Commento al Vangelo di domenica 23 Giugno 2019 – Paolo Curtaz

Il commento al Vangelo di domenica 23 Giugno 2019 – Anno C, a cura di Paolo Curtaz. Qui di seguito il testo ed il video.

Ziqqaron

Non è una grande parrocchia quella in cui abito attualmente, no.

Quattrocento abitanti, brava gente, come si dice.

Un po’ di turismo durante l’estate. Un parroco in condominio, come ormai accade sempre più spesso, un prete di origine svizzera che stimo e conosco da decenni e che d’ogni tanto si incespica con l’italiano.

Quando sono da queste parti partecipo volentieri all’eucarestia festiva, al sabato sera, nella grande chiesa ottocentesca che domina la piazza.

Mi ha colpito, qualche mese, fa, quando, arrivato per tempo alla messa della Domenica della Palme, ci siamo trovati in dodici. Ero il più giovane. E uno dei due uomini, oltre al celebrante.

Ma c’erano i rami d’ulivo, e abbiamo fatto la processione (in chiesa, fuori c’era ancora un freddo stordente) e abbiamo cantato e letto tutta la Passione.

Una delle più intense celebrazioni cui abbia mai partecipato.

Nella grande chiesa vuota, due banchi occupati, nessuno scoraggiamento.

Ci siamo, pregavo in cuor mio davanti al crocefisso.

Ci sono, sentivo rispondermi nel cuore dal Signore.

Piccole comunità sperdute fra i monti, grandi chiese anonime nelle periferie delle nostre città, è l’eucarestia, ancora, a radunarci.

Che emozione.

Ci sono, ci ripete oggi il Signore.

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In obbedienza

San Paolo scrive alla comunità di Corinto prima ancora che Marco si ingegni a scrivere un Vangelo. E, lui, apostolo in recupero, che non ha vissuto col Signore, ci tiene a rassicurare i suoi parrocchiani: racconta con scrupolo, come prima cosa, come segno di autenticità, ciò che lui stesso ha ricevuto.

E racconta la cena. Quella cena. E quel comando: rifatelo, se volete che io ci sia.

E lo rifacciamo, in obbedienza.

Noi crediamo che ripetendo quella cena, quel Seder pasquale, unico, particolare, compiamo un memoriale, uno ziqqaron. Quando i fratelli ebrei celebrano la cena di Pesah non sanno ricordando la buonanima di Mosè. Si chiedono da quale Faraone devono fuggire.

Così noi, quando ripetiamo la cena, quella cena, stiamo rivivendo il dono di Cristo all’umanità.

Il dono di se stesso.

 

Pane spezzato

Il vangelo di oggi ci racconta la moltiplicazione dei pani e dei pesci nel racconto di Luca.

Luca lo struttura lasciando intravvedere, in filigrana, la celebrazione dell’eucarestia che, probabilmente, sta vivendo con le sue comunità.

D’altronde Luca ha conosciuto la fede, probabilmente, grazie alla predicazione di Paolo il quale, come abbiamo ascoltato nella seconda lettura, è scrupolosamente attento a tramandare alle sue comunità ciò che a sua volta ha ricevuto.

Alcuni dettagli della sua versione svelano questo parallelismo: la moltiplicazione avviene all’imbrunire e non possiamo che pensare al misterioso viandante di Emmaus che viene pregato di restare perché scende la sera; Luca è l’unico che ci dice che Gesù fece dividere la folla in gruppi di cinquanta, probabilmente il numero degli appartenenti ad una comunità, di più, e lo vediamo bene!, si diventa un gruppone anonimo senza rapporti; non si spezzano solo i pani ma anche i pesci (!) cosa improbabile ma sappiamo che il pesce, nelle prime comunità, è simbolo di Cristo: è lui ad essere spezzato.

Luca, insomma, ci manda un messaggio preciso: il più grande miracolo che Gesù ha compiuto non è quello di avere sfamato le persone. Ma le loro anime.

Facendosi lui stesso cibo nell’eucarestia.

 

Alla fine della fiera

Perché, alla fine della fiera, il significato di questa domenica del Corpus Domini è tutto e solo qui: durante la celebrazione dell’eucarestia, di ogni eucarestia, anche bislacca, azzoppata, frettolosa, Gesù si fa pane spezzato, osa, rischia, si dona.

Senza misura, senza condizioni, senza reticenze.

Se è così, se ne prendiamo coscienza, se lo assaporiamo, allora non possiamo fare a meno di esserci.

E di gioirne, e di fare di tutto perché le nostre celebrazioni siano piene, belle, autentiche, solari, forti, dinamiche, oranti, fonte e culmine della nostra fede.

E questa consapevolezza, permettetemi un incoraggiamento, deve partire dal celebrante che diventa, in quel momento, pontefice, cioè ponte, strumento, passaggio.

Forse vale la pena, serenamente, oggi, di chiederci se non dovremmo celebrare meno messe e ridare spazio a Dio nelle nostre messe, che non sono una buona abitudine, ma l’attuazione qui e ora della salvezza del Signore.

 

Ancora

Il brano di Melchisedek che offre (o riceve?) il pane e il vino come segno di benedizione verso Abramo che torna vittorioso dalla battaglia contro l’Alleanza del Nord è sempre stato letto come una prefigurazione di Cristo. E ci sta. Ma quando quell’episodio è stato scritto, probabilmente il messaggio era ancora più forte: la prima volta che si parla di un gesto cultuale ad opera di un sacerdote nella Bibbia questo avviene per la preghiera di un pagano, un cananeo.

Per imparare a riconoscere in ogni uomo il desiderio profondo di interagire con Dio, di raggiungerlo, di ottenere una benedizione.

E noi abbiamo l’immensa fortuna, la gioia indescrivibile, di abitare Dio.

 

Buona domenica allora. E buona Messa, ovunque siate.

Non lasciamo cadere in terra il più straordinario dono che ci ha lasciato il Maestro.

La sua presenza nella povertà infinita di un pezzo di pane.

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