Home Blog Pagina 5675

Missionari della Via, Commento alle letture di domenica 19 Luglio 2020

Il commento alle letture di domenica 19 Luglio 2020 a cura dei Missionari della Via.

Meditiamo la Parola

Nel Vangelo di questa domenica ci vengono presentate le parabole raccolte da Matteo nel capitolo tredicesimo. Gesù nelle sue parabole (oscure alla folla ma spiegate in disparte a chi vuol capire) fa ricorso a delle immagini di vita concreta. Nella parabola della zizzania possiamo dare una chiave di lettura doppia.

Parlando ai discepoli che gli chiedono il senso della parabola Gesù dice che il campo è il mondo, il grano buono è stato piantata da Lui e la zizzania dalle persone che vediamo intorno a noi, possano cambiare diventando grano! Quante volte abbiamo assistito a cambiamenti, a conversioni di persone che dal buio sono passate alla luce, dal peccato alla grazia. Quante testimonianze abbiamo di persone che in passato hanno vissuto nell’egoismo e poi sono giunte fino a dare la vita per gli altri! Come non pensare a tutti i pubblicani e peccatori che Gesù ha incontrato e chiamato, compreso qualche apostolo. Il cammino cristiano non parte dalla perfezione ma in modo graduale si avvicina sempre più al Signore, in un cammino comunque mai veramente compiuto.

«L’atteggiamento del padrone è quello della speranza fondata sulla certezza che il male non ha né la prima né l’ultima parola. Ed è grazie a questa paziente speranza di Dio che la stessa zizzania, cioè il cuore cattivo con tanti peccati, alla fine può diventare buon grano. Ma attenzione: la pazienza evangelica non è indifferenza al male; non si può fare confusione tra bene e male! Di fronte alla zizzania presente nel mondo il discepolo del Signore è chiamato a imitare la pazienza di Dio, alimentare la speranza con il sostegno di una incrollabile fiducia nella vittoria finale del bene, cioè di Dio» (Papa Francesco).

Ma non vi è solo la zizzania che sta intorno a noi e che spesso vediamo più facilmente, vi è anche quella nel nostro cuore. Padre Giovanni Vannucci, uno dei massimi mistici del ‘900, diceva: «il nostro cuore è un pugno di terra, seminato di buon seme e assediato da erbacce; una zolla di terra dove intrecciano le loro radici, talvolta inestricabili, il bene e il male». Vediamo qualche germoglio di bene, ma spesso il male sembra prendere il sopravvento nella nostra vita. Spesso ci scoraggiamo, pensiamo di non essere in grado di cambiare su certi aspetti, a volte si diventa così pessimisti da giungere anche alla disperazione. Ma «la parabola ci invita a liberarci dai falsi esami di coscienza negativi, dallo stilare il solito lungo elenco di ombre e di fragilità, che poi è sempre lo stesso. La nostra coscienza chiara, illuminata e sincera deve scoprire prima di tutto ciò che di vitale, bello, buono, promettente, la mano viva di Dio ha seminato in noi: il nostro giardino, l’Eden affidato alla nostra cura» (Enzo Bianchi). Coraggio dunque, camminiamo, non perdiamo mai la speranza perché la speranza non delude mai!

Preghiamo la Parola

Aiutami, Signore, ad essere seminatore di bene e di speranza, piuttosto che seminatore di zizzania e pessimismo

VERITA’: Vita interiore e sacramenti

Mi ritaglio del tempo per esaminare la coscienza? Cerco di far attenzione a quali pensieri e sentimenti coltivo in me?

CARITA’: Testimonianza di vita

Cerco di essere paziente con me e con le persone che ho accanto? O mi faccio prendere troppo facilmente dalla pretesa del “tutto e subito”?

Sito web


Immagine by Benjamin Sz-J. from Pixabay

don Guido Santagata – Commento al Vangelo di domenica 19 Luglio 2020

Oggi una domanda sorge spontanea, se il seminatore ha seminato a piene mani anche sulle pietre anche tra i rovi, da dove viene la zizzania, da dove viene il male?

Una domanda che si ponevano i primi cristiani e che anche oggi noi continuiamo a porci. Gesù risponde a questo interrogativo dicendo che qualcun altro ha seminato la zizzania, cioè il male non è nel progetto di Dio.

Quindi ci sta dicendo che sulla terra il bene e il male crescono insieme. Non pensiamo che il terreno sia qualcosa di esterno a noi, ma è la nostra vita: è lì che si trovano e crescono insieme grano e zizzania. Ciò che a noi interessa è che il grano sia più abbondante e che la zizzania non soffochi il grano.

Questa parabola di oggi è una parabola di incoraggiamento e non di rassegnazione, l’invito a custodire il grano buono senza strappare via la zizzania rischiando di strappare anche il grano. Lasciamoli crescere insieme avendo pazienza e fiducia che il mietitore a suo tempo prenderà tutto il grano buono e lascerà perire la zizzania.


Commento a cura di don Guido Santagata della Parrocchia Santa Maria Assunta-Duomo di Sant’Agata de’Goti (BN)

don Pasquale Giordano – Commento al Vangelo del 19 Luglio 2020

Il tempo, il dono più prezioso di Dio

XVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)

La parabola è un racconto che aiuta colui che ascolta ad accostare la storia alla propria vita. Nelle parabole raccontate da Gesù l’ascoltatore è chiamato ad entrare in contatto con Dio che, agendo nella storia degli uomini, la fa diventare storia di salvezza. Questo passaggio spesso sfugge all’uomo che, soprattutto nelle situazioni più dolorose, s’interroga sul senso degli eventi, sul ruolo che Dio ha nel loro svolgersi e come intervenga per aiutare la sua creatura. Fondamentalmente la domanda di sempre è questa: se Dio è buono perché il male? Nella parabola la drammatica questione è formulata nella duplice domanda che i servi rivolgono al padrone: «Non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?». 

All’origine c’è qualcosa di nascosto alla coscienza dell’uomo che è possibile conoscere solo per rivelazione. Si tratta del mistero e del silenzio che avvolge l’origine del bene e quello del male, l’azione di Dio e quello del maligno che a Lui si oppone. La domanda dei servi rivela la conoscenza imperfetta del loro padrone: sono consapevoli della sua azione e della sua prerogativa ma sono dubbiosi sulla sua bontà. Così, di fronte alle prove della vita, la nostra fede è insidiata dal dubbio sul suo modo di agire di Dio e, in definitiva, sulla sua giustizia. Il male insidia la tenuta della relazione. Questo vale anche nel rapporto tra di noi. Quando in una relazione spuntano i difetti sorgono spontanee anche le domande. Dunque, la questione fondamentale è come affrontare i problemi nella vita, soprattutto quando nella relazione emergono ostacoli naturali o quelli causati da una mano esterna. Bisogna reagire e non subire, ma ci si domanda: quali soluzioni individuare e attuare? I servi hanno una loro visione delle cose e una conseguente soluzione che però appare nettamente diversa da quella del padrone. I servi vorrebbero subito intervenire per sradicare la zizzania mentre il padrone del campo sceglie l’attesa. Quella dei servi è la mentalità di quei radicali che si ergono a giudici come se loro stessi sono padroni. In realtà il radicalismo è una forma di orgoglio che rivela più l’attaccamento al proprio io che cura e premura verso gli altri. L’orgoglioso agisce d’impulso arrogandosi diritti che non gli appartengono e funzioni che non gli competono con l’effetto disastroso di eliminare zizzania e grano. L’aggressività è l’atteggiamento sbagliato di chi si erge a giustiziere che distrugge proprio quello che vorrebbe custodire e proteggere. 

Dio indica un’altra soluzione: dare tempo. Questo si traduce nell’attesa che da una parte è inattività, cioè limitazione della propria istintività e aggressività, dall’altro è attenzione ai processi di crescita che non sono stati attivati da noi ma da altri più grandi di noi. Dio e il Maligno hanno seminato il bene o il male, cioè hanno avviato processi con finalità diverse. I servi ricevono dal padrone una consegna: lasciar crescere insieme e poi mietere per bruciare la zizzania e raccogliere il grano. Fuor di metafora l’indicazione data da Dio è riassumibile nei verbi dell’attesa paziente: osservare, accompagnare, lasciare e conservare. 

Osservare è un atteggiamento diverso del semplice stare a guardare, perché chi osserva fa discernimento coglie la verità più profonda delle cose, l’elasticità mentale gli consente di assumere altri punti di vista, vedere gli eventi in maniera differente e mutare il proprio giudizio senza rinnegare se stesso, mentre chi è spettatore rimane sulla superficie delle cose e non è capace di cambiare opinione, ma orgogliosamente piega e deforma la realtà per giustificare se stesso. In fondo è proprio questo il fine dell’azione del nemico: deformare la verità, sclerotizzare il cuore, schematizzare la realtà, mortificare la creatività, irrigidire le relazioni rendendole motivo continua di conflitto e contrapposizione. 

Lasciar crescere insieme grano e zizzania significa accettare dentro di sé e negli altri anche ciò che non ci piace. Lasciar crescere insieme indica l’atteggiamento della inclusione che si oppone alla tendenza contraria della esclusione o emarginazione. L’esercizio della pazienza avviene ogni qualvolta accettiamo non con rassegnazione, ma con fiducia, il limite, l’imperfezione, l’ostacolo, la prova, la contraddizione. 

La rabbia, la paura, il rancore, il senso di colpa, il pregiudizio generato dal male seminato dal nemico, dentro di noi e nel cuore dei nostri fratelli, non ci rende lucidi e razionali per prendere decisioni opportune e attuare scelte adeguate.

Il peccato, di cui parla il Libro della Sapienza, è ciò che spunta nel cuore di ogni uomo. Dio, amante di ogni sua creatura che non vuole la morte del peccatore ma che si converta e viva, offre il tempo del pentimento, cioè tempo opportuno nel quale crescere nella pazienza, nell’umiltà e nella speranza. Il pentimento è una costante verifica su se stessi, per lasciare ciò che va affidato al giudizio di Dio e conservare ciò che serve per seminare ancora o per nutrirci di pane. La mietitura sarebbe l’esame di coscienza e l’atto finale del discernimento in situazioni critiche. Il male va affidato al giudizio insindacabile di Dio, mentre il bene che conserviamo e raccogliamo serve per continuare a spargere il seme dell’amore e preparare il pane da spezzare per fare comunione. In questo senso comprendiamo il significato delle altre due allegorie, quella del piccolo che diventa un grande arbusto e del lievito che fa crescere la massa. La pazienza con la quale affrontiamo i problemi della vita si coniuga con l’umiltà con cui si inizia ogni processo di crescita e la speranza che fa crescere ciò che si è iniziato. La pazienza è dunque l’umiltà di iniziare sempre di nuovo, anche se non è mai come prima, e la speranza che è la forza dello Spirito che porta a compimento quello che Dio ha iniziato.

Auguro a tutti una serena domenica e vi benedico di cuore!


Commento a cura di don Pasquale Giordano
FonteMater Ecclesiae Bernalda
La parrocchia Mater Ecclesiae è stata fondata il 2 luglio 1968 dall’Arcivescovo Mons. Giacomo Palombella, che morirà ad Acquaviva delle Fonti, suo paese natale, nel gennaio 1977, ormai dimissionario per superati limiti di età… [Continua sul sito]

Fabrizio Morello – Commento al Vangelo del giorno, 19 Luglio 2020

Anche questa Domenica, cosi’ come la precedente, ha per protagonisti “ i semi “, “ il seminatore “, “ il terreno “.

Gesu’ insegna utilizzando queste parole tratte dal linguaggio contadino, molto familiari al suo uditorio.

Oggi, in particolare, usa questi termini per spiegare che cosa è il “ Regno dei cieli “.

La prima similitudine è tra “ regno dei cieli “ e “ uomo che ha seminato buon seme nel suo campo “.

E’ chiaro, come illustrerà anche ai discepoli che gli chiederanno di spiegar loro la parabola, che i seminatori sono Padre e Figlio, i quali gettano, senza misura, come abbiamo visto Domenica scorsa, il seme dappertutto.

A dar fastidio a quest’opera c’è il maligno, che porta la zizzania.

Zizzania.

E’ una pianta erbacea simile al frumento, che nasce nei campi coltivati e che produce una farina tossica, la quale nuoce al frumento, con il quale si confonde.

Da cio’ nasce l’espressione “ seminare ” o “ mettere zizzania ”, che significa creare, subdolamente e con malignità, ostilità fra le persone.

E’ accaduto al Signore e…accadrà anche a noi: è questo il primo insegnamento di questa Domenica.

Dobbiamo prendere atto che se vogliamo iniziare a costruire “ il regno dei cieli “ già su questa terra, seminando buon frumento, cioè diffondendo la Parola, testimoniando la nostra fede, ci sarà qualcuno che ci osteggerà, ci combatterà, ci calunnierà, metterà, cioè, zizzania, per cercare di screditare noi e, soprattutto, la Parola.

Animo dunque…, è successo a Cristo e, quindi, non lamentiamoci, anzi, insistiamo, quando capiterà a noi poiché….. sappiamo come andrà a finire.

Quando saremo faccia a faccia con Cristo, se avremo perseverato e avremo sempre seminato frumento “ splenderemo come il sole nel Regno del Padre “.

Chi, invece, avrà seminato zizzania sarà “ gettato nella fornace ardente “.

Restiamo sempre creatori di unione, di concordia, e mai di divisione.

Passando al “ secondo seme “ vediamo che Cristo paragona il “ Regno dei cieli “ ad un granello di senapa, che è “ il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami “.

Leggendo questi versetti la mente va al precedente capitolo del Vangelo di Matteo ove Gesu’ loda il Padre perché “ ha nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le ha rivelate ai piccoli “.

E’ l’ennesimo invito alla “ piccolezza “.

Al regno di Dio si accede se si è piccoli, umili, accettando la propria fragilità ed i propri limiti creaturali ma impegnandosi nella sua costruzione con i talenti che si hanno a disposizione.

Mantenendo sempre questo atteggiamento di “ piccolezza “ si diventa dei “ giganti “, dei testimoni della fede credibili al punto tale che anche gli altri “ verranno a fare il nido tra i nostri rami “, cioè ci prenderanno ad esempio per la loro vita.

Infine il Regno viene paragonato al lievito che “ una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata “.

Il lievito è un “ microrganismo che contamina la pasta, facendola crescere “.

E’ l’altro grande insegnamento che vuole darci la Parola di oggi.

Sta ad ognuno di noi essere quel lievito, quell’elemento capace di far moltiplicare, crescere, la diffusione della Parola per portare sempre più persone verso Cristo.

Frumento, senapa e lievito: questo siamo chiamati ad essere per costruire, sin da ora, il Regno di Dio.


- Pubblicità -

don Luigi Maria Epicoco – Commento al Vangelo del 19 Luglio 2020 – Mt 13, 24-43

Tante suggestioni ci lascia il Vangelo di oggi. Ma ce n’è una che assume un messaggio di immensa attualità perchè legata alla natura dell’uomo: la parabola del grano e della zizzania. Gesù, che non è mai un ingenuo nei suoi discorsi, spiega ai discepoli che in mezzo alle cose buone è sempre in agguato anche ciò che non è buono.

Non bastano le etichette DOC sui campi che frequentiamo a dire che lì non c’è il male, non c’è la zizzania, perchè essa è seminata dal “nemico” quando nessuno se ne accorge. Ma la domanda vera è cos’è la zizzania? “La zizzania sono i figli del maligno e il nemico che l’ha seminata è il diavolo”, così dice Gesù. E ciò è interessante perchè noi solitamente pensiamo che la zizzania sia la semplice “maldicenza”, invece Gesù dice che sono delle persone vere e proprie.

Chi sono questi “figli del maligno”? E’ facile riconoscerli, anche se a volte non hanno nemmeno loro consapevolezza di essere tali, sono tutti quelli che seminano divisione, cattiveria, egoismo, paura, insicurezza, tristezza ovunque passano. Ma “figli del maligno” non si nasce ma si diventa… Ciò accade quando la zizzania non la esteripiamo dentro di noi, così prende il sopravvento anche sul “buono” che ci abita e soffoca tutto.

Rischiamo tutti di diventare “figli del maligno” e di vivere la nostra vita portando a compimento il progetto del Male e non del Bene. Credere significa avere un’immensa cura di ciò che ci portiamo dentro, per essere sempre pronti a estirpare, togliere, tagliare, buttare tutto quello che potrebbe inquinare il nostro vero essere, la nostra vera pace, lo scopo vero per cui siamo nati.

Persino il dolore può diventare dentro di noi causa di marciume. Quando non viviamo bene le esperienze tristi della vita, allora esse si trasformano dentro di noi in rancore, rabbia, invidia e così disseminiamo tutto questo fuori di noi. Il brutto di tutto ciò sta nel fatto che solo alla fine Dio metterà mano per tirare delle conseguenze alla nostra vita di “grano” o di “zizzania”, e magari allora sarà troppo tardi per virare in un altra direzione.

Ma ciò è anche un’opportunità, è l’opportunità di avere ancora del tempo per iniziare questa santa coltivazione dentro di noi senza aver paura della zizzania che ci abita o ci circonda ma sforzandoci almeno di metterla quanto più possibile in minoranza.

Fabrizio Francesco Campus – Commento al Vangelo del giorno – 18 Luglio 2020

“Non contesterà né griderà
né si udrà nelle piazze la sua voce.
Non spezzerà una canna già incrinata,
non spegnerà una fiamma smorta”

Questo passo del Vangelo di oggi mi colpisce particolarmente, perché leggendolo trovo lampante la differenza tra Gesù e il mondo, tra la logica dell’Amore e quella dell’utile. E non serve andare molto lontano per fare degli esempi. Ciò che agli occhi di tutti non può più dare nulla, per Dio è ancora prezioso.

Lì dove tutti ti dicono che non c’è più niente da fare, Gesù ti dice che puoi ancora sperare perché hai il Suo Nome come garanzia. Non buttare niente della tua vita, perché agli occhi del Signore è tutta preziosa. Lascia a Lui l’ultima parola su di te, perché non sarà la fine “finché non abbia fatto trionfare la giustizia”.


Fonte

AUTORE: Fabrizio Francesco Campus
FONTE: Sito web
SITO WEB
CANALE YOUTUBE

PAGINA FACEBOOK

TELEGRAM
INSTAGRAM

TWITTER

Padre Giulio Michelini – Commento al Vangelo di domenica 19 Luglio 2020

Le parabole del Regno dei cieli.

Le tre parabole del Regno

Seguiamo ancora il discorso parabolico di Gesù nel capitolo tredicesimo di Matteo, e troviamo nel lezionario di questa domenica tre parabole: quella della zizzania (con la sua spiegazione), a cui seguono quella del granello di senapa e del lievito. Queste parabole sono accomunate dallo stesso incipit, dove emerge la similitudine con il «regno dei cieli», ma anche da un lessico e contenuti simili.

In questo capitolo 13, il sintagma «regno dei cieli» ricorre sette volte (sulle trentadue in cui appare in tutto il primo vangelo). Tipicamente matteano, corrisponde all’uso sinagogale antico, già attestato nella seconda metà del I secolo con Yohanan Ben Zakkai, e testimonia l’origine giudeo-cristiana della comunità di Matteo. È difficile dare una definizione di questa espressione, perché sembra proprio che Gesù e il vangelo rifiutino di circoscriverla, scegliendo il genere parabolico per trattarne (per l’aggiunta con la formula «è simile a…»), e non un altro tipo di discorso. Un ulteriore problema nasce dalla traduzione del primo membro del sintagma: la parola basileía – oltre alla più nota idea di “regno” – può esprimere diversi concetti: “regalità”, “dominio”, “governo regio”, “potestà regia”, “reame”, “signoria”. Un’interpretazione dell’espressione «regno dei cieli» senza tener conto del suo retroterra biblico può portare fuori strada, perché può essere compresa in modo troppo vago e astratto oppure, all’opposto, magari trovandovi l’idea di un territorio delimitato sul quale Dio governerebbe. L’espressione “regno dei cieli” sembra voler dire che è Dio a governare “come” un re. Se dunque l’accento è sulla relazione tra chi governa ed è governato, solo in secondo momento vi è un riferimento alla storia o al territorio sul quale si esercita tale dominio. Nel vangelo di Matteo però è di particolare importanza anche la seconda parola dei due membri, “cieli” (ottantadue occorrenze in Matteo contro le diciotto di Marco e le trentacinque di Luca), che è spesso in dialettica con la “terra” ed è, nella simbolica biblica, il luogo di Dio, o il modo in cui ci si riferisce a Dio con una cincorlocuzione.

Resta da aggiungere che il raffronto tra (regno del) cielo e (quello della) terra è reso possibile proprio attraverso la parabola di cui si fa largo uso in questo capitolo. Ponendo il confronto tra la realtà del cielo e quella della terra, essa infatti cerca di guidare il lettore alla scoperta di un senso all’interno dell’intricato e difficile mistero della vita, ricercando in questa il meraviglioso come possibile. Il regno dei cieli diventa un mondo possibile a partire dalla realtà quotidiana, il teatro del processo di realizzazione di quel mondo del cielo (Andrea Andreozzi).

Il grano e la zizzania

La prima parabola è esclusivamente matteana, ed è un’allegoria che mostra come “funziona” la storia del mondo e del Regno dei cieli. Notiamo in primo luogo che tutto accade mentre si dorme («mentre tutti dormivano», Mt 13,25), senza piena coscienza dell’uomo, ovvero, senza che questi si possa pienamente rendere conto dell’intervento del nemico che semina zizzania. Non che gli uomini siamo stupidi, tutt’altro: si vuole forse dire che a noi non spetta mai la comprensione definitiva della realtà. Infatti, non si conosce il tempo nel quale il figlio dell’Uomo ha seminato il grano buono, e la semina della zizzania è compiuta di notte, che nella Bibbia è spesso il momento dei sotterfugi e dei ladri, dell’insonnia dei malfattori ma anche lo spazio in cui avviene qualcosa di cui non si è pienamente consapevoli. E la zizzania, di notte, viene seminata da un nemico.

Esiste infatti un nemico. Questo è avvolto dall’oscurità, non se ne vedono i contorni, ma soprattutto non si sa da dove venga: c’è e basta, come il serpente che Adamo ed Eva incontrano perché è già nel giardino. Ma una cosa è certa: il nemico non è voluto da Dio, non viene da lui, perché fa il contrario di quello che Dio compie, e, anzi, è proprio definito «il suo nemico» (Mt 13,25). Il credente così deve affrontare non solo gli ostacoli “naturali”, quelli che riguardano la propria esistenza, i limiti che impone la vita, ma anche chi non vuole il suo bene: l’esperienza cristiana assume i contorni di una lotta contro il Male.

La parabola però si apre alla speranza: insistendo nel dire che il campo è del Seminatore, è davvero suo («ha seminato del buon seme nel suo campo»; 13,24), Matteo sottolinea che il mondo è nelle mani del Figlio dell’uomo. È il Signore che se ne dovrà preoccupare, e non si lascerà sfuggire di mano il raccolto buono.

Poiché la realtà nel suo complesso non può essere pienamente afferrata dall’uomo, non si dà allora lo spazio ad una soluzione definitiva umana per l’oggi: bisognerà aspettare domani il giudizio di qualcun’altro. Di fronte all’incombere del male, della zizzania che cresce e che forse è molto più evidente del grano buono, quella che i servi propongono è una soluzione, appunto, “da servi”, non da discepoli: «Vuoi dunque che andiamo a raccogliere la zizzania?» (Mt 13,28). Ma non deve accadere che per eliminare il male anche il bene subisca danno: si deve piuttosto attendere la fine del mondo: «Il grano e la zizzania, cioè il bene e il male, crescono insieme in un intreccio che non spetta all’uomo districare. Lo farà il Signore a suo tempo» (Bruno Maggioni). Certo, questo ci sconcerta: perché la resa dei conti non può aver luogo subito, perché Dio non distrugge i cattivi e sin da ora non esalta i buoni? Perché il male con il quale lottare ogni giorno? Perché le prove, la tentazione, la lotta e l’insicurezza del non poterne uscire vittoriosi? Questa parabola è come un inno alla pazienza, e dice del martirio a cui ogni uomo è sottoposto nella sua persecuzione quotidiana.

Vi è però un’altra notizia importante nella nostra parabola: il mondo è destinato a finire. Di fronte alla nostra realtà, sempre più giocata sul quotidiano e sui bisogni immediati da soddisfare, quest’aspetto è di un enorme significato: «La mietitura rappresenta la fine del mondo, e i mietitori sono gli angeli» (Mt 13,39). Non c’è un per sempre delle realtà terrene, tutto ha una fine, tutto è sottoposto alla caducità. E nel mondo, oltre all’incombere del male nella sua forma di seminatore di zizzania, vi è anche una misteriosa e buona presenza angelica. Non siamo abbandonati alla nostra sorte, e gli inviati di Dio si mostreranno finalmente presenti così come, anch’essi mossi dalla pazienza, hanno partecipato nel segreto alla lotta degli uomini.

Dietro un semplice racconto che parla di campi e di semi, è nascosto il segreto del nostro mondo e del Regno. Quella della zizzania e del grano è senz’altro, nel capitolo tredicesimo di Matteo, la parabola più escatologica di tutte, quella che apre il cuore alla prospettiva futura. Ma ha anche un forte senso legato alla vita della Chiesa e della comunità dei credenti: «Matteo vuol spiegare come mai né il mondo né la stessa chiesa siano fatti solo di giusti, e come si debba imparare ad accettare pazientemente questo fatto, pena un peccato ancora più grave di orgoglio e di presunzione» (Alberto Mello).

Le altre parabole

La seconda parabola del Regno: il grano di senape (13,31-32). La chiave per entrare nella seconda immagine che Gesù usa per illustrare il Regno – con una parabola che Matteo condivide con Marco e Luca – non è tanto la dimensione dell’albero di senape, che raggiunge al massimo un paio di metri di altezza (e quindi l’idea che gli uccelli vi nidifichino potrebbe essere iperbolica), quanto piuttosto il rapporto tra la piccolezza del seme (un classico esempio tra i rabbini, come testimoniano fonti antiche) e il frutto (p. es., le opere della fede; cfr. 17,20) o l’albero che ne diviene. Così è del frutto della semina della parola, qualunque esso sia. Altre interpretazioni che vogliono entrare nel dettaglio (l’albero è la Chiesa; gli uccelli sono i pagani che vi accederanno ecc.) non sono evincibili dal contesto (che tratta piuttosto del regno dei cieli e del suo umile inizio), nonostante alcuni testi veterotestamentari possano condurre a queste conclusioni (cf. p. es. Ez 17,23).

La terza parabola del Regno: il lievito (13,33). Questa parabola o detto di Gesù non si trova in Marco, ma è condivisa con Lc 13,20-21. Protagonista è, unico caso in tutte le parabole di questo capitolo, una donna, elemento simbolico che tra l’altro prepara lo scenario successivo, domestico, quello che si apre con Gesù che entra nella casa. Nella cultura del tempo di Gesù, però, l’immagine del lievito non doveva essere del tutto positiva, e anche nel primo vangelo sarà impiegata in questo senso (vedi Mt 16,5-12), come altrove nel NT (cf. 1Cor 5,7-8). Più in particolare, è ovvio che nella prassi liturgica di Israele, con la festa di Pasqua (secondo le prescrizioni di Es 12,18-20.34.39; Nm 28,16-17; Dt 16,3-4) il lievito rappresentasse qualcosa di impuro da eliminare dalla pasta. Ecco perché secondo alcuni esegeti Gesù sceglierebbe volutamente un simbolo ambiguo, per operare una specie di rovesciamento dell’ovvio e invitare a non dare nulla per scontato a riguardo della presenza del Regno nella realtà e nella storia. Ciò che sembra contare qui, infatti, è soprattutto l’idea che il lievito sia nascosto, ovvero il fatto che anche se il Regno non si dovesse vedere, c’è e opera sul “tutto”.

Le due parabole del seme e del lievito potrebbero essere legate da un filo nascosto. Curiosamente la quantità di farina di cui si parla nella parabola del lievito è esattamente la stessa quantità impastata da Sara per offrire un pasto ai suoi ospiti, secondo Gen 18,6. Alberto Mello elabora su questa corrispondenza una bella interpretazione, secondo la quale l’uomo che ha seminato il seme di senape è Abramo, il seme è la sua fede, e la donna rappresenterebbe pertanto Sara. Se tutto il mondo si regge sulla fede di Abramo (come si credeva allora), con Gesù e la sua Chiesa il Regno assumerà una dimensione universale, rappresentata forse dall’albero grande che evoca la profezia di Ez 17,22-23.


don Marco Pozza – Commento al Vangelo di domenica 19 Luglio 2020

Permesso di soggiorno temporaneo al male

Il male è una di quelle storiacce che fa male: un certo male, poi, fa tanto di quel male da farti stare davvero male. Un vero e proprio ladrocinio di Lucifero. I discepoli, sfrontati, sono subito pronti a gettare addosso a Cristo la colpa: «Non hai seminato del buon seme nel tuo campo». Che è come dire: “Se Dio esiste, il male da dov’è che viene?” Lui, praticante agricolo con passato di carpenteria, di faccia ce ne ha una sola: «Un nemico ha fatto questo».

Attenzione, amici miei: i nomi e i cognomi esistono perchè ognuno è responsabile di ciò che compie. Le persone peggiori sono quelle che sanno quali tasti toccare per farti male e poi ci schiacciano sopra tutto il peso della loro barbarie. Benvenuta, zizzania: geloso da morire, il maiale di Lucifero si diverte ad infestare il campo di grano perchè non è capace di sostenere il peso della sfida. «Il mondo è un posto pericoloso – scrive Einstein – non a causa di quelli che fanno male, ma per causa di coloro che stanno a guardare senza fare niente». La replica di Gesù all’ingegnosità di quegli amici – «Vuoi che andiamo a raccoglierla?» – , però, è scioccante: «No!» Un no secco, deciso, senza diritto di replica, una sentenza di cassazione. E’ il no del grande sospetto: “Dio, dunque, permette il male dentro la storia?” Una di quelle leccornie gradite a Satana: “Dio è geloso della vostra felicità, svegliatevi gente! Non vedete quanto male c’è nel mondo per continuare ancora a credere alle sue favole?” Dio colluso con il male se non fosse che, abile comunicatore, motiva il suo no, non lasciandolo in balìa delle interpretazioni: «No – dice – che non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano assieme fino alla mietitura. Poi dirò…!»

Nel campo, dunque, c’è anche del grano, non solo zizzania. A dare retta ai discepoli, pareva che la zizzania la facesse da padrona, fino a farli sproloquiare: “Se Dio esiste, da dove viene tutto questo male?”. Cristo-agricolo, nello stesso campo, vede del grano: “Se Dio non esiste – m’immagino risponda loro al ritmo di sguardi e batticuori – da dove viene tutto questo bene?” Lo stesso campo, la stessa fusione di grano e zizzania, una diversa visione d’insieme: i primi vanno dal loro Dio a rinfacciarli di avere grossi problemi con la zizzania, Gesù va dalla zizzania a dirle di avere un grande Dio con sè. “Pazzesco: Dio lascia crescere il male, tutto questo è una bestemmia!” va urlando il mondo. Tace, però, il motivo vero di questo permesso di soggiorno: «Che raccogliendo la zizzania con essa sradichiate anche il grano». È per salvaguardare la più piccola spiga di grano che Dio contadino sopporta di veder maturare anche la zizzania: che per troppa veemenza, volendo strappare il male, non si rovini un piccolo chicco di bene. Secoli dopo, il grande mistico Francesco di Sales riassunse quest’arte agricola applicata alle anime: «Nella cura delle anime – scrisse – occorrono una tazza di scienza, un barile di prudenza, un oceano di pazienza». Lo dimostra la storia: le cose peggiori sono state fatte con le migliori intenzioni. E quando ci si trova a scegliere tra due mali, varrà bene ricordare che si tratta comunque di un male.

Quel campo – inseminato di grano, infestato di zizzania – è l’uomo, sono io quel campo, quest’incomprensibile miscuglio di bene e di male, di vizi e virtù, di grano e zizzania. Ci sono giorni nei quali sono tutto-zizzania, altri in cui appaio una sorta di brochure di grano DOC. “Io-sono” in base a chi mi affido, di chi mi fido: «Il nemico è il diavolo, la zizzania sono i Figli del Maligno». Nomi e cognomi, è tutto così chiaro! Com’è chiaro e drammatico l’azzardo del Dio-agricolo: nel suo cuore la salvaguardia della più piccola percentuale di bene vale molto più della estirpazione totale del male. Sembra essere una forma pericolosa di demenza, è l’amore: nessuna forzatura alla libertà, la sola pazienza d’attendere fino allo scadere del tempo. Allora, alla zizzania, non verranno concesse proroghe: «Il male ha la sua ora, ma Dio ha il suo giorno» (F. Sheen). Il Demonio è avvisato.

Commento a cura di don Marco Pozza

(Qui tutti i precedenti commenti al Vangelo di don Marco)

Licenza: Creative Commons


Bibbia, Arte e Società – Commento al Vangelo di domenica 19 Luglio 2020

Un commento al Vangelo partendo da varie prospettive:

Link al video

don Paolo Squizzato – Commento al Vangelo del 19 Luglio 2020

O diventiamo ‘integrali’, o saremo sempre ‘integralisti’. Tertium non datur.
Scoprirsi integrali significa abbracciare il mondo che ci abita, nella sua interezza: il bene e il male, la luce e la tenebra, il bianco e il nero. Non c’è alcun bisogno di mutilarci e di ferirci per superare la nostra ombra. Sarebbe solo follia. Siamo unitotalità. La zizzania, l’erba cattiva e infestante è parte integrante di noi.

La domanda sottesa a questo brano è: “ma se tu – Signore – sei il Bene, perché il male, e soprattutto il mio male?’.
Gesù nel Vangelo non spende una parola sull’origine del male, ma soprattutto non ha mai fatto apologetica per giustificare la divinità. Piuttosto lascia preziose indicazioni su come trattare il male. E spiazzandoci non poco, ci suggerisce di non estirparlo. Noi pensiamo che essere discepoli significhi intraprendere un lento cammino di pulizia nel proprio campo interiore e soprattutto nell’ambiente in cui viviamo, in modo tale che alla fine rimanga un bel prato inglese, privo della più piccola erba infestante. Strappare la zizzania, distruggere il male dentro e fuori di noi, significa decuplicarlo, significa perpetrare altra violenza, altro odio. Si vince il male solo investendo sul bene facendolo.
«Non rendete male per male né ingiuria per ingiuria, ma rispondete augurando il bene» (1Pt 3, 9).

Dal vangelo si evince che Dio ha in qualche modo necessità del mio mondo malato, del mio peccato perché si manifesti il suo essere vita e salvezza: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato». (Gv 11, 4). Le nostre, e altrui, malattie esistenziali, non devono diventare occasioni di morte ma luogo dove l’amore e quindi la vita vi si possano manifestare. Paolo ha cercato per una vita di distruggere la spina nella sua carne (cfr. 2Cor 12, 7ss), ma Dio gli ha rivelato: «lasciala stare in te, lasciala crescere in te, non toglierla perché quella è lì per farti memoria di chi sono io: potenza nella debolezza, bene nel male, salvezza dove tutto parla di distruzione». E l’apostolo ha percepito finalmente la vita salvata: «Mi vanterò ben volentieri delle mie debolezze perché dimori in me la potenza di Cristo» (2Cor 12, 9b).

Il male non può far fallire il progetto di bene di Dio su di me e sul mondo, ma piuttosto accelerarlo e compierlo.
Allora da qui una domanda: ci interessa di più scoprirci splendidi campi disinfestati, puliti, ‘santi’, o piuttosto storie che per quanto sporche e insulse hanno la possibilità di fare esperienza di un Amore che viene a farci visita rivelando la sua e la nostra verità? Il cristianesimo non è l’esperienza di coloro che ce la fanno, ma di un amore che viene a cercarci. Entrassimo in questa logica evangelica guariremmo da inutili e sensi di colpa. Cesseremo di piangere sul latte versato per cominciare a farlo per aver sperimentato l’amore di una madre che ci abbraccio dopo averlo fatto.

Alla fine la mietitura comunque avverrà e il giudizio di Dio si compirà. E cosa accadrà in quel momento? La zizzania sarà distrutta, consumata, bruciata. Ma attenzione, solo il male che è presente nell’uomo e non l’uomo che ha fatto il male. Nel nostro brano non viene rimproverato l’uomo che si è trovato della zizzania nel suo campo. Lui non ne può nulla. E la zizzania viene bruciata. Il male che abbiamo compiuto, la nostra mancanza di misericordia, il nostro non essere riusciti a configurarci con l’amore del Padre, verrà distrutto dall’amore di Dio, che tutto salva (cfr. 1Cor 3, 11ss.).

«Bisogna accettare tutto, ogni cosa, senza eccezione alcuna, in sé e fuori di sé, in tutto l’universo, con lo stesso grado di amore; ma il male in quanto male, il bene in quanto bene». (S. Weil, Cahiers, II)


AUTORE: don Paolo Squizzato
FONTE
SITO WEB: https://www.paoloscquizzato.it
CANALE YOUTUBE:
https://www.youtube.com/channel/UC8q5C_j3ysCSrm1kJZ4ZFwA