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p. Enzo Fortunato – Commento al Vangelo del 16 Luglio 2020

Buongiorno brava gente e pace e bene.

Oggi condividiamo alla luce del Vangelo la chiamata a stare con Lui, ad imparare da Lui due grandi virtù: mitezza ed umiltà…

Sapete cosé il “giogo”?

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Alberto Maggi – Commento al Vangelo di domenica 19 Luglio 2020

Commento video (e trascrizione) al Vangelo di p. Alberto Maggi OSM

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LASCIATE CHE L’UNA E L’ALTRO CRESCANO INSIEME FINO ALLA MIETITURA

Nel vangelo di Matteo non sono presenti soltanto le tentazioni che Gesù ha subito, ma vengono esposte anche le possibili tentazioni della comunità dei credenti in ogni tempo. Nel capitolo 13, troviamo tre parabole, con la risposta a tre possibili tentazioni: sono le parabole del Regno. è Gesù che parla ai suoi discepoli, espone queste parabole del Regno dei cieli, ricordo che questa espressione è tipica di Matteo, ma indica il Regno di Dio, cioè la società alternativa dove, anziché accumulare per sé, si condivida generosamente con gli altri, dove anziché comandare, si serva, e dove anziché salire, si scende. Questo è il Regno dei cieli.

La prima tentazione alla quale è sottoposta la comunità di ogni tempo, è la tentazione di essere una comunità di eletti, una comunità di gente superiore, e che quindi cerca di eliminare gli altri. A questa tentazione Gesù risponde con la parabola, quella del seminatore e della zizzania. Dice Gesù che “mentre tutti dormivano, venne il suo nemico,” il nemico del Signore, “seminò della zizzania”, la zizzania è un seme che è tossico, è un narcotico, “in mezzo al grano”. Ma più dannosa del seme nocivo della zizzania, sono i servi, gli zelanti servi. Infatti “Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”, e si propongono “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. E nella parabola il padrone del campo lo impedisce, dice: “No perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano”. La loro azione, quella dei servi zelanti, è più pericolosa della zizzania. Quindi Gesù dice no ad una comunità di soli eletti, questa è la tentazione che subiscono spesso i gruppi ecclesiali, nei quali ognuno si sente di avere l’unica risposta al modo di vivere del messaggio di Gesù, e per questo snobbano o condizionano la vita degli altri. Gesù non è d’accordo su questo, quindi no alla tentazione di essere una comunità di eletti.

La seconda tentazione che la comunità subisce, lo vediamo lungo tutto il vangelo, è quella della manìa di grandezza, allora Gesù continua, dice: “espose loro un’altra parabola dicendo: “Espose loro un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a”. Per comprendere questa parabola bisogna rifarsi al profeta Ezechiele. Nel profeta Ezechiele il regno futuro era immaginato, è il capitolo 17 di Ezechiele, come un cedro, il cedro lo sappiamo, il cedro è chiamato il re degli alberi, che è posto su un alto monte. Quindi qualcosa di straordinario, qualcosa che attira subito la vista, l’ammirazione per il suo splendore. Gesù dice nulla di tutto questo: “è simile a un granello di senape che l’uomo prese e seminò”, è strano che Gesù parli di seminare, perché la senape non si semina, “nel suo campo”. Commenta Gesù: “Esso è il più piccolo di tutti i semi”, la senape è una pianta infestante; i suoi semi, che sono microscopici, piccolissimi, con il vento arrivano ovunque, per questo non viene seminata, ma viene temuta dai contadini palestinesi. Quindi è piccolo, ma arriva ovunque: questo è il messaggio di Gesù: “Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre”, e qui ecco la sorpresa di Gesù, “piante dell’orto”, cosa vuol dire Gesù? Che il Regno dei cieli, cioè il Regno di Dio, anche nel suo momento di massimo splendore, non attirerà l’attenzione; la pianta della senape è un arbusto che, in zone favorevoli, tipo il lago di Galilea, raggiunge due o tre metri, ma è una pianta comune che non attira nessuna attenzione. Ebbene per Gesù, il Regno di Dio, nel momento del suo massimo sviluppo, non attirerà l’attenzione per la sua grandezza, per la sua meraviglia, ma come una pianta infestante, arriverà ovunque.

La terza e ultima tentazione è quella dello scoraggiamento. La comunità cristiana è piccola, il lavoro da fare è tanto, e c’è il rischio di scoraggiarsi. Allora Gesù, per questa tentazione, dice un’altra parabola: “«Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina”, tre misure di farina sono quaranta chili, è un po’ tanto per una casa domestica. Perché questo riferimento ai quaranta chili? Perché nell’Antico Testamento, questa quantità di misura appare in relazione agli episodi di Abramo e di Sara, di Gedeone e di Anna, la madre del profeta Samuele, sempre in occasione dell’esaudimento delle promesse di Dio al popolo, anche in circostanze che sembravano impossibili.

Allora dice: questo lievito lo “mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata»”; la comunità cristiana non deve spaventarsi di fronte all’enormità del lavoro, ma deve mescolarsi con la realtà esistente per poi trasformarla, e Gesù lo garantisce. Ebbene delle tre parabole, l’unica che i discepoli chiedono in maniera perentoria, addirittura imperativa di spiegare, è quella che, non è che non l’hanno capita, forse è l’unica che hanno capito, ma sulla quale non sono d’accordo. Infatti “in casa; i suoi discepoli gli si avvicinarono per dirgli: «Spiegaci”, e il verbo è all’imperativo, con autorità, “la parabola della zizzania nel campo»”. Quindi questa parabola in cui Gesù smentisce la tentazione di essere una comunità di eletti, una comunità di superiori riguardo agli altri, questa non viene accettata dalla comunità dei discepoli.

Ebbene Gesù spiega, in questo resto della parabola, che sono gli individui che si giudicano da soli, scegliendo cosa essere: o essere grano, pane che alimenta, benedizione per gli altri, o essere zizzania, un tossico che avvelena e che dà la morte. Quindi tre tentazioni alle quali le comunità di tutti i tempi possono essere sottoposte, ma con la certezza, con la garanzia, che il messaggio di Gesù si realizzerà nonostante tutto, nonostante la pochezza dei termini.


Don Fabrizio Moscato – Commento al Vangelo del 16 Luglio 2020

Dopo aver registrato il triste rifiuto di città come Corazin, Betsaida e Cafarnao…

Dopo avere esultato di gioia nello Spirito e reso lode al Padre, che, nella sua benevolenza, continua a rivelare il Vangelo ai “piccoli”, ossia a chi si fa “più capace” dentro di sé…

Ecco l’invito ad andare a lui, nel momento della stanchezza, della fatica, della pesantezza… per trovare ristoro come chi riposa durante un lungo viaggio…

Mi aspetterei “finalmente” una pace disimpegnata, un sollievo che, con formula “all inclusive”, mi facesse entrare in un relax puro, “servito e riverito”…
Magari in tante tribolazioni desidererei proprio questo…

E invece Gesù attiva le mie forze residue orientandole a portare un peso diverso…
…il “suo” giogo, non i miei carichi…
…insieme con lui, non da solo…
…da piccolo che chiede, non da eroe sbruffone…

Niente ristoro che mi compensi la fatica.
Niente risarcimento o premio per i sacrifici che la vita mi impone.

Piuttosto un “imparare” ogni giorno da lui, mite ed umile di cuore, a prendere e portare in modo nuovo il peso della mia vita sempre segnata dalla croce.

Accogliendo la sua compagnia, sotto lo stesso giogo, lo stesso “iugum”…

Credendo fortemente e follemente che la mia storia di ogni giorno può essere vissuta guancia a guancia con il mio Salvatore, come veri coniugi…

Fonte: Telegram | Pagina Facebook

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don Antonio Savone – Commento al Vangelo del 16 Luglio 2020

In cosa consiste la mitezza? Nel lasciar essere l’altro quello che è (N. Bobbio). Ritornano qui le parole che Francesco scriverà nella “Lettera ad un Ministro”: “… e non pretendere che gli altri siano cristiani migliori”, dove per “altri” si intende coloro che gli procurano ostacoli e percosse. Diceva ai frati: “La pace che annunziate con la  bocca, abbiatela ancora più abbondante nel vostro cuore. Non provocate nessuno all’ira o allo scandalo, ma tutti siano attirati alla pace, alla bontà e alla concordia dalla vostra mitezza. Questa è la nostra vocazione: curare le ferite, fasciare le fratture e richiamare gli smarriti. Molti infatti, che ci sembrano membra del diavolo, un giorno saranno discepoli di Cristo” (FF 1469).

Il mite non entra nel rapporto con gli altri con il proposito di gareggiare, di confliggere e alla fine di vincere. Noi tutti sappiamo come il motore delle relazioni interpersonali sia l’invidia, quel sentimento che si declina come desiderio di essere l’altro, con qualcosa di preferibile agli occhi di un eventuale giudice che varia secondo le circostanze, sia esso un genitore, un amico, un professore, un datore di lavoro, un superiore…

La mitezza fiorisce in seno all’umiltà – mite e umile di cuore, aveva detto di sé Gesù – cioè in quella consapevolezza della comune fragilità che ci fa condividere la condizione degli altri, ci trattiene dal condannare chi sbaglia e ci spinge ad aiutarlo a sollevarsi. Perché fiorisce nel terreno dell’umiltà? Perché l’umiltà è propria di chi riconosce di non possedere la verità, ma di esserne in ricerca. “È per la felicità come per la verità: non la si ha, ma ci si è” (Adorno). Il più grande male nasce dalla presunzione del bene, dall’ignoranza del proprio limite. E questo anche all’interno della comunità cristiana: al bene, infatti, si può solo aderire, può essere scelto, mai imposto.

Un atteggiamento, dunque, mai prevaricante nei confronti degli altri, che lascia essere l’altro e soprattutto lo lascia essere così come è.

La mitezza è atteggiamento che si adotta non quando l’altro è buono: si è davvero miti quando l’altro è indocile, ribelle. Ecco perché non è un dato di carattere ma uno stile da apprendere: imparate da me – aveva ripetuto Gesù – che sono mite e umile di cuore.

Assumere uno stile relazionale improntato a mitezza significa aprirsi all’accoglienza: comporta, perciò, un certo diminuirsi per lasciarsi toccare dall’altro comunque esso sia. Diminuirsi per far spazio all’altro: il lasciare spazio all’altro è la forma più alta del darsi. Il Signore Gesù è colui che continuamente si ritrae pur nella consapevolezza di operare il bene: guarisce il cieco, sana il lebbroso ma lascia all’altro la sua libertà e la sua responsabilità: “Va’ e non peccare più…”. Questo è lo stile di Dio il quale perché il mondo accada deve ritrarsi, continuamente. Questa è mitezza: lasciare spazio all’alterità umana ed esporsi anche alla libertà imprevedibile dell’uomo. La mitezza è quell’atteggiamento che impara ad addomesticare la forza che pure vorremmo esprimere nella sfera relazionale.

Il Signore Gesù, lui per primo intraprende un percorso improntato a mitezza: egli che era l’unigenito Figlio di Dio non tenne per sé questa ricchezza e questa prerogativa ma scelse di diventare primogenito di molti fratelli arrivando a condividere con loro quanto più gli era proprio. E diventato primogenito di molti fratelli, rinunziò persino al diritto di primogenitura: e da primogenito si fece ultimogenito ponendosi non sopra il fratello e neppure alla pari con esso ma ai suoi piedi. E quando sulla croce il fratello arriva persino a togliergli la vita, l’unica che ha, neanche allora Gesù si sottrae all’esperienza della fraternità (G. Salonia).

Il mite resiste al male senza però scendere sul suo terreno e senza adottare i suoi metodi.

“Quelle cose che ti impediscono di amare il Signore Iddio, e ogni persona che ti sarà di ostacolo, siano frati o altri, anche se ti percuotessero, tutto questo tu devi ritenere come una grazia. E così tu devi volere e non diversamente… E ama coloro che ti fanno queste cose. E non aspettarti da loro altro, se non ciò che il Signore ti darà. E in questo amali e non pretendere che siano cristiani migliori… E in questo voglio conoscere se tu ami il Signore… se farai questo, e cioè: che non ci sia mai alcun frate al mondo, che abbia peccato quanto poteva peccare, il quale, dopo aver visto i tuoi occhi, se ne torni via senza il tuo perdono misericordioso, se egli lo chiede; e se non  chiedesse misericordia, chiedi tu a lui se vuole misericordia” (FF 234-235).


AUTORE: don Antonio Savone
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p. Arturo MCCJ – Commento al Vangelo del 16 Luglio 2020

Nel racconto della passione secondo Giovanni, Gesù ha in mano il controllo della propria vita e di tutto ciò che si sta svolgendo attorno.

Anche il testo presentato dalla liturgia odierna mostra che Gesù non soltanto ha controllo su tutto ciò che si sta verificando ma anche su quello che sta succedendo nei dintorni. Solo il quarto evangelista racconta che la madre di Gesù stava presso la croce.

Sia nelle nozze di Cana che sotto la croce, Gesù non chiama sua madre con il proprio nome, ma le dà il titolo bellissimo di “Donna” (Gv 2,19.26). Sulla croce Gesù sta parlando a una comunità intera che ha sempre aspettato un messia come Gesù e che fino alla fine gli rimane fedele, di cui Giovanni usa l’immagine nella persona della Madre di Gesù (che non chiama mai per nome).

Da questa comunità che il Signore ci invita a imparare la fedeltà e la speranza nella presenza e nell’intervento di Dio nella storia, anche quando tutto sembra assurdo e doloroso


Fonte: Telegram

Il canale Telegram “Vedi, Ascolta, VIVI il Vangelo”.

Un luogo dove ascoltare ed approfondire la Parola con l’apporto di P. Arturo, missionario comboniano ?? ???????????, teologo biblista. Se vuoi comunicarti con loro, scrivici a paturodavar @ gmail.com BUON CAMMINO!!!

https://t.me/parolaviva

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Don Antonio Mancuso – Commento al Vangelo del 16 Luglio 2020

E’ una pagina del vangelo che conosciamo molto bene… l’ho letta e meditata più volte… ma oggi desidero soffermarmi su due parole: mite e umile di cuore.

Mite
Mite non è semplicemente paziente o tollerante… non è semplicemente una persona che tende alla pace… anche, ma è anche di più… mite è colui che non entra in conflitto.
Ma attenzione, non perché non vuole prendere posizione (sarebbe un pavido, un pauroso) ma perché niente può togliergli la pace perché la sua pace è fondata su altro.
Mite per eccellenza è Gesù che non perde la serenità… non perde la pace… neanche di fronte all’ingiustizia.

Umile di cuore
Non dice semplicemente umile… ma umile di cuore! E il cuore, nella mentalità biblica, non è semplicemente la sede dei sentimenti… ma della ragione… della scelta.
Allora, forse, umile di cuore può significare umile nelle scelte… nelle decisioni… nello stile di vita…
Umile di cuore è Gesù che potendo scegliere… alla fine ha scelto la croce per mostrare pienamente la sua umanità… la sua divinità…

Mite è umile di cuore
È l’invito che Gesù fa a noi… e se Gesù ce lo fa… evidentemente è qualcosa che possiamo fare… che possiamo raggiungere… come?
Preghiera e volontà
Preghiera perché la mitezza si ha solo se è decisivo, saldo e fondamentale il nostro rapporto con Dio… solo se è Lui la fonte della nostra pace.
Volontà perché l’umiltà, spesso, è anche questione di scelta…

Mite e umile di cuore… vuoi esserlo? Decidilo ora stesso!

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AUTORE: Don Antonio Mancuso
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don Vincenzo Marinelli – Commento al Vangelo del 16 Luglio 2020

“Imparate da me”

I bimbi hanno una velocità nell’apprendere perchè imparano vedendo tutto ciò che fanno gli adulti. Da adulti le capacità nell’apprendere rallentano sempre di più e diventano più selettive. Un adulto impara in modo mirato o secondo quanto lo appassiona o perchè c’è una necessità, un bisogno. Impara pertanto a scartare col tempo tutte quelle fonti di informazione e di formazione di cui non ha necessità o per cui non ha interesse. Quali sono le tue fonti di formazione in questo periodo della tua vita? Tra queste c’è anche Gesù?
Gesù invita ad imparare da Lui.

Ma tu cosa impari da Gesù e come lo impari? Per imparare da Lui vuol dire che lo riconosci come un maestro, qualcuno che ti offre una formazione a cui sei interessato. Che interesse hai verso la formazione di Gesù? Cosa ti aiuta a perseguire? in che modo? Prova a rispondere a queste domande guardando dentro di te, soffermandoti a vedere nel tuo cuore quello che senti verso Gesù. Non fermarti a risposte forse ortodosse, ma veloci e mentali. Gesù ti chiede di imparare da Lui, tu da chi ti stai lasciando istruire?

In breve

Imparare da Gesù richiede di avere un’interesse verso la sua formazione. Tu che interesse hai? Da chi ti stai lasciando istruire?


Di don Vincenzo Marinelli anche il libretto:

La buona novella. Riflessioni per l’Avvento e il Natale disponibile su: AMAZON | IBS

Commento a cura di don Vincenzo Marinelli

don Nicola Salsa – Commento al Vangelo del 16 Luglio 2020

Non preoccupatevi di cosa direte

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Piotr Zygulski – Commento al Vangelo del 16 Luglio 2020

Lo “stare” (histemi) delle Marie vicino (para) alla Croce e lo “stare vicino” (para+histemi) alle Marie del Discepolo Amato non sono di certo un parcheggiarsi, un addormentarsi, o un “divanarsi” come direbbe Papa Francesco.

Innanzitutto si giunge al Monte non perché si è stati immobili, ma perché si sta nel cammino. Lo “stare” non è quindi in antitesi con il “camminare”, ma ne è anzi la vigilanza, la persistenza, la fedeltà, il radicarsi nella salita al Monte in cui Dio si manifesta come Crocifisso, in cui il suo annientarsi assorbe la nostra desolazione.

Lo “stare” è poi un “esserci” di prossimità, di solidarietà, di servizio; è uno “stare radicalmente per” qualcuno: la Madre è per Gesù, ma si accorge che innanzitutto è Gesù per la Madre. Lei – nello sguardo del Figlio – fa esperienza che il Discepolo Amato è amato per Lei, vive per Lei, sta per Lei. Lei ci sta.

E il Discepolo la riconosce come Madre dolce, Madre del Figlio e Madre sua, che è figlio nel Figlio, e quindi fratello della Sorella che ha scelto di starci sino in fondo per amore. Ed è proprio qui, in questa reciproca unità propiziata dal nullificarsi per l’altro, che lo “stare” si vive proprio nello stare vicini insieme: nell’abitare, nonostante le spine e la guerra che infuria, il fiore gigliato del Nulla in cui si nasconde il Dio Crocifisso.


Commento a cura di:

Piotr Zygulski, nato a Genova nel 1993, dopo gli studi in Economia all’Università di Genova ha ottenuto la Laurea Magistrale in Filosofia ed Etica delle Relazioni all’Università di Perugia e in Ontologia Trinitaria all’Istituto Universitario Sophia di Loppiano (FI), dove attualmente è dottorando in studi teologici interreligiosi. Dirige la rivista di dibattito ecclesiale “Nipoti di Maritain” (sito).

Tra le pubblicazioni: Il Battesimo di Gesù. Un’immersione nella storicità dei Vangeli, Postfazione di Gérard Rossé, EDB 2019.

Arcidiocesi di Pisa – Commento al Vangelo del 16 Luglio 2020

Medita

Tutti abbiamo carichi pesanti, difficili da affrontare e sopportare, ma nei momenti di crisi dobbiamo rifugiarci in Gesù, l’unico in cui possiamo trovare la pace dal mondo e dagli affanni.
Dio si trova in ogni luogo che ci circonda: un fiore, un bambino, un sorriso, il cielo, il mare.
Riposiamoci in Dio cercando di resistere alla malinconia e alla tristezza e impariamo dall’umiltà di Gesù a portare il nostro giogo con pazienza.
Il rifugio in Dio è un giogo dolce e mite che solleva l’anima dalle nostre debolezze.

Rifletti

Cosa ci opprime? Quali demoni interiori ci perseguitano? Cerco di restare fedele alla parola di Dio? Come indirizzo la mia vita verso il Regno dei Cieli?

Prega

Signore veglia su di noi e sui nostri cari.
Togli dal nostro cuore egoismo, orgoglio, indifferenza.
Insegnaci ad essere umili
e pronti ad aiutare chi soffre, chi è solo,
malato e bisognoso di affetto.
Grazie per la tua presenza nella nostra vita.


AUTORE: Claudia Lamberti e Gabriele Bolognini
FONTE: Ascolta e Medita – Centro Pastorale per l’Evangelizzazione e la Catechesi
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