don Andrea Vena – Commento al Vangelo di domenica 9 Luglio 2022

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Domenica scorsa il vangelo ci ha presentato le radicali condizioni per seguire Gesù (Mt 10,37-42). Oggi la liturgia  sceglie di omettere i primi ventiquattro versetti del capitolo undici, e iniziare la lettura col versetto 25. Vorrei ri chiamare i primi versetti perché ci aiutano a capire meglio il testo della liturgia di questa domenica.  Nella prima parte del capitolo, Gesù ha dovuto prendere atto di due rifiuti: uno, nei confronti di Giovanni Battista  (cfr Mt 11,2-19), l’altro nei confronti delle sue opere (Mt, 11,20-24). Ebbene, di fronte a questi due rifiuti cosa fa  Gesù?

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Non reagisce, non si vendica, non insulta. Niente di tutto questo. Gesù reagisce pregando, rifugiandosi nel  Padre. E lo fa non per lamentarsi o per condannare, ma per renderGli lode. Gesù si rivela come il re mite e pacifico  descritto nel libro del profeta Isaia che la liturgia ci offre come prima lettura: «Esulta grandemente, figlia di Sion,  giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino… Farà  sparire il carro da guerra… l’arco di guerra sarà spezzato, annuncerà la pace…». Il re atteso, dunque, è un re di pace,  mite, non vendicativo. Il profilo del Re, descritto in Zaccaria, corrisponde a Gesù e in Gesù Dio rivela il suo disegno.  

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vv. 25-27: «In quel tempo Gesù disse: “Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto  queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il  Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo».  

Come abbiamo accennato all’inizio, Gesù non prega per rispondere a qualche richiesta, ma risponde con la pre ghiera di lode a degli avvenimenti che hanno preceduto questo testo. Gesù porta nella preghiera il peso della cri tica e degli insuccessi: mette tutto nelle mani del Padre con atteggiamento di gratitudine. Solo la fede, solo  un’adesione vera e convinta al Padre del cielo può trasformare un insuccesso in un’esperienza di abbandono fidu cioso in Dio. (Il testo non è una novità, ma una ripresa di una preghiera che ritroviamo nel testo del Siracide e che Gesù in un certo senso  ricalca, cfr Sir 51,1-30).  

In questa preghiera c’è il rinnovato «si» di Gesù al Padre che lo ha inviato, un «si», quindi, che non è condizionato  dal successo della sua missione, ma è legato unicamente al Padre del cielo. Come per Gesù, così dovrebbe essere  anche per noi: non possiamo incrinare la nostra adesione alla missione che Dio ci ha affidato solo perché le situazioni o le contraddizioni sono a noi sfavorevoli. La vita l’abbiamo affidata a Dio, non alle circostanze del momento,  che possono andare bene o male! Lui è il centro gravitazionale della vita, il senso ultimo di quanto viviamo e facciamo. Lui. Allora la difficoltà matrimoniale, il disorientamento giovanile, il fallimento pastorale, la sterilità nel  ministero… non devono divenire causa di scoraggiamento o abbandono, ma momento paradossale per confermare la nostra adesione al Signore e non alle «cosa da fare».

Abbiamo donato la vita al Signore Gesù non a quella  determinata parrocchia; non a quella determinata iniziativa; non a quella determinata persona… La vita è posta  nelle mani del Signore e con Lui siamo chiamati a cogliere il bello e il positivo in ogni persona ed esperienza. Inoltre, in queste parole, scopriamo la preghiera di Gesù, il modo con il quale Lui si rivolge al Padre del cielo. E nel  suo rivelarsi, svela che Dio è amore. Non un amore imposto, ma una Proposta che, come s’intuisce dal testo, può  essere sia rifiutata che accolta. Certo è che i primi ad entrare nella relazione con Dio sono i piccoli, cioè coloro che  si lasciano stupire di fronte al dono della vita, che sanno accoglierne i doni. D’altro canto, riconosce Gesù non  “spontaneo”; c’è chi è talmente pieno di se stesso, da illudersi di non aver bisogno di nulla, fino a rimanere prigioniero di se stesso e delle sue cose. Gesù prega il Padre, si apre a Lui perché è l’Infinitamente Piccolo, perché Gesù  non si vede se non nel Padre: «Io e il Padre siamo una cosa sola» (cfr Gv 10,30-38)

vv. 28-30: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di  voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è  dolce e il mio peso leggero”. 

L’invito a seguirlo richiama un itinerario di sequela del discepolo. Vi è anzitutto la chiamata: “Venite a me”; quindi  la necessaria rinuncia alla volontà propria per obbedire alla volontà del Signore (“prendete il mio giogo”. Giogo:  strumento di legno che viene posto sul collo agli animali per poterli governare e guidare. Ebbene, il «giogo» di  Gesù non è un insieme di norme religiose e morali che vengono caricate sulle nostre spalle – come facevano i  farisei, che poi loro stessi non mettevano in pratica! -. Ma è relazione di amicizia, ecco perché è un «giogo leggero».). Il giogo di Gesù porterà alla croce, perché la relazione se è autentica, non pone limiti. È amore maturo,  compiuto.  

«Imparate da me»: lo stare dietro a Gesù richiede obbedienza, cioè ascolto del Maestro, certi che in Lui troviamo  quanto il nostro cuore cerca: «Troverete riposo per la vostra vita». Stare dietro al Signore permette di guardare  Lui per fare come Lui. Permette di apprendere l’arte della mitezza, che è l’arte di vincere la violenza e l’aggressività, attraverso un approccio improntato alla pace, la sola che permette di divenire artigiani di dialogo e amicizia.  Oggi la mentalità corrente spinge a rinchiudersi, a «starsene in santa pace». Ma alla fine è proprio la solitudine ciò  che stanca di più, il camminare senza meta, il non dar senso alla giornata, alla vita. Stanca l’agitarsi inutilmente, il  consumare energie per ciò che non serve (cfr Marta, Marta, cfr Lc 10,38ss).  La vera pace che Gesù propone la si trova in Dio e nello stare con Lui, a tu per tu, proprio come fa Gesù che si  confida col Padre.

Questo aiuta sempre a relativizzare quanto si sta facendo, a comprendere che il filo della storia  – che sia personale o che sia la storia del mondo – alla fine lo ha in mano Dio. Se solo prendessimo pienamente  coscienza di questo, allora impareremmo a scoprire che Dio si rivela nei piccoli, nei deboli, nei poveri. Ecco perché  tornano di estrema attualità le parole di papa Francesco, il quale invita a guardare la vita, così come la Chiesa, dalla  periferia. A volte basta cambiare angolatura per scoprire che nel povero c’è Dio. Basterebbe ripensare a san Francesco d’Assisi: «…Quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi, e il Signore mi condusse  tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da loro, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza  di animo e di corpo…» (dal testamento).

Francesco, finché viveva nell’agio e guardava alla vita dalla sua posizione  nobiliare, considerava con disprezzo i lebbrosi; ma appena il cuore si ricolmò dell’amore di Dio, non solo lì servì,  ma, allontanandosi, si sentiva triste, perché intuiva – aveva fatto esperienza, che tra loro c’era Dio. Un’esperienza  capace di affascinare e attrarre i suoi stessi amici che all’inizio lo criticavano e lo deridevano. Se ora torniamo a  guardarci indietro, al cammino compiuto in queste domeniche, notiamo che il mosaico del sogno di Dio si va sempre più rendendo comprensibile.

Gesù ha provato compassione per le folle disorientate e ha chiamato i discepoli  a contribuire alla stessa missione (cfr XI domenica, Mt 9,36-10,8). Comprendendo il loro timore di fronte alla missione, li ha invitati a «non avere paura», perché il Signore stesso garantisce la sua compagnia e il suo aiuto (cfr XII  domenica, Mt 10,26-33). E oggi invita a lasciare la mentalità del mondo che guarda alla quantità dei risultati e  pensare invece alla qualità delle relazioni. In questo Lui si offre come Maestro e Guida. Questa è la Gioia più  grande: che al di là di quanto vivremo, Lui è con noi. E ci basta.

Il commento al Vangelo di domenica 9 luglio 2023 curato da don Andrea Vena. Canale YouTube.