Don Joseph Ndoum – Commento al Vangelo del 25 Settembre 2022

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Un appello alla speranza per i poveri della terra

Il profeta Amos, nella prima lettura, annuncia il tema della liturgia della parola di questa domenica. Al centro sta il destino del povero e del ricco. Dio, fin dall’inizio, si prende cura del povero. Di quest’insegnamento, se ne fa anche portavoce l’autore del salmo responsoriale, di cui possiamo leggere: “Il Signore rende giustizia agli oppressi, dà il pane agli affamati… Egli sostiene l’orfano e la vedova”. Questo salmo 145 (146) si conclude con una grande professione di fede: “Il Signore regna per sempre, il tuo Dio, o Sion, per ogni generazione”.

Il regno di Dio sembra coincidere qui col suo intervento efficace per rendere giustizia, cioè per liberare e salvare quelli che sono nel bisogno, i poveri. … Sullo sfondo di questi insegnamenti si colloca anche la parabola di Gesù che siamo soliti chiamare la parabola del povero Lazzaro e del ricco Epulone.

Il povero ha un nome comune nell’ebraismo, che significa “Dio aiuta”, “Yahwe viene in soccorso”. Secondo la concezione semitica, il nome esprime la realtà profonda della persona, riassume la sua storia. Il ricco non ha nome, perché non ha storia o ha costruito la sua storia sul vuoto. Ha perso le vere ragioni del vivere. Ha smarrito o sostituito il suo nome con un altro: ”epulone”. Epulone non è un nome di persona, ma un aggettivo latino, che significa “mangione”, gaudente, festaiolo, uno sempre intento a banchettare. Lui fa così, e i suoi cinque fratelli fanno altrettanto. La ricchezza lo chiude nell’egoismo o, meglio, nel piacere egoistico, e lo stacca dagli altri.

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Impegnato a contemplare il piatto ricolmo, non riesce più a vedere il povero, morto di fame e pieno di piaghe, che sta alla sua porta. I cani (che vanno a leccare le piaghe di Lazzaro) vedono meglio di lui.

Alla morte di Lazzaro e del ricco, si compie il capovolgimento. Lazzaro si trova felice in grembo ad Abramo (in paradiso); il ricco invece è all’inferno, nel fuoco, nella sete, nel tormento. Il ricco si è accorto finalmente che Lazzaro esiste, e che è diventato importante. Si rivolge ad Abramo chiedendo che mandi Lazzaro a portargli il ristoro di una goccia di acqua. La risposta di Abramo è negativa: La situazione è ormai irreversibile. Tra i due mondi, c’è un “grande abisso” insuperabile.

Si potrebbe dire che quell’abisso invisibile che separava sulla terra il ricco dal povero, ora divide la loro rispettiva condizione nell’aldilà. L’inferno, ora, non è altro che la “consacrazione” di questo stato di separazione da Dio e di lontananza dai suoi amici, i poveri. Il ricco ha capito tutto, ma troppo tardi. Perciò supplica per i fratelli: Lazzaro n on potrebbe tornare in terra per sollecitarli a cambiare vita? La risposta di Abramo è breve e radicale: “Hanno Mosè e i profeti; ascoltino loro”. L’espressione “Mosè e i profeti” designa la Bibbia nella sua interezza, la parola di Dio. In modo concreto, la parabola di questa domenica ci ammonisce severamente che la sorte dell’uomo si gioca oggi, quaggiù, e adesso.

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E’ nel presente che viene fissata l’eternità. La ricchezza toglie spesso la volontà di conversione. E’ allora ancora valida oggi la parabola del ricco e Lazzaro. Nella nostra civiltà del consumismo, il mondo è più che mai pieno di “Epuloni”, di gaudenti, di sazi indifferenti, di gente che non si occupa certo del cielo, ecc. E non mancano i poveri che stanno bene fuori della porta.

Don Joseph Ndoum


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