Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 11 Settembreo 2023

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Stendere la mano e essere rialzati

Il testo di oggi ci presenta Gesù che insegna in una sinagoga, luogo in cui la comunità, nel giorno di sabato, il giorno del riposo, si ritrova per pregare, condividere la Parola, vivere un tempo di comunione. Gesù insegna e sappiamo che non lascia indifferenti: le sue parole e i suoi segni suscitano meraviglia, sdegno, ammirazione, rabbia.

Qui succede che nell’insegnare si accorge di un uomo che giace a terra (gli dirà “alzati”, v. 8), con la mano destra secca, senza vita. Lui stesso è senza vita, perché non può lavorare, non può mantenersi. Ma non chiede nulla, tace.

Anche scribi e farisei si accorgono di lui ma il loro atteggiamento è veramente sconcertante: sperano che Gesù lo guarisca, sanno che ne è capace, ma per poterlo accusare e intentare qualcosa contro di lui (cf. v. 7). Non sopportano le novità prospettate da Gesù, e colui che giace è solo un oggetto utile per raggiungere il loro intento. E per di più è sabato, è il giorno privilegiato per capire la comunione con il Signore creatore della vita del mondo. Il desiderio di contrastare Gesù li rende aridi e insensibili come quella mano malata. Anzi alla fine sono descritti come pieni di “collera” (v. 11), dove il vocabolo collera è letteralmente la mancanza di nous, di intelligenza, di interiorità, di umanità. Scribi e farisei pur guardando la miseria dell’uomo riescono solo a “fare il male” e “volere il male”. Loro che aspettavano le mosse di Gesù per accusarlo, si accusano da sé, in maniera inconsapevole.

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E Gesù? Il suo sguardo profondo vede il cuore dell’uomo, vede i pensieri che si agitano nella sua interiorità, e provoca con una domanda radicale, che non si limita alla questione sula guarigione che avevano in testa scribi e farisei, una domanda che riguarda tutti, anche noi che leggiamo. L’uomo paralizzato è rialzato (il verbo è lo stesso della resurrezione) e posto al centro della scena, ed ecco le parole cruciali: “In giorno di sabato, è lecito fare del bene o fare del male, salvare una vita o sopprimerla?” (v. 9). Non c’è una terza possibilità!

La risposta sembra ovvia, fare il bene e salvare una vita, ma non sempre nelle molte situazioni che viviamo ogni giorno è quella che si concretizza. Per la fretta, la disattenzione, la superficialità non ci accorgiamo di chi giace “senza vita” e passiamo oltre. Oppure lo schema delle nostre convinzioni ci esime da un atto di accoglienza, di ascolto, di soccorso. Solo che il vangelo ci fa capire che il “non fare” porta a fare il male.

Ne usciamo se comprendiamo che noi stessi abbiamo bisogno di qualcuno verso il quale stendere la mano per essere rialzati e rinnovati nel nostro cuore (nous). Il vangelo ci ribadisce che Gesù è accanto a noi pronto ad afferrare la nostra umanità paralizzata e portarci a sé. Il sabato è il giorno che Dio ha scelto per contemplare e ammirare la sua fatica creatrice. Noi siamo la “cosa molto buona” (Gen 1,31) e dobbiamo credere che il Signore è lì, che ci guarda, ci scruta, ci conosce, non per spiare e accusarci, ma per guarirci, per rialzarci, per salvare la nostra vita. E a dire, a noi, oggi, ancora una volta “va e anche tu fa lo stesso” (Lc 10,37).

fratel Marco

Per gentile concessione del Monastero di Bose

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