Carlo Miglietta – Commento alle letture di domenica 5 Febbraio 2023

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Una Chiesa “piccolo resto”

La Chiesa, pur essendo anticipazione del Regno, non deve mai perdere la propria consapevolezza di essere minoranza, di essere il “resto di Israele” (Is 10,20): Gesù ne parla come del “lievito” (Mt 13,33), del “sale della terra” (Mt 5,13), del “piccolo gregge” (Lc 12,32), tutte immagini che si riferiscono a una dimensione di modestia, di umiltà, di piccolezza.  

“Il «piccolo gregge»: un gregge amato da Dio, scelto e destinato al Regno, ma piccolo. Questa piccolezza può far nascere il dubbio e lo scoraggiamento nel cuore di molti. Ma è uno scoraggiamento da fugare: la storia di salvezza è regolata dalla legge del «resto d’Israele», cioè del piccolo gruppo di autentici credenti nel quale il Regno si attua a beneficio di tutti. Il piccolo gregge è invitato a non temere. «Non temete» (Lc 12,32): vigilanza sì, prontezza e impegno, ma tutto in un clima di grande fiducia. Il Regno è donato (al Padre è «piaciuto dare a noi il Regno»), poggia sul suo amore e non sulle nostre prestazioni: dunque nessuna ansia” (B. Maggioni). 

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“Nella società il «peso» dei cattolici non è più quello di una maggioranza. Constatiamo un’oggettiva perdita d’influenza e spesso un discredito culturale. La vita sociale si svolge «come se Dio non esistesse». In una situazione minoritaria molti sentono il bisogno di delineare meglio la loro identità e di avere dei segni della loro differenza rispetto agli altri. Con il pericolo evidente del ripiegamento identitario, che minaccia ogni religione del nostro tempo e suscita forme di fondamentalismo. Come accettare di essere minoritari senza diventare una setta? Questa è una parte della sfida” (B. Chenu).

Monsignor Tonino Bello auspicava “una Chiesa sicura solo del suo Signore e, per il resto, debole. Ma non per tattica, bensì per programma, per scelta, per vocazione. Non una Chiesa arrogante, che ricompatta la gente, che vuole rivincite, che attende il turno per le sue rivalse temporali, che fa ostentazioni muscolari col cipiglio dei culturisti. Ma una Chiesa disarmata, che mangia il pane amaro col mondo… Una Chiesa che, pur cosciente di essere il sale della terra, non pretende una grande saliera per le sue concentrazioni o per l’esibizione delle sue raffinatezze. Ma una Chiesa che penetra e condivide la storia del mondo… Che non si limita a sperare, ma organizza la speranza degli uomini”.

“Sì, oggi c’è troppa nostalgia di «cristianità»: si riaffacciano pretese e invadenze e si vorrebbe imporre ciò che nel cristianesimo si può solo proporre… L’essere cristiano non può lasciarsi rinchiudere nell’identificazione con uno specifico progetto di liberazione, di giustizia e di pace, né con le culture generate dall’identità cristiana. Il posto dei cristiani è nella compagnia degli uomini: con loro – senza alcun titolo che a priori li garantisca più degli altri sulla realizzazione di un progetto sociale – dialogheranno e si confronteranno con franchezza e senza arroganza, memori che il loro Signore e maestro li ha chiamati «piccolo gregge» invitandoli a «non temere»: realtà quotidiana di una minoranza fiera della propria identità ma non arrogante, consapevole che, pur senza mai tralasciare di predicare il Vangelo, il risultato non dipende dalla sua volontà perché – come ricorda san Paolo nella Seconda lettera ai Tessalonicesi – «non di tutti è la fede» (2 Ts 3,2). In una situazione di pluralismo, la Chiesa non deve e non vuole essere un gruppo di pressione perché il suo posto nella società è quello di interlocutrice, non di reggente, e perché, come ha ricordato Benedetto XVI, «la Chiesa non intende rivendicare per sé alcun privilegio…, non vuole imporre ai non credenti una prospettiva di fede», ma porsi, insieme a loro, al servizio dell’uomo” (E. Bianchi).

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Affermava il cardinal Martini: “Sono colpito dalla domanda di Gesù: «Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede?». Egli non chiede: «Troverò una Chiesa grande e ben organizzata?». Sa apprezzare anche una Chiesa piccola e modesta, che ha una fede salda e agisce di conseguenza. Non dobbiamo dipendere dai numeri e dai successi. Saremo molto più liberi di seguire la chiamata di Gesù”. 

“In una Chiesa che non è più in posizione di forza nella società, il cristiano ritrova la possibilità di una proposta più libera e di una testimonianza più convincente: si dice quello che c’è da dire; si esprime ciò che si crede di dover esprimere. Non si è più sospettati a priori di voler dettar legge nella società, d’imporre un «magistero morale». Essere profeta oggi può voler dire avere la libertà di essere un’istanza critica, considerando con distacco le seduzioni attuali (individuo, comfort, sicurezza…). Ma proprio perché la società è pluralista, la visione religiosa deve presentare se stessa come proposta, entrare in dialogo con altre visioni della realtà” (B. Chenu).

Una vita bella  

Spesso la Chiesa sembra più preoccupata di annunciare valori etici che di proclamare la felicità della Resurrezione di Cristo. Eppure il proprio della Chiesa è dire al mondo che “nessuno ci fa più felici che Dio” (S. Agostino), e che in Cristo è stata sconfitto il peccato, la sofferenza, la malattia, ogni angoscia, la stessa morte.

Già Gesù aveva detto: “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere belle («kalà érga»!) e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli” (Mt 5,16). Anche Pietro invita: “La vostra condotta tra i pagani sia irreprensibile, perché mentre vi calunniano come malfattori, al vedere le vostre opere belle («kalòn ergòn») giungano a glorificare Dio nel giorno del giudizio” (1 Pt 2,12). Anch’egli usa non l’aggettivo “buono”, “agathòs”, ma “bello”, “kalòs”: gli uomini devono vedere le nostre opere “belle”, essere attratti dalla bellezza della nostra vita!

“Come ricordava già Ignazio di Antiochia all’inizio del II secolo: «il cristianesimo è opera di grandezza, non di persuasione»… Il primo mezzo di evangelizzazione resta la testimonianza quotidiana di una vita autenticamente cristiana, una vita fedele al Signore, una vita segnata da libertà, gratuità, giustizia, condivisione, pace, una vita giustificata dalle ragioni della speranza. Questa vita improntata a quella di Gesù potrà suscitare interrogativi, far nascere domande, così che ai cristiani verrà chiesto di «rendere conto della speranza che li abita» (1 Pt 3,15) e della fonte del loro comportamento. Per questo servono uomini e donne che narrino con la loro esistenza stessa che la vita cristiana è «buona»: quale segno più grande di una vita abitata dalla carità, dal fare il bene, dall’amore gratuito che giunge ad abbracciare anche il nemico, una vita di servizio tra gli uomini, soprattutto i più poveri, gli ultimi, le vittime della storia? Teofilo di Antiochia, un vescovo del II secolo, ai pagani che gli chiedevano: «Mostrami il tuo Dio», ribaltava la domanda: «Mostrami il tuo uomo e io ti mostrerò il tuo Dio», mostrami la tua umanità e noi cristiani, attraverso la nostra umanità, vi diremo chi è il nostro Dio. I cristiani del XXI secolo possono dire questo? Sanno mostrare una fede che plasma la loro vita a imitazione di quella di Gesù, fino a far apparire in essi la differenza cristiana? La loro vita propone una forma di uomo, un modo umano di vivere che racconti Dio, attraverso Gesù Cristo? Altrimenti, come potranno essere credibili nell’annuncio di una «buona notizia», se la loro vita non riesce a manifestare anche la «bellezza» del vivere? Nella lotta di Gesù contro ciò che è inumano, nella lotta dell’amore, c’è stato spazio anche per un’esistenza umanamente bella, arricchita dalla gioia dell’amicizia, circondata dall’armonia della creazione e illuminata da uno sguardo di amore su tutte le realtà più concrete di un’esistenza umana. Perché anche le gioie e fatiche che il cristiano incontra ogni giorno diventino eventi di bellezza occorre una vita capace di cogliere sinfonicamente la propria esistenza assieme a quella degli altri e del creato intero. Così, la vita del cristiano che vuole annunciare Gesù come «uomo secondo Dio» sarà anche, a imitazione di quella del suo Signore, una vita felice, beata. Certo, non in senso mondano e banale, ma felice nel senso vero, profondo, perché la felicità è la risposta alla ricerca di senso… I grandi maestri della spiritualità cristiana hanno sempre ripetuto: «O il cristianesimo è filocalia, amore della bellezza, via pulchritudinis, via della bellezza, o non è»! E se è via della bellezza saprà attirare anche altri su quel cammino che conduce alla vita più forte della morte, saprà essere narrazione vivente del Vangelo per gli uomini e le donne di questo nostro tempo” (E. Bianchi).

Tutti gli uomini dovrebbero sempre vedere la Chiesa come il luogo dove scorre la “gioia piena” (Gv 15,11), una comunità di gente felice, che ha trovato il senso della vita e della morte, che canta le lodi del suo Signore, ricolma del suo amore.

“Se i teorici del post-moderno ci dicono che le domande che ormai vengono poste, e sempre più lo saranno, riguardano la funzionalità e l’utilità delle cose, delle nozioni e dei saperi (A che serve? È efficace? Si può vendere?), non la loro verità o bellezza, la Chiesa può resistere a questa tendenza cercando di porsi quale luogo in cui, in obbedienza alla parola di Dio che dà senso alla storia e al mondo, la domanda sul senso viene custodita come ciò che può veramente umanizzare l’uomo. Se la profezia è storica e sempre usa linguaggi e assume configurazioni differenti nelle diverse situazioni storiche, culturali e geografiche, oggi, nei nostri paesi e nelle nostre Chiese, essa deve assumere la forma dell’invenzione del senso, vivendo e trasmettendo la fede come «cammino del senso»… Mai come oggi risuonano con forza le parole di Dietrich Bonhoeffer: «Il concetto non biblico di “senso” è solo una traduzione di ciò che la Bibbia chiama “promessa”». Nel Nuovo Testamento questa promessa assume il nome e il volto del Cristo e chiede che le comunità cristiane sappiano narrare il Cristo «che ci insegna a vivere» (Tt 2,12), che dà direzione, finalità, significato e bellezza al vivere umano. Onorare il Cristo che in-segna a vivere significa… mostrare nella propria vita che Cristo è motivo sufficiente di vita, che uomini e donne possono radunarsi e vivere insieme una vita umanizzata nel nome di Cristo, per amore di lui e a causa sua. Significa ricordare che Cristo, dunque l’Evangelo, la promessa del Padre, la parola di Dio, può divenire motivo per dare la vita e per affrontare la morte, può dare un senso alla morte dopo aver dato senso alla vita” (E. Bianchi). 

“La Chiesa è questo mondo che si trasfigura grado a grado per opera dei cristiani, dei discepoli di Gesù; quelli che vivono moltiplicando queste zolle del Regno di Dìo, e che così diventa, poco per volta, una nuova creazione. E la Chiesa consumata, come ci dice l’Apocalisse (dove c’è veramente il Regno di Dio che si consuma in Pienezza), sarà il mondo redento e trasfigurato nella Bellezza dove Dio sarà tutto in tutte le cose, come Dio è stato tutto in tutto l’essere di Gesù, e Gesù è il primogenito di questa nuova creazione, cioè il segno di questa creazione di Dio, del sogno di Dio, di questa pienezza ultima di Dio. Allora veramente la Chiesa è questo trasformare in Bellezza e in Pienezza la creazione antica e vecchia per farne una nuova creazione trasfigurata nella Bellezza” (M. Do).

“Essere testimoni della bellezza che salva nasce dal farne continua e sempre nuova esperienza: ce lo fa capire lo stesso Gesù quando, nel Vangelo di Giovanni, si presenta come il «Pastore bello» (così è nell’originale greco, anche se la traduzione normalmente preferita è quella di «buon Pastore»: Gv 10,11.14-15)… La bellezza del Pastore sta nell’amore con cui consegna se stesso alla morte per ciascuna delle sue pecore e stabilisce con ognuna di esse una relazione diretta e personale di intensissimo amore… Il luogo in cui è possibile quest’incontro bello e vivificante con il Pastore è la Chiesa: è in essa che il bel Pastore parla al cuore di ciascuna delle sue pecore… La Chiesa è in tal senso la Chiesa dell’amore, la comunità della bellezza che salva… Attraverso il popolo del «bel Pastore» la luce della salvezza potrà raggiungere tutti, attirandoli a lui, e la sua bellezza salverà il mondo” (C. M. Martini). 

Carlo Miglietta


Il commento alle letture di domenica 5 febbraio 2023 a cura di Carlo Miglietta, biblista; il suo sito è “Buona Bibbia a tutti“.