don Marco Pozza – Commento al Vangelo di domenica 16 Maggio 2021

Cristo toglie le rotelle al triciclo

Il rischio, anzi la grande tentazione – la più grande di tutte le tentazioni – se la teneva bene impressa in mente Cristo: era quella che gli amici, i pavidi fuggiaschi del venerdì santo, vivessero a rimorchio di Lui per tutta la vita. Che usassero Dio come una sorta di stampella per stare in piedi, quasi che da soli non ce la facessero. Dopo la morte, dunque, Cristo ritornò dagli amici suoi: “Capisco la botta – deve avere pensato tra sé -: si saranno spaventati. Ritorno, li rincuoro: spero, però, che stavolta sia la volta buona”. Tornando, ancora una volta andò Lui in cerca di loro, non viceversa: nella battigia del mare, nella clausura del cenacolo, in giro a zonzo dov’erano andati a cercarsi case e mestieri in affitto.

Dio, da parte sua, lavorò di rammendo: con pazienza, misericordia, testardaggine riaccreditò i disertori e li rimise seduti nel loro posto, nel posto per il quale erano nati e venuti al mondo: a tavola, accanto a Lui. Tutto come prima, insomma. E tutto come prima dev’essere parsa loro la vita: una pacchia rimediata. All’appello mancava soltanto Giuda: aveva abbandonato il gruppo. “Ci ha fatto solo che un piacere, liberandoci della sua presenza”: non è difficile ricostruire qualche leggerissima resa di conti nel primo gruppetto (pettegolo) di preti: d’allora, tutto come allora tra i preti. Mancare d’attenzione è la peggior forma d’abbandono. Mica lo capirono, mica lo capiscono: figurati se han voglia di capirlo.

Da risorto, aveva scelto Lui d’avere le ore contate: “Ritorno, li rincuoro tutti. Poi, però, devono farcela da soli: basta con questa storia del sussidio permanente. Non posso fare loro da badante una vita intera”, deve aver pensato Cristo se, dopo poco qualche giorno – più di quaranta, meno di cinquanta -, «fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio». Il messaggio era d’una chiarezza trasparente: “Se non tolgo loro le rotelle dalla bicicletta, figurati se un giorno questi impareranno a pedalare da soli”. Detto così, come la più premurosa delle madri, il più stimolante dei padri. Come il più profondo intenditore dell’amore: amare è abbandonarsi senza sentirsi mai abbandonato. “Eccolo, l’illusionista: li ha mollati tutti per strada! Ve l’avevo detto di non tornare a fidarvi di costui” borbottava, di nascosto, il citrullo di Satàn. Non capì, pirla squisito e maiuscolo, che «Dio soltanto ha il privilegio di abbandonarci. Gli uomini possono solo mollarci» (E. Cioran). Lui, anzi, è uno che non abbandona, s’insedia alle calcagna, insiste come un pazzo infuriato. E non capisce che, nel suo caso, abbandonare sarebbe il piacere più grande da fare all’uomo: quello di liberarlo dalla sua presenza. Invece ama tenerlo stretto, schiavo: ti fa credere che lasciarti le rotelle al triciclo sia una forma di premura, non un anticipo di schiavitù. Certe presenze, insomma, sono più dolorose di certi abbandoni: Satàn, porco-demonio, è il più grande costruttore di rotelle per biciclette. La produzione non conosce crisi.

Cristo, d’improvviso, accelera: li prende per mano, li porta appena fuori Betania, fa credere loro che li stia tenendo per le spalle. Nel frattempo, però, ha tolto loro le rotelle dalla bici. S’è innalzato sopra di loro, li ha lasciati correre da soli. Tutti noi ricordiamo quant’è stato difficile imparare a pedalare: senza rotelle siamo caduti, ci siamo sbucciati le ginocchia, abbiamo avuto i gomiti rossi. Eppure, anni dopo, di quell’avventura ricordiamo il ricavato finale: “Però ho imparato a pedalare!” ammettiamo tutti fieri. Fu così che nacque anche la Chiesa: da un abbandono d’amore, un gesto di fiducia, la scommessa di un Padre-servo non Padre-padrone. “Senza rotelle ho paura, no: ti prego, lasciami le rotelle ancora qualche settimana!” gli avrà gridato uno dei due figli di Zebedeo.

E Lui, convinto delle potenzialità degli amici più di quanto lo fossero loro stessi, già li vedeva scalare le montagne, disegnare le discese, a fare acrobazie lungo le strade. A ruota alta, con una mano soltanto sul manubrio: «Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura». A loro pareva che l’Allenatore esagerasse: “Figurati, come si fa a pedalare senza rotelle! Tu sarai capace, Pietro?” si domandavano. Il Maestro, di nascosto, già li vedeva sfidarsi su traguardi olimpici: «(Nel mio nome) scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti; imporranno le mani ai malati e questi guariranno» (cfr Mc 16,15-20). Vinse Lui la scommessa: tolte le rotelle, dopo la prima caduta si rimisero in sella. Anche dopo la seconda, la quarta, l’ennesima. Oggi pedalano a-tutta, dappertutto. Chi, nella Chiesa, vive a rimorchio, oltre a non essere cristiano è uno che pedala sul triciclo a cinquant’anni: è così triste da dondolare tra il ridicolo e il diabolico.

Commento a cura di don Marco Pozza
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