L’odierno testo del vangelo ci propone la radicalità della sequela. Dietro le esigenti regole che Gesù propone, in realtà  c’è la sola regola dell’amore. A Lui. A Lui nei fratelli. Senza questo primato, lo stare dietro a Lui non regge.  Prima di addentrarci nel significato dei testi, è bene volgerci al cammino compiuto per dare un senso più pieno al per corso. In queste ultime domeniche stiamo leggendo il decimo capitolo del vangelo di Matteo: due domeniche fa la  compassione di Gesù di fronte alle folle smarrite e affamate e quindi la chiamata dei Dodici (Mt 9,36ss); domenica scorsa  la paura di chi si è sentito chiamato e l’incoraggiamento del Signore a non temere le sfide della missione (Mt 10,26ss).
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Oggi le esigenti regole della sequela, perché il Signore non cerca numeri, cerca cuori capaci di osare e di accogliere i  segni di Dio. Cerca cuori e intelligenze disposte ad accogliere la sua proposta a costo di mettere a soqquadro la propria  vita: col Signore non ci si può accontentare di dare ciò che avanza, le briciole, ma va donato tutto ciò che si è e si ha, a  dimostrazione che Lui è la realtà più importante, quella per cui impegnare tutta la vita (cfr Lc 21,1-4).
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Per aiutarci a  capirlo, la liturgia ci propone come Ia lettura il testo del libro dei Re: una donna anziana riconosce in Eliseo un profeta,  un uomo di Dio, un segno di Dio e, con l’aiuto del marito, predispone una stanza per lui per accoglierlo ogni qual volta  passerà di lì. Non solo una branda, ma una stanza: questa povera coppia, senza figli, mette a soqquadro la propria casa  per l’ospite di Dio. Una scelta che porterà loro la benedizione di un figlio, come promesso da Eliseo: «L’anno prossimo,  in questa stessa stagione, tu terrai in braccio un figlio». E da un cuore che ha fatto esperienza della benedizione del  Signore, non può che sgorgare la gioia, come canteremo nel salmo: «Canterò per sempre l’amore del Signore» (ritornello salmo). Â
Con questa chiave di comprensione, possiamo allora entrare nel testo del vangelo e intendere maggiormente il suo significato. Diciamo subito che il testo può essere diviso in due parti: nella prima troviamo LA regola della sequela, che chiede cuori disponibili e radicali. Ascoltiamo:
vv. 37-39: Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me; chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà , e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà ».
Troviamo qui descritti i tratti che i missionari del vangelo (e lo sono tutti i cristiani!) devono acquisire affinché la missione  sia efficace. Se domenica abbiamo compreso che il coraggio non nasce dalle proprie forze ma dall’aiuto/dall’amicizia  con il Signore, oggi ci viene fatto capire che quando si è completamente liberi dalla «paura», dal preoccuparsi di salvarsi  la vita anziché permettere al Signore di prendersi cura di noi, ecco che s’impara ad amare secondo lo Spirito: «Chi avrà  perduto la propria vita per causa mia, la troverà » (Mt 10,39). Un discepolo, ricorda Gesù, è dunque chiamato a passare dalla «paura» alla «fiducia», quasi una sorta di esodo, di cammino verso la libertà . Un esodo che non si fonda su chissà  quali abilità ma, dicevamo domenica scorsa, sulla piena fiducia in Dio, nostra forza. Su questa forza nasce il coraggio e  la gioia del cammino; diversamente non si è «degni», nel senso che non si è «adatti».
È importante amare i genitori, i  figli, la vita… ma se tutto questo non viene amato con Lui e come Lui, allora vuol dire che non si è ancora liberi, non si è  adatti all’esigente sequela del Signore. Non si tratta di non amare i propri genitori, ma, abbracciare il Signore e la sua croce, permette di amare a un livello più profondo, più vero, più radicale. Gesù educa a un amore meno impulsivo e più maturo. Non c’è una via di mezzo: o sei caldo o sei freddo (cfr Ap 3,15), o sei con Gesù o sei con lo spirito del mondo. Doppiezza e ambiguità non possono esserci. Â
La radicalità alla quale il Signore invita dice che l’appartenenza al Signore non passa per il clan familiare, né si trasmette per eredità di sangue. Essa è e deve essere una scelta personale, capace a volte di scontrarsi all’interno dei legami fa miliari. La radicalità alla quale il Signore c’invita è per la nostra libertà . La cosa interessante, come scrive Jacques Gaillot, da una parte «Abbiamo paura di essere liberi e quando siamo liberi facciamo paura»!
vv. 40-42: «Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto. Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa». Â
In questa seconda parte del testo lo sguardo passa dal missionario a colui che accoglie il missionario. Perché resta pur  vero che c’è sempre il seme da gettare, ma niente avviene senza il terreno che accoglie quanto seminato (cfr Lc 8,4- 15). Un’accoglienza che non va ridotta a semplice azione, neanche fosse un’Ong! Come il missionario è chiamato a por tare il timbro di Cristo nel suo agire-parlare quotidiano, così chi accoglie è invitato a coltivare lo sguardo di Cristo: lo  sguardo illuminato dalla fede, capace di scorgere i segni di Dio, i profeti che Dio manda in mezzo a noi: «Chi accoglie voi  accoglie me… Chi accoglie un profeta… avrà la ricompensa del profeta…». Il testo del primo libro dei Re, scelto come prima lettura, a tale riguardo è emblematico: riconoscere nell’ospite un profeta di Dio e accoglierlo come tale, porta  benedizione alla coppia di cui si parla: hanno dovuto scombussolare i loro piani, fare spazio in casa… ma alla fine sono  stati ricompensati. In fondo l’accoglienza mette sempre in gioco la disponibilità ad aprirsi, a fare spazio, a mettersi a servizio, a prendersi cura di chi si accoglie…
La radicalità dell’amore, quindi, vale per tutti, pur se in modi diversi. Chi  agisce in questo modo, ricorda Gesù, avrà la sua ricompensa. Nel nostro prendere la croce, ossia nel nostro assumere la misura dell’amore radicale di Gesù, ciascuno – in base alla vocazione ricevuta – è chiamato a manifestare la presenza  d’amore dentro le relazioni possibili nella propria vita.
Il commento al Vangelo di domenica 2 luglio 2023 curato da don Andrea Vena. Canale YouTube.