La comunità , la Chiesa non è il luogo dove non si sbaglia mai, ma il luogo in cui, una volta sbagliato si fa esperienza dell’abbraccio che perdona ovvero rialza, rimargina le ferite e fa avanzare. Terribile quella Chiesa in cui è proibito fallire, cadere, sporcarsi; spaventosa la comunità dove si attende che tu divenga migliore e nel frattempo non riesci a muovere un dito per paura di sbagliare e venire giudicato.
Il nemico peggiore del perdono si chiama giustizia. Il servo della parabola che qui viene perdonato dal re per un debito folle, tratta il suo simile – debitore a sua volta verso di lui di una cifra irrisoria – semplicemente con giustizia. La legge del tempo prevedeva che chi non aveva da restituire finiva dritto in prigione. Questo servo malvagio ha solo agito com’era prescritto dalla norma vigente.
Un uomo di certo giusto ma spietato.
Si può essere perfetti osservanti della legge – civile o religiosa che sia – e al contempo malvagi. Onesti e cattivi.
Gesù ci sta dicendo che esiste una giustizia che sovrasta la giustizia giusta, e questo tipo di giustizia non dà a ciascuno ciò che si merita, ma ciò cui l’altro ha bisogno.
Per trasformare il mondo non bastano il diritto e la giustizia, perché con l’applicare la ‘giusta’ giustizia si può perpetrare il peggiore dei mali. Ce lo ricorda don Milani nella Lettera a una professoressa, quando scrive: «non c’è nulla di più ingiusto quanto far parti uguali tra disuguali!».
La parabola inoltre ci aiuta a non farci mai sentire in debito con Dio. Non siamo chiamati a restituire nulla alla divinità . Non dobbiamo ripagarlo di nulla. Non c’è nulla da espiare, nulla per cui sacrificarsi, nulla di cui pentirsi nei suoi confronti. Se l’uomo chiede perdono non è certo ad un dio lassù in alto adirato per la trasgressione dei sui servi, ma piuttosto al fratello cui ha tolto la dignità e sporcato il suo volto che riflette il volto stesso di Dio.
Non c’è alcun debito da pagare nei confronti dell’amore, o peggio ancora da riparare, c’è solo da godere del dono ricevuto. Un figlio non potrà dare nulla al genitore per ripagarlo della vita avuta in dono, ma godendo appieno di quella medesima vita canta tutta la sua gratitudine.
AUTORE: don Paolo Squizzato
FONTE
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