ci perseguitano? Cerco di restare fedele alla parola di Dio? Come indirizzo la mia vita verso il Regno dei Cieli?

Prega

Signore veglia su di noi e sui nostri cari.
Togli dal nostro cuore egoismo, orgoglio, indifferenza.
Insegnaci ad essere umili
e pronti ad aiutare chi soffre, chi è solo,
malato e bisognoso di affetto.
Grazie per la tua presenza nella nostra vita.


AUTORE: Claudia Lamberti e Gabriele Bolognini
FONTE: Ascolta e Medita – Centro Pastorale per l’Evangelizzazione e la Catechesi
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Giovani di Parola – Commento al Vangelo del 16 Luglio 2020

«Tu che sei stanco, oppresso, tu che pensi di non farcela, di non riuscire a affrontare tutte le difficoltà che hai di fronte, tu che ti senti depresso o ansioso per le prove che dovrai affrontare, VIENI A ME». Il Vangelo di oggi è un balsamo per il nostro cuore, ci dona speranza e ci fa sentire protetti, ma, al tempo stesso, ci spinge all’azione.

Gesù utilizzata due verbi molto significativi, il primo è VENITE: è un invito a non rimanere fermi nel nostro dolore o preoccupazione, ma a muoverci verso di Lui; il secondo è IMPARATE DA ME: non basta solo muoversi nella sua direzione, ma c’è uno step in più che richiede di uniformarci a Lui che è mite e umile di cuore. Gesù ci sta svelando il vero segreto per essere felici e trovare ristoro: ESSERE MITI E UMILI DI CUORE proprio come Lui.

Ma come possiamo essere umili come Lui? Il mezzo principale per toccare con mano umiltà e mitezza è proprio il servizio poichè servire ci fa essere sempre più simili a Lui e ci fa sperimentare gioia e ristoro. Chi serve con amore è gioioso, chi fa della sua vita un servizio a lavoro, in famiglia, con gli amici trova sempre ristoro. Impariamo a cercare la gioia vera uniformandoci a Gesù attraverso il servizio gratuito.


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don Franco Mastrolonardo – Commento al Vangelo di oggi – 16 Luglio 2020

Il commento di don Franco Mastrolonardo.

Sito web – preg.audio

p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 16 Luglio 2020

Viene il Signore, la Luce vera che illumina ogni uomo, e ci invita a venire a Lui. Viene la Luce che illumina la legge e ci invita a venire a lei. Viene la Luce che illumina il cammino dell’essere figli del Padre, perché piccoli, e ci invita a venire a lei. Viene la Luce, quella vera, che ci fa conoscere il Padre e ci invita a venire nella Trinità.

Venire: chiede un movimento, un movimento del cuore, innanzitutto; un movimento di interesse senza il quale il piede non si muove

La luce che viene ci mostra come la Legge, pur vera, non può dare la vita: la Legge ci fa vedere il cammino, le cose giuste, non ci rende capaci di amarle. È per questo che Gesù chiama la Legge giogo che affatica e opprime. Sia che noi siamo osservanti della Legge, sia che noi la trasgrediamo, siamo comunque schiavi della stessa. Certo l’apparenza è salva se noi non la trasgrediamo, ma il cuore rimane comunque traditore dell’Amore. Certo nessuno potrà venirci a dire nulla, se noi siamo osservanti delle norme della chiesa e del codice penale: ma ciò non significa che noi saremo amanti del Signore Gesù e che noi conosceremo il Padre.

La Luce che viene nel mondo, è una luce che senza alcun pudore e ritegno mette in evidenza il nostro adulterio nei confronti di Dio e di come questo adulterio, che noi dipingiamo come amore nei suoi confronti, diventi ogni giorno sempre più pesante e insopportabile. L’essere cristiani come osservanti di norme è solo un peso che non serve alla salvezza.

La salvezza ci è stata donata dalla Luce che viene nel mondo, non è una conquista nostra. Qui si rivela già il primo tradimento: credere di potere fare a meno di Dio salvandoci con le nostre buone azioni e con la rettitudine del nostro agire. Sembriamo delle vecchie incartapecorite che pensano di fare arrapare ancora qualcuno. Ne consegue che noi non siamo capaci di sentirci amati e di lasciarci amare. È vero: corriamo molto meno rischi. Ma la domanda è un’altra: la vita che viviamo vale la pena di essere vissuta in questo modo? Non è un peso inutile?

La Legge data a Mosè è per la vita, ma non dà la Vita: “In lui (Gesù) era la vita e la vita era la luce degli uomini” (Gv 1, 4). La Legge è solo un pesante fardello che ordina, denuncia, giudica e condanna ciò che è contro di essa. L’amore, invece, è pieno compimento della Legge: dà quella giustizia superiore che introduce nel regno. L’unico dovere che noi abbiamo è quello di vivere il piacere di essere figli e fratelli.

La grazia, il giogo leggero dell’amore di Cristo, non abolisce il nostro agire, lo rende possibile. La grazia ci mette in piedi perché noi possiamo camminare, ci mette nelle condizioni di farlo, ci insegna a farlo, ci dà la spinta affettiva per farlo. Il Padre aspetta che noi gli corriamo incontro per accoglierci nelle sue braccia. A noi spetta l’ultima mossa, senza la quale tutto il resto risulta vano. Ed è una mossa che può nascere solo dal desiderio di questo abbraccio.

All’etica di norme e divieti succede quella della libertà, alla legge subentra il Vangelo.

Un botanico può fare una descrizione minuziosa delle leggi che governano lo sbocciare di un fiore. Tale minuziosa spiegazione non farà mai sbocciare nulla. La legge è questo botanico. Non esiste nessuna legge in grado di prescrivere e far eseguire ciò che una madre per amore fa per il figlio.

L’amore è libertà perché da esso germina tutto, non perché trasgredisce la legge. Chi ama è suddito non più della legge ma dell’amore, unico sovrano, legge a se stesso: questo è un giogo dolce e leggero. Il giogo dell’amore è l’unico che non opprime, anzi, che solleva, che ristora chi è stanco, che dà riposo a chi è affaticato, che può dare liberazione a chi è oppresso, anche perché l’amore o è scelto o non è.

L’invito del vangelo di oggi, è un invito a passare senza paura dalla lettera che uccide allo Spirito che dà vita, dalla legge alla libertà (2Cor 3, 1-18), dalla fatica al riposo. L’invito è quello di correre il rischio della libertà, di abbandonare le nostre false sicurezze, di incamminarci senza né bastone né bisaccia né sandali, ma con la fiducia in colui che ci chiama a venire a lui che viene.

Così saremo “capaci” di essere discepoli del Signore che non brontola perché la gente che lo segue è stanca ed oppressa; così non ci accontenteremo di prendercela con chi già non ce la fa di suo perché è colpa sua. Non ci accontenteremo di questo ma avremo il coraggio di uno scatto di amore, che poi è scatto di fede, per cogliere la fatica dell’altro e scegliere di portare con lui quel peso perché noi con lui possiamo ritornare a scegliere di “venire” dietro al Signore per potere scegliere il giogo dell’amore, quel giogo dolce e leggero.

Che la grazia del Signore ci accompagni con leggerezza nei passi delicati della nostra giornata.


AUTORE: p. Giovanni Nicoli 
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Gesuiti – Commento al Vangelo del giorno, 16 Luglio 2020

Oggi Gesù attrae, chiama a sé. Non chiama per affidare una missione, ma semplicemente per attirare a sé e per dare ristoro con la sua persona e la sua compagnia. Oggi Gesù ci parla del bisogno di relazione e di tenerezza che ognuno di noi ha. Perlopiù lo teniamo nascosto perché dobbiamo far vedere sempre il lato forte, perché dobbiamo combattere, arrivare, difendere. Per questo tutti abbiamo bisogno di ristoro.

Quelle di oggi non sono parole consolatorie: parlano a tutti, credenti e non credenti della vita autentica che consiste nel deporre le armi della supponenza, dell’aggressività e del delirio di potenza (vero e proprio virus del nostro tempo vuoto).

Il giogo, uno strumento agricolo antichissimo, che ci ricorda come per arare, cioè per preparare la terra (la vita) alla fecondità, bisogna essere in relazione, guardare nella stessa direzione, saper sintonizzare il passo con l’altro. Ma se non siamo «miti e umili di cuore» questo non sarà possibile.

Andrea Piccolo SJ


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Fonte: Get up and Walk – il vangelo quotidiano commentato

don Antonello Iapicca – Commento al Vangelo del 16 Luglio 2020

UMILIATI COME IL BUON LADRONE POSSIAMO OGGI ENTRARE NEL RIPOSO PRENDENDO CON CRISTO IL SUO GIOGO

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Gesù ci chiama anche oggi, per imparare la mitezza e l’umiltà, le qualità del suo cuore. Basta ascoltare e andare. E’ questa la volontà di Dio per noi. Andare e fermarsi presso di Lui. Vedere dove Lui abita, stare con Lui, imparare con l’orecchio aperto come un discepolo. Ai suoi piedi, cercando e desiderando l’unica cosa buona, la sua Parola, la sua vita, il suo amore. In questo atteggiamento del cuore, e solo in esso, troveremo ristoro, riposo per il nostro intimo, per le nostre anime. Perché così entreremo nel suo riposo, nello shabbat preparato per noi; unica condizione, un cuore docile. Se oggi ascoltiamo la sua voce non induriamoci, lasciamoci sedurre dalla sua misericordia. E riposa solo chi ha presente sempre la verità: “Sappi [tre cose,] da dove vieni: da una goccia putrefatta; dove vai: verso un luogo di polvere, di larve e di vermi; e davanti a chi dovrai rendere conto: davanti al Re, il Re dei re, il Santo, benedetto Egli sia” (Avot 3,1). Sapere queste tre cose è la verità che libera dall’orgoglio e dall’arroganza di dover condurre la propria vita con lo sforzo e l’angoscia di chi presume di sé ed esige dagli altri. Sapere che, senza di Lui, non siamo nulla, schiavi del giogo del mondo, esigente e senza misericordia. Il suo Giogo invece, ovvero la Croce d’ogni giorno, è il vero cammino al riposo. Allora, prendere la Croce che la storia ci presenta, è il modo per andare al Signore: e questo cammino è già imparare ad essere miti e umili di cuore. Il mite infatti, come recita il salmo 37, possiede già la terra perché la croce pota l’orgoglio, riduce la menzogna a polvere e fa brillare la verità. Nella storia di oggi possiamo conoscere la nostra debolezza senza scandalizzarci, e lasciarci condurre, vivendo dell’autentico alimento: “Ricordati di tutto il cammino che il Signore, il tuo Dio, ti ha fatto fare in questi quarant’anni nel deserto per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore e se tu avresti osservato o no i suoi comandamenti.

Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provar la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per insegnarti che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che vive di tutto quello che procede dalla bocca del Signore”(Deut. 8,2-3). Così, l’umiltà figlia della verità, conduce all’abbandono totale alla Parola. L’umiltà del condannato con Gesù alla stessa infamante morte di Croce e implora il suo perdono. Ecco, in quel momento l’ultimo della terra ha incontrato Colui che per lui si era fatto ancora più ultimo, prendendo su di sé la stessa condanna. Crocifisso sulla stessa Croce di Cristo trova il riposo del Regno in quello stesso “oggi” in cui morirà al mondo umiliandosi nell’accettazione delle proprie colpe. E quella Croce diviene un giogo leggero perché Cristo è sceso a prenderlo per portarlo con lui, rendendo leggero il carico delle sue colpe nel suo perdono. Quel ladrone aveva preso il giogo di Cristo su di sé sperimentando che per primo era stato Lui a prendere il suo. E per questo la sua anima ha trovato il ristoro del Cielo, dopo aver sofferto tanto a causa dei peccati. Sant’Ambrogio, afferma addirittura che Gesù stesso si era fatto “buon ladrone” per riscattare ogni “cattivo ladrone”. Dopo aver stigmatizzato la crudeltà di “crocifiggere come un malfattore (quasi latronem) il Redentore di tutti”, dice: “Ma nel mistero – cioè nell’interpretazione più profonda, che attinge alla pienezza del mistero della salvezza – Egli [Gesù, il Redentore] è un eccellente malfattore (bonus latro), perché ha teso un agguato al diavolo e gli ha portato via la sua roba”. 

In un manoscritto ebraico scoperto nel 1898 nel cosiddetto Cairo Genizah, il luogo dove in una sinagoga del Cairo venivano “sepolti” i manoscritti logori contenenti le Sacre Scritture, è stato trovato questo frammento: “Venite a me, voi che siete senza istruzione, prendete dimora nella mia casa di studio [beit midrash]. Quanto tempo volete rimanere privi di queste cose, mentre la vostra anima ne è tanto assetata? Ho aperto la bocca e ho parlato della sapienza: Acquistatela senza denaro. Sottoponete il collo al suo giogo, e permettete alla vostra anima di portare il suo carico. Essa è vicina a quelli che la cercano e la persona che dà la sua anima la trova. Vedete con gli occhi che poco mi faticai, ma ho perseverato fino a quando non l’ho trovata”. Dunque il “giogo” di Gesù è la “casa di studio” dove Lui insegna e dove possiamo imparare: nel greco originale, infatti, “imparate” (màthete) significa proprio “studiate”.

 L’umiltà e la mitezza si studiano, e il libro è Cristo, la sua stessa vita incarnata nella nostra esistenza. Studiare le sue parole, il suo pensiero, i suoi sentimenti, sino ad assumerli e a farli nostri. Nulla di sentimentale o moralistico, piuttosto il com-prendere, il prendere-con noi, su di noi, il giogo della Torah, il carico leggerissimo dello straordinario compiuto in Cristo. Prendere con noi una vita inchiodata a letto, o stretta nella precarietà; prendere con noi una relazione difficile, dalla quale è sparito l’incanto della passione; prendere con noi un lavoro senza gratificazioni umane, con colleghi che ti fanno la guerra; prendere con noi anche una depressione, come gli altri un giogo pesantissimo per chi non conosce Cristo. Un giogo che, senza la Grazia, schiaccia e uccide: e questo spesso accade anche nelle nostre parrocchie, invase dallo spirito mondano, dove tutto è esigenza: esigenza di legalità, esigenza di coerenza, esigenza di impegno, solidarietà. Ce lo vorrebbero imporre da fuori, dalle cattedre e dai giornali dei maestri del pensiero unico che determina la cultura della società civile; ce lo vorrebbero imporre anche da dentro, quando i parroci si sentono frustrati e cominciano ad esigere dai parrocchiani che facciano, facciano, partecipino, si tirino su le maniche. E riducono la Chiesa un luogo di leggi, di obblighi, di volontariati asfissianti: “Gli scribi e i Farisei seggono sulla cattedra di Mosè. Fate dunque ed osservate tutte le cose che vi diranno, ma non fate secondo le opere loro; perché dicono e non fanno. Difatti, legano dei pesi gravi e li mettono sulle spalle della gente; ma loro non li vogliono muovere neppure con un dito” (Mat. 23:2-4).

Ciò significa che, proprio mentre si esige impegno si scappa dalla storia. E’ l’esatto contrario del cristianesimo. Non così “Mosè”, che “era un uomo molto umile, più di ogni altro uomo sulla faccia della terra.” (Numeri 12,3). E perché? Perché aveva conosciuto se stesso, fragile, incoerente, mascalzone, ma eletto, chiamato a prendere il “giogo” di Cristo, e aprire al Popolo il cammino nel deserto. E’ mite, infatti, chi ha imparato che la lotta d’ogni giorno non è contro le creature di carne, contro suocere o mariti o mogli o figli o colleghi di lavoro o coinquilini di condominio. Il combattimento, invece, è contro il demonio, il padre della menzogna e dell’orgoglio. In questa lotta occorre imbracciare le armi della fede, la Parola, lo zelo per il Vangelo, il suo amore infinito. La fede, la speranza e la carità, i doni del Cielo riservati a chi reclina il proprio capo sul petto di Gesù, assumendo lo stesso “giogo”, l’unico che darà senso e compiutezza alla vita. Esattamente come il “giogo” serve agli animali per compiere il loro lavoro. Il Signore ci chiama a immergere la nostra mente nel suo cuore, la fonte della mitezza e dell’umiltà, la porta al riposo e alla pace. 


AUTORE: don Antonello Iapicca
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Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 16 Luglio 2020

Manca una parola nella traduzione ufficiale di questo brano evangelico. “In quel tempo Gesù, rispondendo, disse”. Rispondendo a chi? A una domanda che gli è stata posta all’inizio del capitolo dai discepoli di Giovanni: “Sei tu che devi venire o dobbiamo aspettarne un altro?”. È come se gli dicessero: “Perché non ti riveli a noi?”. Gesù non risponde direttamente alla domanda, con un sì o un no, ma ora, in conclusione, rovescia l’interrogativo e dice: “Venite a me”.

Capovolgendo ogni logica mondana, quelli che sono maggiormente avvantaggiati in questa auto-rivelazione di Gesù non sono i sapienti e gli intelligenti (potremmo dire anche i “furbi”: almeno una volta, nella Bibbia greca, il vocabolo ha questo significato) ma i piccoli e i poveri. Come mai? Una vera spiegazione non c’è, perché questo è semplicemente il “beneplacito” di un Padre che ama tutti ma non si rivela a tutti allo stesso modo. Si rivela agli uni e si nasconde ad altri. Forse si può dire, in termini sapienziali, che “resiste ai superbi ma fa grazia agli umili” (Pr 3,34). Così facendo, ristabilisce una certa giustizia, rispetto ai canoni e ai valori di questo mondo.

Forse si può anche dire che i piccoli sono più capaci di un attaccamento fedele, senza calcoli, senza infingimenti. Non è raro, infatti, che le persone più attaccate agli altri siano anche quelle meno appariscenti o più trascurate.

Forse sono proprio gli oppressi e gravati da occupazioni non gratificanti, anzi da lavori umilianti, quelli che hanno più bisogno di una “anàpausis”, termine greco equivalente a shabbat: riposo, requie, sollievo.

Ma soprattutto si deve dire che i piccoli e i poveri sono i più congeniali a Gesù, “mite ed umile di cuore”: sanno più facilmente immedesimarsi con lui. Più facilmente si “accontentano” di lui, se così si può dire, cioè non si scandalizzano della sua umanissima piccolezza . Ai discepoli di Giovanni Gesù aveva anticipato poco prima proprio questa beatitudine: “Beato chi non si scandalizza di me”. Coloro che non hanno in Gesù occasione d’inciampo, di contraddizione, che non percepiscono da lui nessuna accusa, nessuna condanna, trovano “pace” alle loro anime.

“Cerca la chiave del tuo cuore, e mille troveranno la salvezza presso di te”. Così insegna san Serafino di Sarov. Gesù possiede questa chiave, che poi è l’amore del Padre, il suo compiacimento non ostante tutte le opposizioni e le incomprensioni patite. E anche noi troviamo la pace, se la chiave del nostro cuore è Gesù.

fratel Alberto


Fonte

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don Claudio Bolognesi – Commento al Vangelo del 16 Luglio 2020

Dal Vangelo di oggi:
“Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita”. (Mt 11,29)

Imparare da Te la mitezza e l’umiltà di cuore… ma che bello! Capiamo il ristoro profondo che ne scaturisce. Molto più grande dell’agitazione del mondo.