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Commento al Vangelo del 29 Luglio 2020 – Don Francesco Cristofaro

Vangelo del giorno e breve commento a cura di Don Francesco Cristofaro.


AUTORE: Don Francesco Cristofaro
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https://www.youtube.com/channel/UC5QE8R_HI_h4XCN_31qhm5Q

Paolo Curtaz – Commento al Vangelo del 29 Luglio 2020

Marta e Maria, le due sorelle amiche di Gesù. Insieme al loro fratello Lazzaro hanno accolto il Signore molte volte nella loro piccola abitazione di Betania, sul monte degli ulivi, fornendo al maestro, stanco della Gerusalemme che uccide i profeti, un angolo di famiglia, un piccolo rifugio dove trovare intimità e ascolto, un piatto caldo e qualche sorriso.

Ci intenerisce l’idea che Dio abbia bisogno di pace, come noi, che abbia bisogno di riposo e di intimità! E le due sorelle sono diventate famose per una scenetta in cui Maria ascoltava, rapita, le parole di Gesù mentre Marta, che oggi festeggiamo, preparava un po’ di cena. Gesù, racconta Luca, rimproverò bonariamente Marta, salvo poi, ne sono certo, far alzare Maria perché apparecchiasse la tavola assieme a sua sorella …

Marta è l’icona di una fede attiva, concreta, che vede il bisogno ed interviene, che non è persa fra le nuvole, che sa tradurre operativamente l’amore; di una fede che si concretizza nel servizio. E quante “Marte” ci sono nelle nostre parrocchie! Signore che puliscono la chiesa, che accudiscono preti oberati dal lavoro, mamme che si fanno in quattro per organizzare una festa, nonni che tengono aperti gli oratori…

Oggi è la loro festa, la festa di chi prepara la cena a Cristo.

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LEGGI ALTRI COMMENTI AL VANGELO DEL GIORNO


don Luigi Maria Epicoco – Commento al Vangelo del 29 Luglio 2020 – Gv 11, 19-27

La corsa che fa Marta verso Gesù non ha il sapore della preghiera ma dello sfogo. E in fondo è anche comprensibile. Il fratello Lazzaro è morto, e Gesù non ha fatto nulla per salvarlo, anzi sapendo che stava male ha anche temporeggiato prima di mettersi in cammino verso il loro villaggio. Ecco perché dietro le parole di Marta ci sono le parole di molti di noi che si sentono nella medesima situazione: <<Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!>>.

C’è qualcosa di più scandaloso del dire che non sarebbe morto, ed è quel “se tu fossi stato qui”. Quando si soffre delle volte ci si sente così soli che si ha anche la sensazione che il cielo ci abbia lasciati soli. Molti si sentono sostenuti dalla grazia, ma molti altri nei momenti di dolore si sentono schiacciati da un senso profondo di solitudine e abbandono.

Non basta la memoria del catechismo a salvarci: <<So che risusciterà nell’ultimo giorno>>. Gesù aiuta Marta a fare un passo più avanti nel grande mistero del dolore. Gesù l’aiuta a vedere e capire una cosa che ancora nessun catechismo gli ha spiegato: <<Gesù le disse: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno. Credi tu questo?”>>.

La fede non è un argomento consolatorio in mezzo alle tragedie della vita.

Gesù non è un argomento ma una persona. Se crediamo nella sua persona allora tutto quello che ci serve non è nelle parole convincenti ma in una presenza vera e viva che è più grande delle nostre sensazioni. Infatti Gesù c’è nella nostra vita anche quando non lo sentiamo. La sua presenza non è creata dalle nostre sensazioni, ma è un fatto a cui la nostra fede fa continuamente riferimento: <<Credi tu questo? Credi di non essere solo anche quando ti senti solo? Credi di non essere abbandonato al buio e alla disperazione?>>.

Gli rispose Marta:

<<Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo>>. Da quel sì, Lazzaro verrà fuori dal suo sepolcro, e con lui le sorelle chiuse nel loro dolore.


AUTORE: don Luigi Maria Epicoco
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FONTE: Amen – La Parola che salva

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Mons. Costantino Di Bruno – Commento al Vangelo del 29 Luglio 2020

Il commento alle letture del 29 Luglio 2020 a cura di  Mons. Costantino Di Bruno, Sacerdote Diocesano dell’Arcidiocesi di Catanzaro–Squillace (CZ).

Chi crede in me, anche se muore, vivrà

MERCOLEDÌ 29 LUGLIO (Gv 11,19-27)

La risurrezione gloriosa nell’ultimo giorno è solo in Cristo, per Cristo, con Cristo. Riceveranno questa risurrezione quanti hanno fatto il bene, e il bene è solo obbedienza alla volontà del Padre. Per quanti invece si sono consegnati al male, la risurrezione è di condanna: “In verità, in verità io vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita. In verità, in verità io vi dico: viene l’ora – ed è questa – in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio e quelli che l’avranno ascoltata, vivranno. Come infatti il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso anche al Figlio di avere la vita in se stesso, e gli ha dato il potere di giudicare, perché è Figlio dell’uomo. Non meravigliatevi di questo: viene l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e usciranno, quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna” (Gv 5,24-29). Oggi questa verità annunziata da Gesù è stata dichiarata non vera. La risurrezione è per tutti di gloria eterna.

Chi vuole ricevere la risurrezione gloriosa dell’ultimo giorno, deve risorgere oggi ad una vita nuove che è possibile solo ascoltando la Parola di Gesù e credendo in essa. Vive la Parola di Cristo chi mangia anche la carne di Cristo e beve il suo sangue: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai! Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (Gv 6,35-40). “Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo. In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno»” (Gv 6,48-58). Dobbiamo constatare che anche questa intima relazione con la Parola di Gesù e con il suo corpo e il suo sangue oggi è stata limata dalla mente dei discepoli di Gesù. Tutti gridano la non necessità di Cristo Gesù per avere la vita nuova. Anzi si dice che non vi è alcuna differenza di vita tra un cristiano e un non cristiano. Gesù è così dichiarato inutile alla salvezza e la sua croce vana.

In quel tempo, molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo».

Nel dialogo con Marta, Gesù ribadisce ancora una volta la verità della risurrezione gloriosa. Essa si compie in Lui, con Lui, per Lui. Si compie per chi vive e crede in Lui. Chi vive in Cristo? Chi vive nella Parola di Cristo? Chi crede in Cristo? Crede colui che accoglie la sua carne e il suo sangue come vero cibo e vera bevanda di vita eterna. Dai suoi discepoli Gesù è dichiarato inutile alla risurrezione. Nei cuori regna una sola diabolica convinzione: la vita eterna è per tutti. Essa è dono della misericordia di Dio.

Madre di Dio, Angeli, Santi, liberateci da ogni menzogna e falsità su Cristo Signore.

Fonte@MonsDiBruno

Nota: Questo commento al Vangelo è gratuito pertanto l’autore non autorizza un fine diverso dalla gratuità.

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Commento al Vangelo di domenica 2 Agosto 2020 – Paolo Curtaz

Il commento al Vangelo di domenica 2 Agosto 2020 – Anno A, a cura di Paolo Curtaz. Qui di seguito il testo ed il video.

Farsi pane

Fame, tanta fame.

Di affetto, di gioia, di pace, di emozioni, di amore, di denari, di cibo buono, di vacanza, di normalità, di amicizia, di luce, di tutto.

Siamo definiti dagli appetiti, dal desiderio. Siamo ciò che desideriamo.

Il nostro mondo, spesso, inganna, ci inganna, facendoci credere che la nostra fame si placherà con poco. Basta acquistare ciò che ci viene proposto. E ci sono persone che passano la vita a tormentarsi nell’invidia perché non hanno fama, like, lussi, vacanze in luoghi esotici.

Capiamoci: meglio una vita rilassata e senza ansie che una fatta di paure e miserie, ovvio.

Ma solo se alziamo lo sguardo, se passiamo ad un altro livello, ce la possiamo fare.

Perché è Dio che ha messo nel nostro cuore il desiderio. Per iniziare una magnifica caccia al tesoro.

Per trovare la perla preziosa della sua presenza.

Per diventare, infine, cercatori e mendicanti di luce.

Abbiamo fame, tanta.

Link al video

A Babilonia

Isaia promette al popolo in esilio un pane gratis che sfamerà ogni cuore.

In realtà il popolo, in esilio da ormai cinquant’anni, ha la pancia piena.

Si è integrato, ha comperato case in Babilonia, nessuno pensa più seriamente di tornare ad una terra che non ha mai visto.

Pochi torneranno, dopo l’editto di liberazione di Dario e non troveranno ad attenderli pane e miele, ma difficoltà e odio da parte di chi ha occupato le loro case.

Ma troveranno anche il vero volto di Dio.

Anche noi, a volte, ci accontentiamo delle piccole e temporanee sazietà che la vita ci offre. Pensiamo di avere capito e fatto tutto perché siamo riusciti a realizzare qualche sogno.

Quanto è difficile suscitare fame in chi ha la pancia piena! La fame di senso, di felicità, di pace a chi si accontenta della piccole (legittime) gioie che la vita ci offre!

Il primo passo verso la conversione è la consapevolezza del desiderio di felicità profonda che portiamo nel cuore. Il primo passo verso Dio è mettere a fuoco che il desiderio infinito che portiamo in noi può essere riempito solo dall’infinito.

Folle

Molta gente si raduna attorno a Gesù.

Ha compassione, il Signore, ama il popolo, sa di cosa abbiamo bisogno. Non è distratto il nostro Dio, non se ne sta sulle nuvole a governare le formichine. Eppure, davanti alla folla, il Signore non agisce, ma chiede ai suoi di agire.

Con tanto buon senso i discepoli gli suggeriscono di ignorare il problema: ognuno si arrangi.

Non ce la possiamo fare. Non ora. Non adesso che ci scopriamo indeboliti e fragili, spauriti e aggressivi.

Non ora che la Chiesa mostra le sue rughe, le sue fatiche, le sue lentezze, le sue ombre, superficialmente ignorate da decenni in cui si pensava fin che la barca va lasciala andare.

E, ora, che siamo così spaesati dovremmo anche farci carico della folla?

Per ora no, magari quando e se ci saremo riorganizzati, dai. Non scherziamo.

Aspettiamo di tornare alla normalità. Se mai tornerà. Poi vedremo…

Non fa così il Maestro. Non porta a questo la compassione, quella vera, quella di Dio.

La fame si può saziare, quella fisica e quella interiore, ma ad una sola condizione: mettersi in gioco.

Pani e pesci

Non siamo capaci, non abbiamo i mezzi, non abbiamo sufficiente fede, abbiamo troppa zizzania nel cuore.

Ogni scusa è buona per aggirare la richiesta. Gesù insiste: a lui serve ciò che sono, anche se ciò che sono è poco.

La sproporzione è voluta: pochi pani e pesci per una folla sterminata; è una situazione che produce disagio, sconforto, la stessa sensazione che proviamo noi quando cerchiamo di annunciare la Parola, di porre gesti di solidarietà, di bene. Incontro i miei ragazzi e sto con loro un’ora a settimana: giochiamo, parliamo, annuncio loro il bel modo di vivere che aveva Gesù. Poi escono, e per un’intera settimana sentiranno e vivranno il contrario: violenza, egoismo, opportunismo.

Vivo come uomo di pace e i miei colleghi d’ufficio ne approfittano e mi fregano.

Consacro la mia vita al Vangelo, corro come un pazzo da una Parrocchia all’altra e la gente pensa che io sia una specie di funzionario del Vaticano.

Occorre arrendersi?

No: il nostro è gesto fecondo se accompagna l’opera di Dio, è segno profetico che imita l’ampio gesto del seminatore, è icona di speranza che imita la pazienza verso la zizzania del padrone del campo.

Chi o cosa?

Paolo riflette sul suo percorso e scrive alla comunità di Roma.

La vita è faticosa, allora come oggi, per tutti, non scherziamo.

E le prime, fragili comunità, dovevano fare i conti con tante difficoltà.

Paolo osa. Interroga. Provoca. Consola.

Chi ci separerà dall’amore di Cristo?

E fa un elenco.

Oggi diremmo: la crisi, il Covid, la mancanza di lavoro, una Chiesa poco entusiasta, che imbalsama invece di custodire e donare…

Nulla. Nulla ci può separare, nemmeno noi stessi. Nemmeno le nostre fragilità. Nemmeno gli sbagli, nemmeno questo tempo che sembra scordare l’essenziale.

L’altro pane

Matteo, nel raccontare il gesto di Gesù, allude chiaramente all’eucarestia della comunità.

Troviamo la forza per metterci in gioco, per condividere quel poco che siamo solo e a condizione di attingere al gesto straordinario di Gesù che, lui per primo diventa cibo.

L’eucarestia diventa forza e modello del nostro agire.

Aspettiamo il momento in cui, in pienezza, potremo tornare a celebrare il risorto, ad abbracciarci, a guardarci senza maschere. Lo aspettiamo come si aspetta l’aurora di un giorno nuovo.

Nulla ci separa dall’amore di Cristo.

Perciò possiamo farci pane spezzato.


Commento al Vangelo del 2 Agosto 2020 – P. Antonio Giordano, IMC

L’episodio della moltiplicazione dei pani è riportato ben sei volte nei Vangeli (due in Matteo e Marco e una rispettivamente in Luca e Giovanni). Evidentemente aveva molto colpito la comunità dei primi discepoli, tanto da far parte di quelle poche pagine evangeliche comuni ai quattro evangelisti.
“Dacci oggi il nostro pane quotidiano”. Qual è la portata di questa domanda che Cristo mette sulle nostre labbra, perché la rivolgiamo al Padre?

– L’uomo è un essere bisognoso e temporale. Nulla possiede di proprio. Come non ha la vita da se stesso, così non può da solo procurarsi il cibo necessario. È in perpetua ricerca degli alimenti che sazino la sua fame: la fame del corpo, la fame dell’anima, dell’intelligenza, del cuore. Ogni tipo di vita che c’è in lui ha bisogno del nutrimento appropriato.

– L’uomo ha bisogno di Dio. Da Dio viene ogni vita, dalla sua mano ogni nutrimento. E prima di tutto il pane: Dio ha messo tutto l’universo a disposizione dell’uomo perché ne tragga sussistenza. È Dio che feconda la terra e fa spuntare il grano. È anche il pane dell’intelligenza, che si chiama verità; il pane del cuore, che si chiama amore, affetto, amicizia; il pane dell’anima, che è la sua parola e la sua eucaristia.

– L’uomo ha bisogno degli altri. Dio è amore, e ha voluto che tutto sia opera d’amore. Perciò ha fatto gli uomini dipendenti gli uni dagli altri. E questo si verifica in tutti i campi: la famiglia, la scuola, il quartiere, la chiesa, ecc. Che cosa farebbe un uomo da solo? Non ci si pensa abbastanza! Ognuno che lavora, lavora per i suoi fratelli, ed egli stesso approfitta del lavoro degli altri. Di qui il senso di fraternità, di riconoscenza, di generosità e di benevolenza che tutti dovremmo avere e che il vangelo cerca di inculcare e di sviluppare.

Quelle pagine sintetizzano la missione stessa di Gesù. Gesù vede davanti a sé tutta quella folla. È gente affannata, esausta per la fatica e soprattutto in cerca di qualcuno che si prenda cura di loro.

Il cuore di Gesù non resiste alla commozione: guarisce prima i malati e poi si mette a parlare con loro. Fino a sera. E tutti stanno a sentirlo. Quella folla non era anzitutto priva di pane, bensì di parole vere sulla propria vita. Per questo si è fermata tutto il giorno ad ascoltare Gesù. Davvero “non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”.

Tuttavia, il Signore sa bene che l’uomo vive anche di pane, sta scritto infatti: “Per la vostra vita non vi affannate di quello che mangerete o berrete… cercate prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” (Mt 6, 25-34).

Cinque pani e due pesci: la debolezza nelle mani di Gesù. Il miracolo inizia proprio qui: dalla debolezza messa con fiducia nelle mani del Signore. Così avviene la moltiplicazione. La povertà diventa abbondanza.

Molte volte i miracoli sono bloccati dall’avarizia. Tanta gente resta affamata e muore, non per la mancanza il cibo, ma perché viene sprecato o distrutto per interesse. Il miracolo è operato dal Signore, ma non senza l’aiuto dei discepoli. Il Signore ha bisogno delle nostre mani, anche se deboli, delle nostre risorse, anche se modeste. Egli rende forte la nostra debolezza e ricca la nostra povertà. È anche questo il senso delle dodici ceste avanzate: ad ogni discepolo, ad ognuno dei dodici.

Quando noi veniamo in chiesa e riceviamo il pane Eucaristico: quel pane è ricco in proporzione di quello che noi abbiamo portato (non importa se poco) e consegnato a Gesù.

Il poco che noi portiamo diventa la nostra ricchezza, che ci sfama e ci nutre, nell’Eucaristia, e diventa ricchezza anche per i fratelli che partecipano alla nostra Eucaristia.

Maria, nostra Madre, non può restare inattiva se ci vede affamati di Gesù; ma ci lascia in balia della nostra superbia se ci vede sazi delle cose nostre o del mondo.


Fonte: consolata.org

mons. Giuseppe Zenti – Commento al Vangelo di domenica 2 Agosto 2020

Il commento al Vangelo di domenica 2 agosto 2020, a cura di monsignor Giuseppe Zenti, Vescovo di Verona.

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p. Enzo Fortunato – Commento al Vangelo del 28 Luglio 2020

Buongiorno brava gente e pace e bene.

Oggi condividiamo alla luce del Vangelo una dimensione bellissima della vita cristiana che vorrei chiamare “la paziente forza del bene”…

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Fraternità Gesù Risorto – Commento al Vangelo del 2 Agosto 2020

La Parola di oggi ci aiuta a comprendere la preghiera che rivolgiamo al Padre. La folla che cerca Gesù viene infatti liberata dai suoi numerosi mali dal Signore e dai suoi discepoli. Egli si accorge che tutti quelli che gli vengono incontro soffrono, o per malattia o per disorientamento spirituale. E lui li soccorre guarendo gli ammalati e donando a lungo il suo insegnamento. Infine egli pensa anche alla loro fame e li libera dalla schiavitù del denaro. “Date loro voi stessi da mangiare”, dice ai discepoli allibiti che hanno solo cinque pani e due pesci. Essi pensavano già a svuotare la loro cassa, ma senza successo, senza risolvere il problema.

Nelle sue mani generose invece quei pochi pani diventano sufficienti per tutti. La condivisione è la soluzione di tutti i problemi. Molti, lungo la storia della Chiesa, hanno compreso e messo in pratica questa scelta di Gesù! La storia della cristianità è piena di esempi di persone che con fede hanno distribuito il poco che avevano, e così hanno dato inizio a catene di solidarietà che hanno risolto o alleviato le sofferenze di migliaia di persone o di popoli interi. Purtroppo queste persone noi le releghiamo tra i santi in paradiso, e dimentichiamo che erano come noi e che hanno agito in un mondo come il nostro. Possiamo pensare a Santa Teresa di Calcutta, e, prima di lei, a san Camillo de’ Lellis, a san Giovanni di Dio, a san Vincenzo de’ Paoli, a San Giovanni Bosco, a San Giuseppe Benedetto Cottolengo, a don Orione, a san Giovanni Calabria, e a moltissimi altri; molti sono ancora viventi e operanti in vari punti della terra. Quei pani sono serviti a Gesù per sfamare quei “cinquemila uomini senza contare le donne e i bambini”, ma soprattutto per indicarci l’Eucaristia come il vero pane che dalle sue mani passa a quelle degli apostoli e da loro alla folla. I gesti che egli compie con quei pani in mano sono i gesti che ripetiamo ad ogni Eucaristia. Li “prese”, “alzò gli occhi al cielo, pronunciò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli e i discepoli li distribuirono alla folla”. L’Eucaristia è il dono di Dio alla folla affamata, confusa, ammalata, desiderosa di vita e di unità. L’Eucaristia celebrata e vissuta come momento di unità con i fratelli, unità fondata nel sacrificio di Gesù, è vero nutrimento che dà forza e gioia agli uomini!

Si realizza nella celebrazione eucaristica l’invito che ci ha rivolto il profeta Isaia. “O voi tutti assetati venite all’acqua, chi non ha denaro venga ugualmente; comprate e mangiate senza denaro e senza spesa vino e latte”! Vino e latte, cioè gioia e nutrimento, quanto è necessario per la vita fisica e per quella spirituale, tutto riceviamo davvero gratuitamente nella celebrazione eucaristica, ovviamente quando la viviamo e partecipiamo come si deve! In essa veniamo uniti al Signore Gesù, al suo sacrificio al Padre, al suo amore più grande. E nulla poi potrà separarci da lui, nè le tribolazioni nè le persecuzioni, nè le tentazioni nè le preoccupazioni per il passato e per il futuro. San Paolo ci rassicura, lui che ha ne avuto esperienza, che uniti a Gesù saremo vincitori su tutto ciò che ci insidia e che insidia la nostra fede!

Non ci lasceremo perciò distogliere dal partecipare all’Eucaristia: non ce ne distoglierà il sole splendente, né il mare limpido, né ii viaggi divertenti, né la montagna. Intendo dire che non troveremo scuse per mancare dalla Messa, almeno la domenica! Sapremo scegliere sempre ciò che per noi è vitale. Ciò che Gesù ha fatto è indispensabile per noi, altrimenti con che cosa ci nutriremo per stare in piedi in un mondo che continua a minare la nostra fede? E se scompare la fede, scomparirà in un batter d’occhio anche la carità e la pace dal mondo.

Accogliamo l’invito del profeta, imitando le folle che ubbidiscono a Gesù e si siedono sull’erba. Egli non farà attendere il suo nutrimento. Mangeremo la sua carne, cioè vivremo della sua vita offerta al Padre con un amore davvero disinteressato. Riceveremo così la forza dello Spirito Santo che ci tiene uniti e pronti ad offrirci a realizzare l’amore di Dio.


Sito Web

don Antonello Iapicca – Commento al Vangelo del 28 Luglio 2020

CON LA PAZIENZA DI CRISTO ACCANTO ALLA ZIZZANIA PER SALVARLA 

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La Parabola della zizzania illumina la natura della Chiesa e l’identità dei cristiani: sono figli di un Regno che non è di questo mondo, dove si trovano gomito a gomito con la “zizzania”, con i “figli del maligno”. E qui Gesù precipita inesorabilmente nel politicamente e religiosamente scorrettissimi: esistono i figli del demonio. Cioè, coloro che ne compiono i desideri, che obbediscono a un padre che è nemico acerrimo di Dio. Sono assassini, e cercano di uccidere Cristo. Intorno a noi c’è il male perché esiste il demonio che, come annuncia l’Apocalisse, cerca il bambino per divorarlo, per farci cioè rinunciare alla primogenitura, all’immagine di Cristo in ciascuno di noi, figli del Regno. E gli attacchi non sono solo quelli del sesso, del denaro, del potere. Esistono i fendenti più subdoli, quelli con cui il demonio cerca di ancorare la menzogna nella mente attraverso l’evidente ragionevolezza della lotta all’ingiustizia.

La parabola è come il bozzetto del quadro che Gesù stesso dipingerà con il colore del suo sangue. Con i tratteggi del grano e della zizzania il Signore stava profetizzando l’episodio che sarebbe andato in scena davanti a Pilato, anticipando indirettamente ai discepoli la domanda che il Procuratore avrebbe rivolto al Popolo: “chi volete che vi liberi, Gesù o Barabba?”. Il grano o la zizzania? La Chiesa sarà sempre posta al fianco di Barabba, come ciascuno di noi, ogni giorno. E sempre seguirà le orme del suo Signore; di fronte al dilagare delle persecuzioni e del male, ascolterà di nuovo le parole che Gesù rivolse a Pietro nel Getsemani: “Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada; Pensi forse che io non possa pregare il Padre mio, che mi darebbe subito più di dodici legioni di angeli? Ma come allora si adempirebbero le Scritture, secondo le quali così deve avvenire?” (Mt. 26, 52-54). Gesù sapeva infatti che quella “spada” era preparata per Lui, e non per quelli che lo volevano morto. Per Lui, l’unico “seme buono” che il Padre aveva seminato nel seno della Vergine Maria, l’unica “terra buona”. Gesù sapeva che “proprio per quello era giunto a quell’ora”, perché “se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv. 12, 24).

Doveva portare frutto e moltiplicare il “seme buono”: con la sua morte e la sua resurrezione, infatti, avrebbe seminato nel mondo i “figli del Regno”, perché “completassero in loro quello che sarebbe mancato alla sua Passione” in ogni generazione, ovvero carne e sangue da versare per salvare il mondo, la Chiesa martire del suo amore. Sul Golgota era scesa, violenta la “spada” che doveva colpire e purificare il mondo giunto al “colmo delle sue malvagità”. Ma il Golgota è preparato anche per noi, “figli del Regno” rinati dall’acqua e dal sangue zampillati dal costato di Cristo trafitto dalla “spada”. Sappiamo bene che, giudei o greci non importa, tutti eravamo peccatori, “ma siamo stati lavati, santificati, giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio!” (1 Cor 6,4). Per questo, anche per noi è pronto il flagello: proprio come la zizzania che cresce e si distende quasi a soffocare il grano, ci percuoteranno le ingiustizie, ci feriranno le calunnie con cui ci toglieranno l’onore, con l’inganno ci ruberanno quello che ci appartiene; perfino quelli di casa saranno i nostri nemici, e poi gli amici, i colleghi, i professori che vorranno imporre le loro vuote ideologie, e il governo che vorrà impedirci di annunciare la verità, e la cultura, e i media; esattamente come fu già contro Gesù, e, nei secoli, contro la sua Chiesa.

Il mondo sceglierà ancora Barabba, e lo lascerà libero, illudendosi di avere ragione delle ingiustizie con la violenza. Gli aborti si moltiplicheranno, con i divorzi, le guerre e gli abomini. La “spada” giungerà ancora sulla terra, e colpirà i cristiani, come accadde a Nagasaki, dove la bomba atomica fu gettata attraverso l’unico spazio che s’era aperto tra le nuvole, e cadde proprio sul quartiere cristiano, distruggendo la cattedrale e mietendo migliaia di vittime. E’ il Mistero Pasquale di Cristo nel quale siamo stati salvati e che si compirà in noi, perché la pazienza di Dio si estenda anche a tuo figlio, a quel collega che ha appena divorziato, a quella cugina che ha abortito, ai signori della guerra e ai mafiosi. La misericordia di Dio, infatti, ci ha “seminati nel campo” per “fiorire e fruttificare”: è un immagine profetica del battesimo, “per mezzo del quale siamo stati sepolti con Cristo nella morte, e siamo risuscitati con Lui per camminare in una vita nuova” (Rm 6,4). La morte è vinta, esiste il Regno dei Cieli, ed esiste un giudizio! Il male non trionferà, non si scherza. Lo sappiamo per esperienza… Ma proprio perché scampati alla “spada” solo per la misericordia di Dio, siamo ora inviati ad annunciare e a testimoniare a tutti la stessa misericordia, prendendo su di noi i colpi della “spada”, nella consapevolezza che “la nostra lotta non è contro le creature di sangue e di carne, ma contro il nemico” che ha seminato con la menzogna i suoi figli nel mondo.

Fratelli, con questa parabola il Signore ci invita a tornare al nostro battesimo, per vivere intimamente uniti a Cristo. Mentre il mondo sradica ciò che secondo il suo pensiero avvelenato è zizzania, la Chiesa ama, sino alla fine. Anche oggi siamo inviati a non opporre resistenza “ai figli del maligno”; sì, non andrai a sradicare tuo figlio, né tuo marito, nessuno. Sant’Agostino diceva che “molti prima sono zizzania e poi diventano buon grano… se costoro, quando sono cattivi, non venissero tollerati con pazienza, non giungerebbero al lodevole cambiamento”. Non scandalizzatevi, ma accogliete oggi questo “paradosso divino”: il grano è accanto alla zizzania per proteggerla sino alla “fine del mondo”, per dare, cioè, occasione di convertirsi ai “figli del maligno seminati dal diavolo”. Perché, sino all’ultimo istante della loro vita, possano alzare lo sguardo e implorare la misericordia, quell’amore impresso nei fratelli di Cristo. I figli del regno, infatti, sono come il miele per le api, come la dolcezza dell’amore di Cristo tra i pungiglioni della morte che sono i peccati di ogni generazione. L’amore infinito che sperimentiamo nella comunità cristiana è come miele che cola dall’arnia della scuola, del lavoro, del condominio, del mercato; della malattia e della precarietà, di ogni istante che ci è donato. Miele dolcissimo, capace di salvare, per sempre, anche il peggior figlio del maligno, perché non cada nella fornace ardente ed eterna. Il miele di Cristo, che ci attrae e ricrea ogni istante.


AUTORE: don Antonello Iapicca
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