Monaci Benedettini Silvestrini – Commento al Vengelo del 17 Marzo 2022

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Lazzaro ha saputo sia essere sia avere.

Il brano di oggi ci illumina sulla preoccupazione del vero ricco del vero povero. “C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla tavola del ricco”.

Un giorno mio amico mi raccontò che è passato nella via in cui si sedeva un mendicante nell’angolo di un palazzo, questo gli chiese una moneta, gliela diede, però per educazione, si fermò anche per scambiare due parole con lui. Quando gli chiese il suo nome, il mendicante si mise a piangere e poi disse che tante persone passano davanti a lui però nessuno ha mai avuto l’intuizione di chiedere come si chiamava, perché era ormai conosciuto come il mendicante dell’angolo del palazzo, mentre lui aveva il nome proprio e si chiamava Giovanni.

Nella logica del mondo a volte la nostra identità è definita in base a ciò che possediamo: io sono ciò che ho. Quindi possiamo ipotizzare che forse per questo motivo il ricco della pericope odierna non ha nessun nome. Il suo nome coincide con la sua ricchezza. Invece il povero non ha nulla, ma conserva il suo nome.

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“Quando muore, l’uomo non porta nulla con sé”, dice il Salmista; nell’altra vita si va solo con ciò che siamo. Per questo l’episodio del ricco e Lazzaro, riportato nel vangelo di oggi, è drammatico e fa molto riflettere: “Stando nell’inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma.

Ma Abramo rispose: Figlio, ricordati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti”. Qui il peccato del ricco non è la ricchezza in sé ma piuttosto la sua mancanza di solidarietà nei confronti del povero Lazzaro, che ha saputo sia essere che avere.