Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 26 Luglio 2023

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L’azzardo che suscita l’ascolto

“Uscì” Gesù, come “uscì” quel seminatore a seminare. Inizia con questa immagine il discorso in parabole secondo Matteo: si apre con un gesto fiducioso, generoso, vitale. È l’incipit di un discorso che, per similitudini, evocherà i misteri del regno dei cieli, l’azzardo di un Dio che non se ne sta chiuso in sé stesso e sceglie di “uscire” per seminare il suo seme, comunicare la sua potenza di vita, capace di dare frutto.

Il suo seme da sempre feconda la terra, pur incontrando nella storia terreni diversi. In una prospettiva di fede, contempliamo la creazione come disseminata di parole che ci dicono questa volontà di benedizione e troviamo disseminate nelle Scritture parole capaci di portare un frutto benedetto per le nostre vite. Così, riconosciamo nella parabola raccontata da Gesù la narrazione del suo desiderio di testimoniare ed essere la benedizione di Dio per noi.

“Quel giorno”, un giorno qualunque, a Cafarnao, “Gesù uscì di casa e sedette in riva la mare”, la sponda di quel lago che vedeva quotidianamente un gran traffico di gente, a cui il rabbi di Nazaret non si sottrae, si espone. In lui è Dio stesso a esporsi, a venire a incontrarci nei luoghi del nostro quotidiano. Il radunarsi della folla attorno a lui può significare tutto e niente: uno sguardo disincantato può vedervi solo curiosità, entusiasmo incapace di perseveranza, terreni infecondi; uno sguardo più attento, non distolto dal vociare di uccelli affamati, sa scorgere, in mezzo a sassi e rovi, il terreno buono di un ascolto più promettente.

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Gesù, osservatore attento, prova a raccontarlo evocando la semina, e l’evangelista ce lo riferisce, perché quel modo di seminare nella Palestina dell’epoca – non propriamente l’ideale dal punto di vista della produttività! – raccontato come buona notizia dal Maestro ha una portata universale, spande generose manciate di buon seme fin sui terreni del nostro cuore. Gesto evangelico fatto senza paura di sprecare la Parola, purché qualcosa resti, con grande fiducia nella sua capacità di fruttificare e senza ansie da prestazione per il fatto che fruttificherà in diverse misure: con speranza, che è già gratitudine.

Così la Parola si espone e i suoi testimoni possono continuare a seminarla, imparando da Gesù e dal suo sguardo di fede. In questo può divenire eloquente persino quel suo cercare la giusta distanza dalle persone cui si rivolge. Matteo annota che si radunò attorno a lui tanta folla da costringerlo a salire su una barca, perché tutti potessero vederlo e ascoltarlo, certo. Però quella distanza permette anche a lui, sottraendosi alla loro pressione, di guardarli da un’altra prospettiva, in modo da parlare loro più liberamente e raggiungere tutti, alla ricerca del terreno benedetto del vero ascolto.

È bene saper guardare a noi stessi e agli altri in prospettiva. La distanza permette di cogliere con realismo e benevolenza la complessa composizione della nostra umanità e di amarla nella sua capacità di dare, entro i suoi limiti e oltre i suoi fallimenti, un frutto che rimane. Allora sapremo amarci “sinceramente … intensamente, di vero cuore, gli uni gli altri”, perché ci scopriremo “rigenerati non da un seme corruttibile ma incorruttibile, per mezzo della parola di Dio viva ed eterna” (1Pt 1,22-23).

fratel Fabio

Per gentile concessione del Monastero di Bose

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