Il commento di don Marco Scandelli
Santa Marta: quando nella Chiesa c’è davvero posto per tutti!
Commento al Vangelo di Luca 10, 38-42
AUTORE: don Marco Scandelli
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Santa Marta
Gesù entra nella casa che un tempo era “dell’amicizia” e diventata poi “del lutto”. Marta, udendo venire Gesù, gli va incontro. È il primo passo per non rimanere chiusi nel proprio dolore e prigionieri delle bende impregnate di morte. Ciò che spinge Marta ad incontrare Gesù è una nuova speranza dopo quella andata perduta della sua presenza durante la malattia di Lazzaro che avrebbe evitato la morte del fratello.
Nell’ora dell’incontro, ella crede nella potenza della preghiera di Gesù, come quella di Elia o Eliseo che avevano riportato in vita alcune persone. Marta spera nel ritorno di Lazzaro mentre Gesù indica una speranza ancora più alta, la risurrezione. Marta pensa al giorno finale nel quale Dio giudicherà il mondo per dare la pena o la ricompensa eterna mentre Gesù parla della risurrezione non come di un evento futuro, ma dell’incontro con lui nell’oggi come esperienza quotidiana di risveglio e di rinascita.
La risurrezione è risveglio perché Gesù ci apre gli occhi affinché possiamo vedere la luce di Dio, quella attraverso la quale conosciamo quanto Dio ci ami anche quando lo sentiamo distante; la risurrezione è perciò anche rinascita, cioè è venire nuovamente alla luce, diventare una nuova creatura capace di amare così come Dio ci ama.
Credere non è solo sapere che l’approdo della vita è la risurrezione dell’ultimo giorno e che Gesù è il Cristo e il Figlio di Dio, ma soprattutto rispondere alla sua chiamata, che, pronunciando il nostro nome, ci tira fuori dal sepolcro della nostra speranza mondana sepolta da tante delusioni, della nostra fede indebolita da tanti ragionamenti inutili, della carità ridotta a monotono senso del dovere.
Credere in Gesù significa lasciarsi spogliare delle bende delle speranze mondane, attraversare con Lui la morte ed essere rivestiti della speranza celeste. La morte che ci spoglia è da intendere come distacco dal proprio mondo, quello costruito su misura delle nostre attese; la morte è estraniamento, come nel sonno, dalle logiche del mondo, per lasciarsi illuminare dalla luce vera, quella che orienta il cuore verso scelte non d’interesse egoistico ma che costruiscono relazioni umane forti e sane. La trama delle relazioni purificate dalla fede non sono più bende che avvolgono un cadavere, ma una veste nuova e splendente che è appunto la Vita eterna.
Auguro a tutti una serena giornata e vi benedico di cuore!
Commento a cura di don Pasquale GiordanoCredi tu questo? Interrogativo che oggi Gesù pone a noi. Credi che io sono la resurrezione e che se credi e vivi in me non morirai in eterno? È una, risposta che non possiamo più dare secondo il catechismo che ci hanno insegnato da piccoli.
Credere e vivere in Gesù è roba da persone adulte e mature nella fede, quella fede che è pronta anche al martirio. Credere e vivere. Non solo credere. È facile credere nella resurrezione ma non lo è vivere qui ed ora la resurrezione.
Non è facile cioè vivere da risorti. Questa è la sfida che Gesù ci pone oggi. Perché la resurrezione comporta una passione e una morte prima. Chi non patisce non può risorgere.
A volte, come Marta rimproverano il Signore per i suoi ritardi… Ma non sappiamo che TUTTO concorre al bene di coloro che amano Dio. Il dolore vissuto in Cristo, rigenera, credi tu questo? Allora vivilo.
A cura di Sr Palmarita Guida della Fraternità Vincenziana Tiberiade
Dal Vangelo di oggi:
“Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose…” (Mt 13,45)
Il bello è che la trova! Ed è capace di dare via tutto, subito, per averla. Il Tuo Regno è ciò che vorremmo essere, ma non siamo ancora.
Ci crediamo che lo saremo.
Maria, in questo passo del Vangelo, ci da una forte testimonianza di fede.
Il fratello Lazzaro è morto.
Cio’ nonostante la donna dice al Maestro: “ Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà “, aggiungendo anche “ Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo “.
Queste due frasi denotano lo “ spirito cristiano “.
E’ cristiano chi ha sempre fiducia in Dio, qualsiasi cosa gli capiti in quanto sa, per fede, che Dio lo ama follemente e che non lo abbandonerà mai.
E’ questo il significato dell’espressione “ chi crede in me, anche se muore, vivrà: chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno “.
Chi crede non ha quindi paura della morte o, meglio ancora, delle morti, delle croci, delle sofferenze perché, vivendo in Cristo “ non muore in eterno “.
E qui la grande domanda che il Signore fa a Maria e, oggi, a noi.
“ Credi questo? “
Credi che sono il Signore della Vita, che se vivi in me, hai una relazione con me, non morirai in eterno?
Ognuno è chiamato oggi a farsi questa domanda.
Buona giornata e buona riflessione a tutti.
Commento a Luca 10, 38-42
Marta ci consola e ci insegna tante cose. Era in sincera sequela di Cristo ma aveva bisogno di maturare. Ancora centrata su sé stessa non comprende la sorella e vuole correggere persino Gesù. Valutare con lo sguardo proprio e non sempre più in Dio espone ad agitazioni, desiderio di mettere le cose a posto.
Maria si è scelta la parte migliore che è la volontà di Dio. In essa ci rassereniamo e possiamo vedere tante cose in modo nuovo. Per esempio Maria era chiamata ad accogliere Gesù mentre Marta era chiamata a preparare il pranzo. Più in avanti, nell’episodio della risurrezione del loro fratello Lazzaro, vedremo le sorelle per certi aspetti cresciute.
Il loro percorso giunge poi ad un culmine nella tavolata di Betania, poco prima dell’ultima cena. Ora Marta serve lietamente, Maria unge di nardo prezioso Gesù e Lazzaro è tra i commensali, risuscitato. Il cammino di quesi fratelli è stato più rapido persino di quello degli apostoli, che opporranno varie resistenze alla lavanda dei piedi. Non vi è molto da riflettere? Aiuta anche osservare che il brano che qui commento segue quello del Buon Samaritano.
La carità non può crescere se non nella preghiera e la preghiera senza la carità si svuota.
A cura di don Giampaolo Centofanti nel suo blog.
don Antonio Savone – Commento al Vangelo del 29 Luglio 2020
Ci sono case che frequentiamo più che volentieri, soprattutto quando in esse si gioisce della nostra presenza o quando vi riconosciamo persone che per noi sono particolarmente significative. Oggi il vangelo ce ne indica una verso la quale affrettare i nostri passi più spesso di quanto facciamo così da ritrovare il senso di tante nostre cose. È la casa di Marta, Maria e Lazzaro. Una casa verso la quale lo stesso Gesù più volte ha diretto i suoi passi ricercando il conforto dell’amicizia. Sarà stato così anche quel giorno. Avrà avuto bisogno anche lui di fermarsi mentre era in cammino con i suoi discepoli. Persino Gesù ha conosciuto la sosta e la necessità di un conforto.
Quella che si presenta davanti a noi è una scena domestica con parole domestiche, non religiose. In quella casa Gesù trova una pronta accoglienza. Marta è davvero una persona che sa accogliere generosamente. La sua è una casa aperta: Gesù sa di potervisi recare con libertà. È di casa, noi diremmo. Ci tornerà anche prima della passione.
Tuttavia Marta ha un difetto di prospettiva: è talmente presa dalle sue cose da preoccuparsene più di quanto non si occupi di colui al quale le sue azioni sarebbero indirizzate. Ecco l’errore di Marta. Il rimprovero che Gesù le usa, vorrebbe portarla a scoprire che, in fondo, si sta dedicando a se stessa. Troppo presa dal bisogno di fare, non ha compreso che c’è altro da fare: lasciar fare.
Maria non sente il bisogno di fare nulla: è solo intenta ad ascoltare la parola dell’amico che le ha visitate. A lei sta a cuore non ciò che bisogna fare perché l’altro stia bene, ma aprirsi al dono che l’altro è e rappresenta per la sua vita. Ha capito anzitutto che con quell’uomo sono superate persino le convenzioni sociali che volevano che una donna non potesse stare nella stanza riservata agli uomini, figuriamoci poi farsi discepola di un rabbi. L’essersi messa in ascolto dell’amico ha fatto sì che Maria bruciasse ogni ostacolo.
E com’è ovvio Marta si lamenta di questo evidente disinteresse della sorella per i doveri di una donna. Addirittura rimprovera l’amico perché non si cura del fatto che lei sia stata lasciata sola. Mai parole più vere sulla bocca di Marta. Marta è sola. Non si è accorta che quanto sta facendo non solo la distoglie dall’amico e da sua sorella ma persino da se stessa.
Tutto era cominciato molto bene nel segno di una accoglienza premurosa: al centro c’era l’amico e ciò che bisognava fare per lui. In quel quadro armonioso in cui ciascuna delle sorelle mette Gesù al centro della propria attenzione qualcosa si rompe quando Marta dapprima sposta lo sguardo da Gesù a Maria e a ciò che non sta facendo per poi finire di mettere al centro se stessa e la sua solitudine. Lc, molto finemente, annota che Marta si fece avanti. Tutto è capovolto: Marta ha messo al centro il suo punto di vista. Non ce n’è altri. E vuole che persino Gesù faccia in modo che prevalga il suo punto di vista.
Pur dandosi da fare nel servire, Marta osserva se stessa, per questo si agita. Paradossalmente, proprio il suo servire Gesù finisce per allontanarla da lui: pur lavorando per l’amico non si cura di averlo lasciato in disparte convinta di sapere già in partenza ciò che egli potrebbe gradire. Maria non guarda se stessa, guarda l’amico: al centro c’è lui e la sua parola, la sola che pur nella molteplicità delle cose da fare consente di non essere interiormente divisi.
Al Maestro non importa che si lavori per lui ma che si lavori con lui.
Di una cosa sola c’è bisogno. E io per che cosa mi sto dando da fare? È davvero la cosa giusta ciò che sto facendo?
Il problema non è scegliere una realtà particolare facendo la quale si è al sicuro, mentre chi sceglie altro è ad un livello inferiore. Il problema, semmai, tanto per chi sceglie la preghiera quanto per chi fa dell’altro, è non smettere di rimanere discepoli. Quello che sto facendo ora – qualunque cosa essa sia – lo sto vivendo da discepolo di nuovo bisognoso di ripartire dal Maestro o son convinto di sapere già in partenza in che modo viverlo?