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don Alessandro Dehò – Commento al Vangelo del 5 Maggio 2024

Domenica 5 Maggio 2024
Commento al brano del Vangelo di: Gv 15, 9-17

“Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi.” 

Come se l’amore non si potesse inventare, come fosse sorgente, e noi, con le nostre mani a forma di preghiera a provare a raccoglierne gocce per cercare, disperatamente cercare, di versarne sulle arsure dell’amico. Amiamo di un amore che ci raggiunge. Intanto guardare con occhi gonfi di lacrime le persone che ci hanno strappato dai nostri pensieri con il loro semplice esistere, e ringraziarle. Benedire le malattie, ma sottovoce, per non scandalizzare, e le violenze ricevute, e gli strappi nella tela del dovuto, e i lutti, tutti i nostri morti, baciare con lentezza tutto ciò che ci ha reso incapaci di abitare lo scontato. Venerare gli imprevisti, celebrare le nostre cadute. Lentamente scandire il nostro grazie per tutte le volte che, tremando, abbiamo ciecamente cercato il Mistero implorando di essere almeno visti, anche solo da qualcuno, almeno solo per un istante. Ci bastava alla fine un amore feriale, senza pretese, per questo ci siamo astenuti dalla lamentela, giĂ  questo è traccia di santitĂ , smettere il lamento. Essere amati, in fondo, è la grazia piĂą grande. Perfino immeritata.

“Rimanete nell’ amore, quello mio.”

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L’amore come spazio da abitare e mai come sentimento da consumare. Casa è l’amore, e tutto ciò che crea riparo. Anche le nostre parole dovrebbero diventare rifugio. Creare asilo con i nostri gesti, resi finalmente calmi e stupefatti. Scaldare la voce come fosse un fuoco acceso. Cominciare a costruirlo l’amore, con pazienza e concretezza, come quando si spostano pietre, si ammassa legname, si tirano su dei muri. L’amore sarĂ  tale quando finalmente dal cuore migrerĂ  nei muscoli. Suderemo d’amore. Con fatica. Niente di facile, non sarĂ  mai piĂą solo un gioco. D’altronde siamo sempre in ricerca di qualcosa che faccia scudo, che scaldi, che in qualche modo protegga dal gelo del tempo, e che ci ripari, soprattutto da noi stessi. Quanti sono i posti in cui amiamo rimanere? Non credo siano molti. Sono quelli in cui ci è concesso non fare nulla. Stare per il gusto di restare. Fare finalmente niente, diventare niente, deporre ogni cosa e farsi vento nel vento, pietra tra le pietre. Soffiare via dai cuori delle persone che amiamo il dubbio che debbano meritarci. Che non siano abbastanza. Che ci abbiano deluso.   

“Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore.”

Poterti chiamare per nome, non disintegrare il cuore prostituendolo in illusioni, battezzare ogni parola nel Giordano della tua misericordia, abilitare il cuore alla gioia, incedere sempre con solennitĂ , accarezzare le radici da cui proveniamo, sradicare la paura d’esser destinati al nulla, poter donare vita perfino con i silenzi, soprattutto con il silenzio. Non uccidere mai. Non cedere alla tentazione di credere che qualcosa sia senza Te, non penare che tu possa aver lasciato orfano qualcosa o qualcuno. Non tradire l’amore per nessun motivo al mondo, non svilirlo, non usarlo. Non illudersi di poterne fare a meno. Togliere l’adulterio dalle nostre pupille, gioire per chi ancora ha il coraggio di innamorarsi. Attaccare il cuore solo a cose di valore, che poi sono tutte quelle che non si possono rubare. Amare la veritĂ , e pagarne il prezzo sempre. Mai sciupare le parole, mai falsificarle, liberarsi dalla tentazione della seduzione. Vivere ogni giorno per il gusto di liberarsi dalla brama di potere. Allenarsi a non imporre, a non imporsi, a deporsi. Come unico comandamento continuare a riscrivere il proprio decalogo.    

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“Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.”

Tornare ad avere la sfrontatezza di chiedersi se siamo davvero felici. Allontanarsi dalla tristezza, smettere di fare l’amore con la cupezza. Diventare grandi, finalmente, e smettere di elemosinare attenzione, di cercare alibi, di macerarsi nell’amato dolore. Chiedersi una volta per tutte se è ancora felice chi vive accanto a noi. Per amore essere disposti a lasciare, se questo moltiplica gioia. O a restare, ma solo per lo stesso motivo. Decidere finalmente di sé, ma farlo ancora e sempre con gioia. E che sia piena.

“Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi”.

Correre ai ripari, se non siamo buoni amici, se gli amici non siamo stati capaci di conservarli, se siamo stati troppo concentrati su di noi da dimenticarci di allenare il cuore alla compagnia. Smettere di volerla trattenere questa vita, tanto tutto se ne va, ad ogni istante, siamo sempre in perdita, tutto scorre e invecchia e muore. Saggio è decidere di non subire l’emorragia, ma tramutarla in dono.

“Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri»

Siamo stati scelti, continuiamo ad essere scelti, chiamati per nome, chiamati ad affidarci, chiamati a lasciarci abbracciare da un sogno più grande di noi. Vivere secondo le nostre logiche è spesso condanna ad accontentarsi. Accettare che le pareti dei nostri desideri siano infinite. Poter arrivare alla fine della nostra vita potendo dire che ci siamo fidati solo della Sua Parola. Nell’obbedienza stupire degli accadimenti. Non accontentarsi mai dello scontato. Scrutare la Sua presenza in ogni ombra.

E provare a non cadere nel tranello di non amare. Nemmeno chi non ci ama.

Per gentile concessione dell’autore don Alessandro Dehòpagina Facebook

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