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don Antonio Savone – Commento al Vangelo del 29 Luglio 2020

Ci sono case che frequentiamo più che volentieri, soprattutto quando in esse si gioisce della nostra presenza o quando vi riconosciamo persone che per noi sono particolarmente significative. Oggi il vangelo ce ne indica una verso la quale affrettare i nostri passi più spesso di quanto facciamo così da ritrovare il senso di tante nostre cose. È la casa di Marta, Maria e Lazzaro. Una casa verso la quale lo stesso Gesù più volte ha diretto i suoi passi ricercando il conforto dell’amicizia. Sarà stato così anche quel giorno. Avrà avuto bisogno anche lui di fermarsi mentre era in cammino con i suoi discepoli. Persino Gesù ha conosciuto la sosta e la necessità di un conforto.

Quella che si presenta davanti a noi è una scena domestica con parole domestiche, non religiose. In quella casa Gesù trova una pronta accoglienza. Marta è davvero una persona che sa accogliere generosamente. La sua è una casa aperta: Gesù sa di potervisi recare con libertà. È di casa, noi diremmo. Ci tornerà anche prima della passione.

Tuttavia Marta ha un difetto di prospettiva: è talmente presa dalle sue cose da preoccuparsene più di quanto non si occupi di colui al quale le sue azioni sarebbero indirizzate. Ecco l’errore di Marta. Il rimprovero che Gesù le usa, vorrebbe portarla a scoprire che, in fondo, si sta dedicando a se stessa. Troppo presa dal bisogno di fare, non ha compreso che c’è altro da fare: lasciar fare.

Maria non sente il bisogno di fare nulla: è solo intenta ad ascoltare la parola dell’amico che le ha visitate. A lei sta a cuore non ciò che bisogna fare perché l’altro stia bene, ma aprirsi al dono che l’altro è e rappresenta per la sua vita. Ha capito anzitutto che con quell’uomo sono superate persino le convenzioni sociali che volevano che una donna non potesse stare nella stanza riservata agli uomini, figuriamoci poi farsi discepola di un rabbi. L’essersi messa in ascolto dell’amico ha fatto sì che Maria bruciasse ogni ostacolo.

E com’è ovvio Marta si lamenta di questo evidente disinteresse della sorella per i doveri di una donna. Addirittura rimprovera l’amico perché non si cura del fatto che lei sia stata lasciata sola. Mai parole più vere sulla bocca di Marta. Marta è sola. Non si è accorta che quanto sta facendo non solo la distoglie dall’amico e da sua sorella ma persino da se stessa.

Tutto era cominciato molto bene nel segno di una accoglienza premurosa: al centro c’era l’amico e ciò che bisognava fare per lui. In quel quadro armonioso in cui ciascuna delle sorelle mette Gesù al centro della propria attenzione qualcosa si rompe quando Marta dapprima sposta lo sguardo da Gesù a Maria e a ciò che non sta facendo per poi finire di mettere al centro se stessa e la sua solitudine. Lc, molto finemente, annota che Marta si fece avanti. Tutto è capovolto: Marta ha messo al centro il suo punto di vista. Non ce n’è altri. E vuole che persino Gesù faccia in modo che prevalga il suo punto di vista.

Pur dandosi da fare nel servire, Marta osserva se stessa, per questo si agita. Paradossalmente, proprio il suo servire Gesù finisce per allontanarla da lui: pur lavorando per l’amico non si cura di averlo lasciato in disparte convinta di sapere già in partenza ciò che egli potrebbe gradire. Maria non guarda se stessa, guarda l’amico: al centro c’è lui e la sua parola, la sola che pur nella molteplicità delle cose da fare consente di non essere interiormente divisi.

Al Maestro non importa che si lavori per lui ma che si lavori con lui.

Di una cosa sola c’è bisogno. E io per che cosa mi sto dando da fare? È davvero la cosa giusta ciò che sto facendo?

Il problema non è scegliere una realtà particolare facendo la quale si è al sicuro, mentre chi sceglie altro è ad un livello inferiore. Il problema, semmai, tanto per chi sceglie la preghiera quanto per chi fa dell’altro, è non smettere di rimanere discepoli. Quello che sto facendo ora – qualunque cosa essa sia – lo sto vivendo da discepolo di nuovo bisognoso di ripartire dal Maestro o son convinto di sapere già in partenza in che modo viverlo?


AUTORE: don Antonio Savone
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don Marco Scandelli – Commento al Vangelo del 29 Luglio 2020

Il commento di don Marco Scandelli

Santa Marta: quando nella Chiesa c’è davvero posto per tutti!

Commento al Vangelo di Luca 10, 38-42

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AUTORE: don Marco Scandelli
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don Mauro Leonardi – Commento al Vangelo del giorno, 29 Luglio 2020

La consolazione che possiamo darci come fratelli supera le differenze tribali e in questa unione c’è Dio Padre e viene Gesù come vita e Resurrezione.

Tornerà la vita

A cosa altro dovrei credere?
C’è da credere qualcos’altro?
Qualcun altro a cui credere esiste?
Tu sei Gesù.
Il mio Gesù.
Mi hai ridato la vita.
Mi tieni in vita.
Non temo più la morte perché non temo più la vita.
Si, credo in te.

Sono in tanti a consolarmi.
Ma aspetto te.
Pronta a correre da te.
Perché tu asciughi le lacrime con la vita.
Perché tu fai del tempo, speranza.
Dolore, pianto, non sono più condanna.
La vita vince.
La vita torna.
La vita non finisce più se tu sei qui.
Con me.
E allora corro da te.

Quando te ne vai.
Arriva la morte.
Quella vera.
Quella della tomba.

Appena ti vedo.
So che la morte andrà via.
E tornerà la vita.
Quella vera.
Quella eterna.

Fonte: il sito di don Mauro Leonardi

Mauro Leonardi (Como, 4 aprile 1959) è un presbitero, scrittore e opinionista italiano.


don Nicola Salsa – Commento al Vangelo del 29 Luglio 2020

Festa di Santa Marta (Lc 10, 38-42)

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p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 29 Luglio 2020

Non mi convince leggere questo brano del vangelo evidenziando il contrasto tra Marta e Maria. Soprattutto non mi convince leggerlo come qualcosa di esterno a noi, come se in noi non vi fosse lo spirito di Marta e di Maria che non si integrano, che vanno in contrasto.

Forse questo brano ci parla innanzitutto dell’invidia e della gelosia, più che della capacità di lavoro e di ascolto. Quante situazioni nelle nostre parrocchie ci parlano di questo? Se due signore si dicono disponibili per gestire i fiori della chiesa, presto o tardi entreranno in conflitto pensando che una sia più brava dell’altra e che il parroco preferisca l’una all’altra. Oppure un organista o un direttore di coro: di fronte alla prima richiesta del parroco o chi per lui, manifesta tutta la sua possessività nei confronti del coro che a quel punto non è più un servizio alla comunità che canta durante le assemblee, ma è un semplice talismano, magari bello ed erudito, magari che disprezza chi canta con la chitarra o canti troppo moderni o troppo antichi, per farsi bello di fronte agli ignoranti e per fare esibizione di sé di fronte al popolo bue.

Forse il problema non è il lavoro o l’ascolto ma la coscienza di un servizio a cui tutti siamo chiamati. A volte ascoltiamo di più e a volte ci diamo da fare di più. A volte io lavoro di più e tu ascolti di più e viceversa. Ciò che importa è che riusciamo a vivere quanto ha vissuto Gesù che da ricco che era si è fatto povero, si è fatto servo. Parole brutte per l’uomo moderno, ma parole vere.

Gesù sta camminando dalla Samaria a Gerusalemme dove va a portare a compimento il suo servizio morendo in croce. Va a Gerusalemme e, come Buon Samaritano, incontra l’uomo lasciato mezzo morto sul ciglio della strada dai briganti. Impolverato e stanco per il cammino incontra Marta, Buona Samaritana, che si accorge del suo stato di cose e lo ospita in casa. Incontra anche Maria, la Buona Samaritana, che lo vede affaticato e con volto triste: intuisce, con intuito tutto femminile, che qualcosa lo fa soffrire e si mette ad ascoltarlo. Mi piace vedere Gesù che si confida con Maria e cogliere in questo confidarsi tutta una forza di Parola di Dio, anche se non sarà mai scritta né letta in alcuna liturgia domenicale.

Ma facciamo un passo indietro: più che dell’aiuto di Maria, Marta è invidiosa dell’approvazione che il Signore dà alla sorella e del fatto che ha visto l’esteriorità di Gesù e non la sua interiorità. Per questo desidera che Gesù rimproveri la sorella approvando lei che sa cosa fare e fa ciò che sa. Il riconoscimento della sua bravura sarebbe sufficiente per lei per continuare a servire.  È il rimprovero dei legisti che si lamentano di coloro che gioiscono sotto il gioco leggero dell’amore del Signore Gesù. È il rimprovero del figlio maggiore al figlio minore e al Padre stesso.

Cogliamo la tensione che ci può essere in comunità tra chi fa e chi prega, dimentichi che nell’una troviamo il principio e il fine dell’altra. Diversamente ci sentiremo sempre beffati, come Marta, perché oltre che affaticati ci sentiremo disapprovati. Non giova fare tanti servizi per Lui, magari con l’intento nascosto di ottenere gratifica. Giova molto di più farsi lavare i piedi che sforzarsi di essere lindi.

In fondo siamo chiamati ad ascoltare sia i bisogni del cuore come quelli del fisico, ma soprattutto siamo chiamati a vivere sia l’ascolto che la carità nella libertà e nella gratuità, cosa questa che nessuno ci può dare ma che possiamo solo ricevere e far crescere in noi. Diversamente l’approvazione o la sua mancanza la faranno da padrona sulla nostra esistenza.

Siamo in fondo chiamati a riconoscere nel Samaritano Buono il compimento di ciò che è scritto nella Legge. Il Samaritano vede, ascolta, agisce senza che alcuno lo veda, per questo si prende cura e si prende a cuore con libertà e gratuità.

Forse Gesù non rimprovera Marta, ma la esorta a diventare anche come Maria. In Lei chiama l’uomo di Legge ad ascoltare la voce dello Sposo. Nel suo cammino si è fatto vicino e fratello per potere essere baciato e accolto in casa. Lì insegna ciò che nessuno ha mai udito: l’arte dell’amore che solo Dio, in Gesù Buon Samaritano, conosce.

Ascoltando questo cuore che vibra di amore in una voce che è voce di vita, puoi cogliere un amore che supera ogni barriera di riconoscimento, perché l’amore vive di per sé, non di riconoscenza.

Marta, Marta! È la sua chiamata, chiamata nella quale possiamo sentire la nostra.


AUTORE: p. Giovanni Nicoli 
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don Pasquale Giordano – Commento al Vangelo del 29 Luglio 2020

Spogliati della speranza mondana rivestiti della speranza divina

Santa Marta

Gesù entra nella casa che un tempo era “dell’amicizia” e diventata poi “del lutto”. Marta, udendo venire Gesù, gli va incontro. È il primo passo per non rimanere chiusi nel proprio dolore e prigionieri delle bende impregnate di morte. Ciò che spinge Marta ad incontrare Gesù è una nuova speranza dopo quella andata perduta della sua presenza durante la malattia di Lazzaro che avrebbe evitato la morte del fratello.

Nell’ora dell’incontro, ella crede nella potenza della preghiera di Gesù, come quella di Elia o Eliseo che avevano riportato in vita alcune persone. Marta spera nel ritorno di Lazzaro mentre Gesù indica una speranza ancora più alta, la risurrezione. Marta pensa al giorno finale nel quale Dio giudicherà il mondo per dare la pena o la ricompensa eterna mentre Gesù parla della risurrezione non come di un evento futuro, ma dell’incontro con lui nell’oggi come esperienza quotidiana di risveglio e di rinascita.

La risurrezione è risveglio perché Gesù ci apre gli occhi affinché possiamo vedere la luce di Dio, quella attraverso la quale conosciamo quanto Dio ci ami anche quando lo sentiamo distante; la risurrezione è perciò anche rinascita, cioè è venire nuovamente alla luce, diventare una nuova creatura capace di amare così come Dio ci ama.

Credere non è solo sapere che l’approdo della vita è la risurrezione dell’ultimo giorno e che Gesù è il Cristo e il Figlio di Dio, ma soprattutto rispondere alla sua chiamata, che, pronunciando il nostro nome, ci tira fuori dal sepolcro della nostra speranza mondana sepolta da tante delusioni, della nostra fede indebolita da tanti ragionamenti inutili, della carità ridotta a monotono senso del dovere.

Credere in Gesù significa lasciarsi spogliare delle bende delle speranze mondane, attraversare con Lui la morte ed essere rivestiti della speranza celeste. La morte che ci spoglia è da intendere come distacco dal proprio mondo, quello costruito su misura delle nostre attese; la morte è estraniamento, come nel sonno, dalle logiche del mondo, per lasciarsi illuminare dalla luce vera, quella che orienta il cuore verso scelte non d’interesse egoistico ma che costruiscono relazioni umane forti e sane. La trama delle relazioni purificate dalla fede non sono più bende che avvolgono un cadavere, ma una veste nuova e splendente che è appunto la Vita eterna.

Auguro a tutti una serena giornata e vi benedico di cuore!


Commento a cura di don Pasquale Giordano
FonteMater Ecclesiae Bernalda
La parrocchia Mater Ecclesiae è stata fondata il 2 luglio 1968 dall’Arcivescovo Mons. Giacomo Palombella, che morirà ad Acquaviva delle Fonti, suo paese natale, nel gennaio 1977, ormai dimissionario per superati limiti di età… [Continua sul sito]

Sr. Palmarita Guida – Commento al Vangelo del 29 Luglio 2020

Credi tu questo? Interrogativo che oggi Gesù pone a noi. Credi che io sono la resurrezione e che se credi e vivi in me non morirai in eterno? È una, risposta che non possiamo più dare secondo il catechismo che ci hanno insegnato da piccoli.

Credere e vivere in Gesù è roba da persone adulte e mature nella fede, quella fede che è pronta anche al martirio. Credere e vivere. Non solo credere. È facile credere nella resurrezione ma non lo è vivere qui ed ora la resurrezione.

Non è facile cioè vivere da risorti. Questa è la sfida che Gesù ci pone oggi. Perché la resurrezione comporta una passione e una morte prima. Chi non patisce non può risorgere. 

A volte, come Marta rimproverano il Signore per i suoi ritardi… Ma non sappiamo che TUTTO concorre al bene di coloro che amano Dio. Il dolore vissuto in Cristo, rigenera, credi tu questo? Allora vivilo.


A cura di Sr Palmarita Guida della Fraternità Vincenziana Tiberiade 


don Claudio Bolognesi – Commento al Vangelo del 29 Luglio 2020

Dal Vangelo di oggi:
“Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose…” (Mt 13,45)

Il bello è che la trova! Ed è capace di dare via tutto, subito, per averla. Il Tuo Regno è ciò che vorremmo essere, ma non siamo ancora.
Ci crediamo che lo saremo.


Fabrizio Morello – Commento al Vangelo del giorno, 29 Luglio 2020

Maria, in questo passo del Vangelo, ci da una forte testimonianza di fede.

Il fratello Lazzaro è morto.

Cio’ nonostante la donna dice al Maestro: “ Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà “, aggiungendo anche “ Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo “.

Queste due frasi denotano lo “ spirito cristiano “.

E’ cristiano chi ha sempre fiducia in Dio, qualsiasi cosa gli capiti in quanto sa, per fede, che Dio lo ama follemente e che non lo abbandonerà mai.

E’ questo il significato dell’espressione “ chi crede in me, anche se muore, vivrà: chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno “.

Chi crede non ha quindi paura della morte o, meglio ancora, delle morti, delle croci, delle sofferenze perché, vivendo in Cristo “ non muore in eterno “.

E qui la grande domanda che il Signore fa a Maria e, oggi, a noi.

Credi questo?

Credi che sono il Signore della Vita, che se vivi in me, hai una relazione con me, non morirai in eterno?

Ognuno è chiamato oggi a farsi questa domanda.

Buona giornata e buona riflessione a tutti.


d. Giampaolo Centofanti – Commento al Vangelo del 29 Luglio 2020

Commento a Luca 10, 38-42

Marta ci consola e ci insegna tante cose. Era in sincera sequela di Cristo ma aveva bisogno di maturare. Ancora centrata su sé stessa non comprende la sorella e vuole correggere persino Gesù. Valutare con lo sguardo proprio e non sempre più in Dio espone ad agitazioni, desiderio di mettere le cose a posto.

Maria si è scelta la parte migliore che è la volontà di Dio. In essa ci rassereniamo e possiamo vedere tante cose in modo nuovo. Per esempio Maria era chiamata ad accogliere Gesù mentre Marta era chiamata a preparare il pranzo. Più in avanti, nell’episodio della risurrezione del loro fratello Lazzaro, vedremo le sorelle per certi aspetti cresciute.

Il loro percorso giunge poi ad un culmine nella tavolata di Betania, poco prima dell’ultima cena. Ora Marta serve lietamente, Maria unge di nardo prezioso Gesù e Lazzaro è tra i commensali, risuscitato. Il cammino di quesi fratelli è stato più rapido persino di quello degli apostoli, che opporranno varie resistenze alla lavanda dei piedi. Non vi è molto da riflettere? Aiuta anche osservare che il brano che qui commento segue quello del Buon Samaritano.

La carità non può crescere se non nella preghiera e la preghiera senza la carità si svuota.


A cura di don Giampaolo Centofanti nel suo blog.