Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 20 Gennaio 2023

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Nominati da un desiderio

Dopo la confusione della folla (cf. Mc 3,8), degli spiriti impuri che gridano (cf. Mc 3,11), “Gesù salì sul monte” (v. 13). Gesù ha rischiato di essere schiacciato dalla folla (cf. Mc 3,9), ha predicato, guarito, ora ha bisogno della solitudine e del silenzio del monte. Gesù ricerca uno spazio di “intima familiarità” (Ruperto di Deutz) per vivere la sua relazione personale con Dio, relazione che dà senso e significato a ogni altra sua relazione.

Gesù “sale” ma questo non lo isola, non crea distanza con l’umanità: è proprio da quel punto, è dal suo “stare con il Padre” che ci raggiunge ovunque noi siamo: quando sentiamo di aver posto una distanza incolmabile tra la nostra vita di poveri figli peccatori e la sua vita di Figlio che è “una sola cosa con il Padre” (cf. Gv 10,30), Gesù si fa vicino con una parola, pronunciata dall’alto del monte ma che scende nel più profondo degli abissi. Gesù pronuncia una parola che risuona da lontano e contiene una promessa: il nostro nome.

Una parola specifica, rivolta a ciascuno nella sua singolarità. Una parola che dice l’identità originale di ciascuno. Gesù “chiama nomi”, e quindi volti ben delineati, identità con qualità, mancanze, fragilità, povertà, … Non un appello generico. È esperienza forte, performante, quella di essere chiamati per nome: è riconoscimento, attenzione, attesta l’esistenza di una identità. Si sono sostituiti i numeri al nome quando si è voluta annullare l’identità di qualcuno, di un intero popolo…

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Gesù conosce il nome di ciascuno di noi, ci conosce nella nostra verità più profonda, e lo “chiama” esprimendo un desiderio: “Chiamò a sé quelli che voleva” (v. 13). Libera e gratuita volontà di Gesù, nessun merito, qualità, doti particolari di colui o colei che è raggiunto dalla sua voce. Il nostro nome pronunciato è esperienza generativa di vita proprio perché ci raggiunge con assoluta gratuità, magari proprio là dove noi ci sentiamo perduti. È dichiarazione di un amore che non ha misura, è mano tesa nella paura, è consolazione nell’angoscia. È generativa perché rimane esperienza sospesa, attende una risposta, non si completa da sola. Da una parte stanno la chiamata e le promesse di Dio, dall’altra la risposta e il movimento dell’uomo. Essere discepoli non è precipitarsi su Gesù, “schiacciarlo”, ma accogliere, ricevere un nome e rispondere.

Il nostro nome pronunciato può mettere in movimento le nostre vite, può orientarle offrendo loro una direzione vitale: “andarono da lui” (v. 14). Nessuna domanda di precisazione, nessuna informazione ulteriore. È sufficiente l’aver sentito pronunciare il nostro nome, l’essere raggiunti nella nostra verità con la forza di vita che sempre ci è donata dal venire riconosciuti, guardati, nominati con tenerezza e amore. Al termine di questo movimento in salita, verso il monte, ad attenderci c’è lui, Gesù, che ci desidera con lui. Nulla è richiesto se non desiderio che risponde al suo desiderio che ci ha chiamati. “La chiamata è vincolo alla sola persona di Gesù” (D. Bonhoeffer).

Immersi in questa relazione, per essere nella comunione, non più soli, non più contro, immediatamente siamo aperti a una novità. Gesù ripete l’atto creativo del Padre: “Ne costituì dodici perché stessero con lui” (v. 14). Dopo aver raggiunto ciascuno nella sua identità originale di figlio e figlia, può creare una nuova identità: quella della sua comunità, la fraternità. Plasma fratelli e sorelle perché siano con lui, chiamati ad avere lui, Gesù, come cuore pulsante della propria identità. Gesù come parte vitale, essenziale della mia identità di sorella, il mio nome dice davvero questo?

sorella Elisa

Per gentile concessione del Monastero di Bose

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