Don Luciano Condina – Commento al Vangelo del 1 Maggio 2022

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Pietro ci insegna a riconoscere il Signore per arrivare ad amare

Pietro torna a pescare, a fare il suo vecchio lavoro. Ritornare alle vecchie cose per un cristiano rappresenta un momento di crisi e di difficoltà. È un momento in cui Pietro e la Chiesa devono ritrovare Gesù, ma non lo riconoscono se non per mezzo di un evento straordinario: una pesca miracolosa di 153 pesci, dopo aver gettato le reti dalla parte opposta a quella abituale, ossia alla destra della barca. Chi è destro getta le reti a sinistra e per chi è destro gettare le reti a destra è più scomodo. Questa indicazione fornisce una visione diversa, cioè seguire un sentiero differente dall’abitudinario: le vie del Signore, appunto.

I discepoli hanno fallito nella loro avventura notturna di procurarsi pesce. Ciò indica il problema che noi continuiamo a incaponirci sui nostri progetti, ad andare avanti facendo le cose così come le abbiamo sempre fatte, senza frutti, anche dopo aver conosciuto Gesù risorto. Dalla spiaggia, ossia la terraferma, lo “sconosciuto” suggerisce di gettare le reti a destra, indica una diversa lettura operativa che è l’altra maniera, quella di Dio di fare le cose. La parte destra nella Bibbia è la parte della fede; la destra è la parte della potenza di Dio.

Riguardo al significato del numero di pesci pescato si può dire che al tempo si conoscevano 153 specie diverse di esemplari nel Mediterraneo, secondo gli ordini di bestiari dell’epoca. Allora il numero può rappresentare la totalità, la bellezza, la pienezza, la completezza, la soddisfazione che passa per un’obbedienza, un’indicazione fuori dell’ordinario. La storia ci porterà a vedere che non sono così importanti quei pesci: erano solo il mezzo per ritrovare il Signore: infatti è solo a questo punto che viene riconosciuto.

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 «Simone mi ami più di questi?» (Gv 21,15). Pietro deve rispondere affermativamente tre volte in riparazione al triplice rinnegamento: come presso un fuoco di brace rinnegò il Signore, la terza volta si risveglia, e lo fa con una tristezza santa e benedetta, in ricordo della propria povertà e del proprio errore. Il Signore cercava quella tristezza per poterla finalmente illuminare: «Signore tu sai tutto, tu sai che ti voglio bene, tu conosci tutto» (Gv 21,17). Finalmente arriva il momento di non mettere Dio nella piccola scatola della nostra testa, ma di sapere che noi siamo conosciuti da Lui in tutto.

«Quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi»  (Gv 21,18). Quando sei giovane fai quello che vuoi: è la condizione dell’infantile, dell’immaturo, della persona ribelle che fa come le pare, è l’uomo che deve obbedire a se stesso dandosi i ruoli che preferisce. Quando sarai adulto, quando sarai maturo – e gli sta dicendo che questo momento è arrivato – finalmente avrai imparato a farti condurre, a fare la volontà del Padre; avrai imparato l’arte di farti dare da Lui il ruolo nella vita.

La maturità è questa: l’essere finalmente arrivati a saper amare, che richiede in sé, come atto, sapere entrare nelle cose per come sono. Gli infantili, gli immaturi sono persone a cui la vita deve obbedire; le cose devono essere come loro si aspettano. L’adulto, invece, sa entrare negli eventi per come sono, sa amare le persone per come sono, sa accettare che nella vita c’è molto meno da decidere e molto più da valorizzare.

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C’è poco da scegliere e molto da saper accettare per vivere bene.


Commento di don Luciano Condina

Fonte – Arcidiocesi di Vercelli