Lectio Divina di sabato 6 gennaio 2018 – Comunità di Pulsano

Lectio Divina di sabato 6 gennaio 2018 a cura della Comunità monastica di Pulsano.

EPIFANIA DEL SIGNORE

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Nella liturgia dell’oriente la pericope della solennità di oggi viene letta il giorno stesso del Natal e. La santa Epifania del Signore con la narrazione «dei Magi» è solo dell’evangelista Matteo che la colloca in un impianto letterario di grandiosa struttura che obbedisce ad un sapiente disegno teologico.

Il titolo di «Evangeli dell’infanzia» anche se in modo involontario risulta fuorviante e non permette al lettore di attingere all’esorbitante ricchezza: le conseguenze anticipate della Resurrezione nella vita storica stessa del Signore. Occorre qui ancora una volta ricordare che il testo degli evangeli è stato composto dopo la Resurrezione, a causa della Resurrezione, a partire dalla Resurrezione.

Ecco in grandi linee l’impianto letterario dei primi capitoli di Matteo che occorre conoscere:

1)    Mt 1,1: «Génesis di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo» indica il contenuto della narrazione globale; il greco Génesis (in eb. tóledah) indica: genesi, generazione, genealogia, nascita, storia.

2)    Mt 1,2-17: le genealogie del Signore da Abramo a Giuseppe, ma nascita solo da Maria.

3)    Mt 1,18-24: l’annuncio a Giuseppe che dallo spirito Santo e dalla Vergine nascerà Gesù, l’Immanuel.

4)    Mt 1,25-2,1: Nascita divina del Signore nella carne.

5)    Mt 2,1-12: i Magi.

6)    Mt 2,13-23: gli Innocenti, la fuga in egitto, l’esodo dall’Egitto del «Figlio di Dio».

7)    Mt 3,1-12: la predicazione del Battista, con i titoli e le funzioni di Colui che deve venire, che battezzerà con lo Spirito Santo e il Fuoco divi no.

8)      Mt 3,13-17: il battesimo del Cristo: «Il Figlio mio – il diletto – il Compiacimento». L’evangelista Matteo non è un semplice redattore dimateriale, né un narratore di episodi ma è un vero teologo e di strordinaria portata. L’apostolo ha raccontato non solo i «detti e fatti» di Gesù a cui ha assistito ma anche altri. Quando Gesù lo chiama (Mt 9,9) aveva già radunato almeno altri 4 discepoli (Pietro, Andrea, Giacomo, Giovanni in Mt 4,18-22); aveva cominciato la sua predicazione (Mt 4,12-17); aveva pronunciato il primo dei grandi discorsi (“discorso della montagna” in Mt 5,1-7,29); aveva guarito il lebbroso (Mt 8,1-4); il servo del centurione (Mt 8,5-13); la suocera di Pietro (Mt 8,14-17); aveva sedato la tempesta (Mt 8,23-27); aveva guarito gli indemoniati gadareni (Mt 8,28-34) e il paralitico (Mt 9,1-8). Di questi fatti e detti, oltre anche il battesimo e le tentazioni nel deserto, ebbe certo un resoconto dai discepoli o da Gesù stesso. Della missione del Battista, dai suoi discepoli e dai numerosi testimoni di allora (3,1-12).

Per «l’Evangelo dell’infanzia» del Signore (Mt 1,1-2,23) se per la “genealogia di Gesù Cristo Figlio di David Figlio d’Abramo” si poteva ricorrere agli archivi del tempio (1,2-17) il resto erano tutti fatti che potevano provenire solo da quella singolare Archivista che era la Madre di Dio, la fonte privilegiata e primaria di tutte.

Di tutto questo Matteo dà un resoconto essenziale m a circostanziato in cui è riconosibile, come un sigillo, la sua riflessione proprio in quelle “formule d’adempimento” profetico (i richiami alla scrittura sono circa 130, oltre a 43 citazioni esplicite e numerose allusioni), con cui indica la Realtà divina finale del Bambino. Il Gesù di Nazaret per lui è «il Signore», il Risorto, il Figlio di Dio vero nella divinità e vero nella carne di David (cf Rm 1,3), contemplato dopo la Resurrezione come il Messia regale, il Re Salvatore e il Pastore del popolo “suo”.

L’Epifania del Signore è narrata e si manifesta ormai come Parousìa; la presenza divina, l’Immanuel di 1,23 come la promessa finale di 28,20; tutto questo è percepito da Matteo nell’ispirazione dello Spirito Santo e nella fede d’amore per il Signore suo che si fa presente ai “suoi”.

Ecco allora che la Manifestazione del Signore dopo i pastori si dirige ai Magi e questi sono “suoi”, del popolo “suo” come i Padri hanno da sempre cantato:

«I Profeti annunciarono
ma non poterono precisare la data, Egli inviò i Magi,
il loro arrivo segnò l’evento. I Magi indicarono il tempo,
ignorando chi era questo Bambino.
Ma con la sua corsa la Stella splendente manifestò che Egli era Re.
benedetto Lui, designante ogni creatura». (Inno 4 sulla Natività di S. Efrem il Siro)

e meditato:

«Riconosciamo perciò, diletti, nei Magi adoratori d i Cristo, le primizie della nostra vocazione e della fede,
e con animi esultanti celebriamo gli inizi della beata speranza…
sia quindi onorato tra noi il giorno santissimo, nel quale apparve l’Autore della salvezza nostra:
e colui che i Magi venerarono bambino nella culla, noi adoriamolo Onipotente nei cieli».

(Sermo 2 de Epiphania di S. Leone Magno).

Per la tradizione orientale in genere, e per quella bizantina in particolare, i Magi sono fra gli attori del Natale e non dell’Epifania, come per la tradizione occidentale.

Tuttavia anche la liturgia romana e occidentale nella solennità della manifestazione del Signore contempla lo stesso mistero del Natale, ma lo fa mettendo in rilievo due aspetti molto concreti:

1)     la rivelazione della gloria infinita del Figlio unigenito del Padre

2)     la chiamata universale di tutti i popoli alla salvezza in Cristo.

Questi due aspetti sono intrecciati fra loro. In effetti la santa Epifania del Signore mostra la sua ricchezza se si tiene conto dovutamente di almeno due fattori chiave:

a)      il testo dell’Evangelo èstato composto dopo la Resurrezione, ed a causa della Resurrezione, e perciò vuole narrare le “conseguenze” della Resurrezione nella vita storica stessa del Signore;

b)       la forma di interpretazione più alta e compiuta a disposizione della Chiesa è la «lettura celebrativa».

Il nucleo originario del messaggio apostolico fu la morte, la resurrezione e la glorificazione di Gesù; intorno a questo, vennero un pò alla volta a radunarsi gli ep isodi della cattura, della condanna, della crocifissione e del sepolcro vuoto.

Solo più tardi nell’annuncio vennero inseriti la vita di Gesù, i suoi miracoli e i suoi insegnamenti; gli «Evangeli della Infanzia» furono gli ultimi in ordine di tempo e rimasero ai margini del messaggio.

La pericope «dei Magi» è solamente dell’evangelistaMatteo; dei Magi non parla san Luca e il silenzio dell’evangelista confidente della Madre di Dio appare davvero singolare.

La narrazione, come è rilevato da recenti studi, appare come una piccola antologia di testi biblici e rabbinici che ne fanno un capolavoro di letteratura midrashica, in cui si individuano facilmente tratti di personaggi e di eventi dell’antica storia d’Israele.

Abitualmente il capitolo 2 di Matteo è diviso in quattro parti:

1.     la venuta dei Magi (2,1-12);

2.     la fuga in Egitto (2,13-15);

3.     la strage degli innocenti (2,16-18);

4.     il ritorno dall’Egitto (2,19-23).

In realtà è probabilmente meglio suddividere la storia dei Magi in due parti, secondo il luogo in cui si svolge l’azione: Gerusalemme (2,1-6) e Betlemme (2,7-12).

Questa divisione serve a sua volta a sottolineare l’importanza di questi luoghi negli altri episodi: Egitto (2,13-15), Betlemme e Rama (2,16-18), ed Egitto e Nazaret (2,19-23). Ciascuno degli ultimi tre episodi termina con una citazione biblica che si riferisce al luogo nominato nell’episodio.

Al centro della storia dei Magi (2,6) c’è una citazione biblica incentrata su Betlemme. Perciò la domanda fondamentale alla quale vuol rispondere Matteo 2 sembra essere «Dove?».

Nella pratica religiosa cristiana i vari episodi di Matteo 2 sono stati fusi con il corrispondente materiale che si trova in Luca 2 nella «storia di Natale» -un’armonizzazione spesso non critica dei racconti biblici mescolati con l’immaginario popolare. Ne è risultat una propensione ancora maggiore a leggere gli episodi di Matteo 2 come racconti distinti e completi in se stessi.

E tuttavia quando ci mettiamo a cercare i precedenti ebraici dei quattro (o cinque) episodi di Matteo 2, riusciamo a ritrovare la loro unità letteraria e te ologica. Questa unità può essere vista nella nascit a e nell’infanzia di Mose, sia nella narrativa biblica del libro dell’Esodo che nelle successive elaborazioni della stessa narrativa. La tipologia Mose-Gesù che sta dietro Matteo 2 consente di trovare l’unità tra i vari episodi.

La questione del carattere storico dei racconti di Matteo 2 è un problema complicato. Alcuni sostengono che questi racconti siano una specie di «midrash», nel senso che sarebbero elaborazioni costruite su testi biblici anziché la descrizione di fatti reali. Qualunque sia la soluzione conclusiva (fatti storici o creazioni letterarie), il tener presente lo sfondo biblico di questi episodi nei racconti di Mose servirà al lettore a raggiungere una maggiore compr ensione degli stessi.

A favore della loro storicità si possono far notare le molte caratteristiche che sono compatibili con ciò che si sa da altre fonti: il carattere di Erode il Grande, l’interesse degli Ebrei per l’astrologia, ‘Egittol come luogo di rifugio per gli Ebrei, ecc. Inoltre, le citazioni scritturistiche che fanno da conclusione agli ultimi tre episodi non calzano perfettamente: «[fuori] dall’Egitto», la posizione geografica di Rama, e l’origine della citazione riguardo al «Nazareno/nazóreo/nazir eo». Se qualcuno voleva costruire degli episodi su alcune citazioni bibliche avrebbe avuto la possibilità di far meglio.

Contro la storicità di questi episodi resta il fatt o che non hanno un parallelo nel racconto dell’infanzia descritto da Luca e non hanno alcun riscontro nel Nuovo Testamento. Inoltre, questi spettacolari avvenimenti – la stella che guida i Magi sul luogo dove è nato il Messia dei Giudei, la strage di molti bambini innocenti a Betlemme e nei dintorni – non sono confermati da fonti extrabibliche. L’artificio delle visioni in sogno e delle apparizioni angeliche non è il materiale su cui fa affidamento la storiografia scientifica.

La storicità di questi episodi rimane una questione aperta che probabilmente non potrà mai essere definitivamente risolta. Il fattore più importante è stabilire che cosa significassero questi racconti per Matteo e per la sua comunità.

Esaminiamo il brano

v. 2,1 «Gesù era nato»: Al contrario di Luca 2,1-7, Matteo fa solo un breve accenno alla nascita di Gesù. Betlemme era la città natale di Davide, e perciò il racconto della nascita di Gesù riprende il motivo del «Figlio di Davide» dal capitolo 1. Betlemme di Giudea si trova a circa 8 km a sud di Gerusalemme; è distinta dalla Betlemme di Galilea, a circa 9 km a nord-ovest di Nazaret.

«al tempo del re Erode»: si tratta di Erode il Grande che regnò nella Pales tina, sotto l’alta sovranità romana (fu nominato re dei Giudei dal senato romano), dal 37 al 4 a.C. La data della nascita di Cristo non

può coincidere con il primo anno dell’era volgare, ma deve essere arretrata di almeno sei anni. Ciò è dovuto ad un errore di computo fatto nel sec. VI da Dionigi il Piccolo, l’ideatore dell’era volgare.

Erode il Grande era il più potente membro di una famiglia idumea che fu radicalmente coinvolta negli affari palestinesi nel primo secolo prima e dopo Cristo. Il suo regno fu poi diviso tra i suoi figli. Erode era un politico scaltro che riuscì a mettere l’urta contro l’altra le fazioni pro-Roma e la giudaica. In particolare era famoso per i suoi grandiosi progetti edilizi a Cesarea Marittima, a Samaria e per il tempio di Gerusalemme. Fece inoltre costruire numerose fortezze, la più famosa delle quali era Masada. I suoi problemi familiari e la ben nota crudeltà verso i c omponenti della sua stessa famiglia fanno da sfondo e spiegano i fatti descritti in Mt 2,1-12.

«dei Magi»: il racconto di Mt è molto sobrio nei confronti di questi personaggi; la tradizione, invece, da subito si è gettata su queste righe mostrando un particolare interesse per questi misteriosi personaggi e ha dato inizio a una creazione fantasmagorica.

Esegeti e poeti hanno cercato di far luce sul loro numero, sul paese d’origine, sul fenomeno della stella, sul senso della loro missione…

Le risposte a questi ed altri interrogativi si rifletteranno poi nella liturgia e nell’iconografia.

Per quanto riguarda il numero, si ritenne fin dall’inizio che i Magi fossero tre; il numero fu stabilito in base all’elenco dei doni da loro portati. L’iconografia antica, però, mostra qualche incertezza in p roposito mostrandoli in numero di 7,10 o 12.

Quanto all’origine, secondo Mt essi giungono «da oriente» ed erano «magoi», un termine che era applicato ad astronomi ed astrologi, ad aruspici e maghi secondo quella misura di scienza e fantasia che caratterizzava l’antica sapienza.

Nella Bibbia «i figli d’oriente» erano spesso gli Arabi del deserto arabico o siro, le cui carovane commerciavano in oro, incenso e aromi.

Ma nel libro di Daniele (cfr 2,4 dove sono chiamati “Caldei”) i magi sono i sapienti di Babilonia, antica sede di studi astronomici e astrologici.

Alcuni testi apocrifi (come l’Ev angelo arabo dell’infanzia del V-VI sec.) li considerano discepoli di Zarathustra, il profeta della religione iranica, adoratori del fuoco e degli astri.

Li avevano fatti re sulla base di un salmo messianico che faceva prosternare tutti i sovrani davanti al Messia (cfr. Sal 71,10-11, il salmo responsoriale). Poi avevano attribuito loro le tre origini razziali principali (bianca, nera, gialla) ed età diverse pe r rappresentare i vari stadi della vita umana. Beda il venerabile descrive così Magi caldei: «Melchiorre anziano e canuto, Gaspare imberbe e rubicondo e Baldassarre corrucciato e con la barba». Mancavano solo i nomi e a questo pensarono i cosiddetti evangeli apocrifi: un frammento del perduto Evangelo degli Ebrei (II sec), che li descriveva come «indovini dal colorito scuro e dai calzoni alle gambe», attribuì loro i nomi di Melco, Caspare e Fadizarda. E, come ci ha raccontato un membro della Missione Svizzera di archeologia copta, una quindicina di anni fa nell’opera di scavo dei 1.600 insedimenti monastici del deserto egiziano delle Celle, a Ovest del delta del Nilo, è venuto alla luce una parete bianca ove erano dipinti in rosso solo tre nomi: Gaspare, Belchior, Barthesalda. Si era attorno al 600-700 e forse un monaco aveva in quel modo celebrato i Magi, dopo averne sentito i nomi durante l’ufficio liturgico dell’Epifania nel quale forse si leggevano anche testi extracanonici.

In Occidente i Magi appaiono coi nomi di Gaspare, Melchiorre e Baldassarre.

Sul piano storico, l’arrivo a Gerusalemme di dignitari pagani attratti alla fede monoteistica del giudaismo o del cristianesimo trova riscontro nelle conversioni che si erano registrate nel passato più o meno recente (cfr. 1 Re 10,1-13, la visita della regina di Saba al tempo di Salomone). Intenzionalmente l’evangelista li ha fatti emergere, invece, da un orizzonte vago perché a lui premeva non il dato storico preciso ma il segno. Nella piccola processione dei Magi verso Cristo Mt vede in filigrana la processione planetaria annunciata da Gesù: «Molti verranno da Oriente e da Occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli…» (Mt 8,11).

v. 2 «il re dei Giudei»: Poiché questo era il titolo ufficiale di Erode il Grande, la domanda dei Magi si prestava ad essere interpretata come un riferimento a un rivale di Erode. Il titolo era stato usato da Alessandro Ianneo (103-76 a.C.) e dai suoi successori ad indicare un re-sacerdote. Poiché molti guardavano al giudaismo dell’idumeo Erode con una certa diffidenza (perché gli Idumei erano stati costretti con la forza a convertirsi al giudaismo da Giovanni Ircano [134-104]), qualsiasi rivale pretendente al titolo avrebbe costituito un pericolo per Erode.

Questo è anche il titolo che Pilato porrà sulla croce di Gesù (Mt 27,38) dopo averlo schernito con il suo interrogatoriosulla regalità (Mt 27,11) e avergli fatto subire l’oltraggio dei soldati (Mt 27,29).

«la sua stella»: proprio sui monti a oriente della Palestina, una dozzina di secoli prima, era risuonato sulla bocca di Balaam, un «saggio» venuto dalla Mesopotamia (chiamato dal re di Moab Balak per maledire Israele), il famoso oracolo messianico: «Ecco: lo vedo, ma non ora: lo scorgo, ma non da vicino: da Giacobbe spunta una stella, da Israele si erge uno scettro» (Nm 24,17).

Antichi scrittori cristiani, come Origene, pensarono a una cometa; scienziati moderni, dopo Keplero, menzionano la congiunzione di Giove e Saturno nella costellazione dei Pesci avvenuta appunto nel 7 a.C. Il particolare della «stella», oltre ad essere una chiara reminiscenza di Nm 24,17, inteso in senso messianico anche nella tradizione rabbinica (cfr. Testamento di Levi: 18,3; Test, di Giuda 24,1; ecc.), allude forse alla «luce» che secondo un racconto popolare avrebbe inondato la casa di Mose al momento della sua nascita (cfr. racconto «La fanciullezza di Mose» in “Il Midrash”, di Gunter Stemberger, EDB1992, p. 269-275). Anche in ambiente greco-romano il motivo della «stella» annunciatrice di grandezza e di gloria ricorre nelle biografie di grandi personaggi, come Alessandro Magno, Mitridate, Augusto, ecc.

L’idea che la nascita e la morte di grandi personaggi fosse accompagnata da fenomeni astrali era molto diffusa nell’antichità. La natura del fenomeno astrale che fu messo in relazione alla nascita di Gesù comme abbiamo già anticipato è stata interpretata in vari modi: una nuova stella (supernova), una cometa,

o la congiunzione dei pianeti Giove e Saturno. Le prove di una congiunzione planetaria nel 7 a.C. e le sue possibili implicazioni teologiche sono state sintetizzate da R. Rosenberg in Bib 53 (1972) 105-109. Tuttavia, l’espressione qualificativa «abbiamo visto spuntare» sarebbe più adatta a una supernova o a una cometa che a una congiunzione planetaria.

«siamo venuti ad adorarlo»: Il termine greco proskyneó si riferisce a un atto di sottomissione (inchino profondo, prostrazione) davanti a una persona di grande dignità o autorità. In questo caso si tratta d i un re («il re dei Giudei»). Il termine è ripreso in Mt 2,8.11, servendo così da motivo unificatore del racconto. E poiché descrive anche l’atteggiamento più appropriato degli uomini davanti a Dio, potrebbe anche ribadire il tema di Gesù come Figlio di Dio.

vv. 3-9 Entriamo ora nel vivo del genere letterario della leggenda di Mose.

La tipologia Gesù-Mose è giustificata da una tradizione rabbinica nella quale il testo di Es 2,15 è messo in relazione con Zc 9,9 per cui l’ultimo liberatore, come il primo, Mose, sarebbe stato umile e avrebbe cavalcato un’asina. E’ interessante a questo riguardo l’interpretazione messianica dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme.

In sostanza il parallelo tra il salvatore definitivo e Mose non è stato posto dai cristiani, ma ricorre comunemente nel mondo rabbinico. Mt tiene conto anche dei dati storici riguardanti il re Erode, pervenuti a noi anche da altre fonti.

Ecco l’impostazione seguita da Mt nell’organizzare la sua presentazione del Cristo (cfr. Mt 2,1-23 con il racconto midrashico “La fanciullezza di Mose “):

1)  da un lato il faraone ha un sogno in cui apprende della nascita di un ebreo che lo spodesterà, dall’altro Erode apprende la notizia dai Magi;

2)  il faraone, la corte e la città sono presi da un gr ande timore, Erode e Gerusalemme sono sbigottiti dalla paura;

3)  il faraone consulta i consiglieri e gli astrologi, Erode raduna i sacerdoti e gli scribi;

4)  ambedue i sovrani decidono di far uccidere tutti i bambini nei quali si potrebbe compiere la profezia;

5)  in ambedue i casi il «salvatore» scampa alla strage, perché un angelo avverte il padre del pericolo imminente.

Da questo insieme ne consegue (come abbiamo già det to in precedenza) che lo scopo primario di Mt è quello di evidenziare la realizzazione dell’attesa del secondo Mosé e quindi di mettere in risalto quei particolari che possono servire a questo scopo.

Il racconto dei Magi è dunque una rielaborazione di una storia di Mose. L’autore che non è un semplice redattore di materiale, né un narratore di episodi,da vero teologo, e di straordinaria portata, facendo uso del midrash haggadico1 intende illustrare i seguenti punti:

1 – Midrash haggatico: interpretazione scritturistica narrativo-attualizzante che si trova anche nel Talmud.

1)   Gesù viene presentato in modo tipologico come colui che è più grande di Mose; è il liberatore escatologico del popolo;

2)   i doni dei Magi dimostrano che egli è re;

3)   Gesù non realizza solo la speranza degli ebrei, ma anche i desideri degli altri popoli.

v. 3 «tutta Gerusalemme»: Qui la città viene personificata, come accade spess o nell’AT. Il significato naturalmente è quello di «tutta la gente» di Gerusalemme. Per un’analoga generalizzazione nel racconto della passione, vedi Mt 27,25 («E tutto il popolo rispose: “Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli”»). In entrambi i casi «tutto» non include ogni singolo individuo in Gerusalemme.

Qui tuttavia sembra rappresentare la classe dirigente della nazione; il suo «spavento», che è allo stesso tempo sorpresa, anticipa quello che sarà il suo att eggiamento di netta ostilità a Cristo (cfr. 21,10).

v. 4 «sommi sacerdoti e scribi del popolo»: Il plurale «i capi» probabilmente si riferisce agli ex sommi sacerdoti e ai membri della famiglia sacerdotale oltre che al sommo sacerdote in carica. Gli scribi erano i più esperti nell’interpretazione delle Scritture, sono i conoscitori per professione delle sacre scritture, incaricati ufficialmente della esposizione di esse al popolo e perciò potevano rispondere alla domanda dei Magi riguardo al luogo di nascita del re dei Giudei. L’accenno a questi gruppi in questo passo può anche essere un’anticipazione di quelli che saranno i nemici di Gesù nel racconto della passione.

«doveva nascere il Cristo»: Notare che le espressioni «re dei Giudei» e «il Cristo/Messia» sono usate intercambiabilmente (cfr Mt 2,2). Il primo titolo era più adatto per i Gentili, il secondo per i Giudei.

v. 5 «per mezzo del profeta»: Alcuni manoscritti al nome del profeta aggiungono Michea o Isaia. In realtà la citazione è una combinazione di Mic 5,1(2) e di 2 Sam 5,2. Del profeta Michea, la profezia nel testo originale suona così: «E tu, Betlemme di Efrata così piccola per essere fra i capoluoghi di Giuda, da te mi uscirà colui che deve essere il dominatore in Israele» (Mic 5,1).

v. 6 «terra di Giuda»: La «citazione» di Mic 5,1(2) compare in una versione modificata: «terra di Giuda» in sostituzione di «terra di Efrata», probabilmente per sottolineare la discendenza del Messia da Giuda, antenato di Davide (vedi Mt 1,1-2);

«non sei davvero più piccolo»: vuole negare l’insignificanza di Betlemme. L’espressione sembra dire il contrario del testo di Michea sopra riportato. Ma, come suggerisce S. Agostino, bisogna badare piuttosto all’intenzione del passo profetico, ed allora il significato risulterà identico: mentre Michea guarda alla «piccolezza» numerica degli abitanti di Betlemme, l’evangelista, invece pensa alla grandezza morale del borgo, che ha la gloria di dare i natali al «Pastore» d’Israele, cioè a colui che sarà la guida vigile e sicura del nuovo popolo di Dio.

«un capo»: rappresenta una variante di una radice ebraica che vuol dire anche «clan»; e l’ultima frase è un po’ sintetizzata. sarà il pastore: Il finale della «citazione» viene da 2 Sam 5,2 («Tu pascerai Israele mio popolo»). E stato modificato solo per farlo concordare con la citazione di Michea («che pascerà»).

v. 7 «il tempo in cui era apparsa la stella»: il tempo chiesto da Erode ai Magi è il Chrònos, non cerca il Kairòs (= il tempo dell’azione di Dio), ma un tempo qualsiasi.

Con la venuta di Gesù le autorità politiche e relig iose rimangono tagliate fuori dalla possibilità di incontrare la gloria manifestata da Dio non perchénon hanno i mezzi per riconoscerla (la citazione di Mic 5,1 è nota agli studiosi), ma semplicemente per una loro libera scelta contro il piano di Dio.

Mt mette così in chiaro il rifiuto dei connazionali, per cui si realizza la profezia di Is 60,3 (cfr. la lett.).

v. 8 «informatevi»: è un’imperativo aoristo positivo che ordina di dare inizio a un’azione nuova; Erode non ha compreso la grande realtà che gli è stata annunciata dai Magi.

«accuratamente»: questo stesso avverbio è impiegato da Luca nel suo prologo (cfr. 1,3).

«fatemelo sapere»: un altro imperativo aoristo positivo che ordina di dare inizio a un’azione nuova.

«perchè venga ad adorarlo»: Matteo 2,12 suppone che Erode si aspettasse che i Magi andassero a Gerusalemme e lo informassero direttamente. Il desiderio espresso da Erode di poter andare a rendere omaggio al bambino è in netto contrasto con le sue reali intenzioni (che saranno rese note in Mt 2,16-18) e con le vere intenzioni dei Magi che vogliono unicamente poter rendere omaggio al neonato re dei Giudei (vedi 2,2.11).

v. 9 «la stella …li precedeva»: Adesso il movimento della stella indica esattamente dove si trova il bambino. Fino a che punto la stella fosse servita da guida ai Magi prima di questo momento non era stato specificato.

v. 10 «una grandissima gioia»: è l’unica nota di gioia in questo evangelo dell’infanzia secondo Mt. L’espressione della gioia dei Magi è descritta in erminit ridondanti (lett: «gioirono di una gioia estremamente grande») per sottolineare il fatto.

La terminologia è quella delle donne al sepolcro (cfr. Mt 28,8).

La gioia dei Magi è per la Stella, già «vista» in Oriente, adesso «vista» sul Bambino. Che è il Bambino!

v. 11 «nella casa»: la casa non contraddice la «grotta» di cui parla la Tradizione, perché nelle case di campagna in Palestina c’era spesso una stanza ricavata nella roccia, che serviva per deposito, per riporre gli attrezzi e ospitare anche animali.

Matteo dà per scontato che Maria e Giuseppe vivano in una casa a Betlemme. Poi procederà a spiegare come da Betlemme si siano trasferiti a Nazaret. Al contrario, Luca 2,1-7 spiega come da Nazaret siano andati a Betlemme. Nella lectio scorsa abbiamo detto come nonostante la tradizione popolare, non sia necessario vedere in Lc 2,7 un riferimento a una grotta o a una stalla. Più probabilmente si tratta della parte della casa privata riservata agli animali, che in una situazione di emergenza poteva anche essere usata come alloggio per gli ospiti. Perciò non è necessario vedere una netta contraddizione tra Matteo e Luca su questo punto. Per entrambi, Maria, Giuseppe e Gesù potevano stare in una casa.

«prostratisi lo adorarono»: (lett. caduti lo adorarono) prostrarsi per baciare i piedi o la terra vicina ai piedi era il gesto con cui gli antichi orientali esprimevano davanti a un superiore venerazione e

sottomissione e, in modo speciale, l’omaggio dovuto al re. Così i Magi fanno appunto quello che erano venuti a fare (cfr 2,2) e quello che Erode fingeva di voler fare (2,8). Per altri esempi di questo atteggiamento nei confronti di Gesù vedi Mt 14,33 e 28,9.17.

«in dono»: nei costumi orientali, l’offerta di doni faceva parte della visita di omaggio.

«oro, incenso e mirra»: erano i doni più apprezzati in Oriente: l’oro di Ofir, l’incenso dell’Arabia e la mirra dell’Etiopia.

Forse non è estraneo alla narrazione evangelica il ricordo della profezia di Isaia riguardante la Gerusalemme messianica (Is 60,5-6 e Sal 71,10).

Il simbolismo che vede nell’oro la regalità del Messia, nell’incenso la sua divinità (o meglio, il sacerdozio) e nella mirra2 la sua umanità (il balsamo dato a Gesù morto; cfr. Gv 19,39), si adatta bene al nostro testo ma non sembra essere nelle intenzioni dell’evangelista.

v. 12 «avvertiti in sogno»: Per i sogni come mezzo di comunicazione divina vedi Mt 1,20; 2,13.19. Ma qui (a differenza dei sogni di Giuseppe) non c’è nessun accenno all’«angelo del Signore».

«fecero ritorno al loro paese»: gli evangeli non dicono nulla circa le vicende dei magi dopo il loro ritorno; scompaiono così dalla scena. Tuttavia, come abbiamo già avuto modo di dire, la leggenda si è impadronita delle loro figure circondandole del fascino del mistero. Secondo tradizioni della Chiesa assira e di quella caldea, essi fecero conoscere in Persia gli avvenimenti ai quali avevano assistito e predicarono la fede in Cristo.

Secondo le stesse tradizioni, costruirono in onore di Maria una chiesa che i Siri identificano con quella ancora esistente nel villaggio di Haq, nella regione di Tur Abdin. Questo edificio di culto, detto «El-Adra», o della vergine, è tuttora officiato; presenta un’architettura particolare, di forma quadrata, ma risalirebbe piuttosto al sec. IV.

LEGGI IL BRANO DEL VANGELO
DELL‘EPIFANIA

Puoi leggere (o vedere) altri commenti al Vangelo di sabato 6 Gennaio 2018 anche qui.

Epifania – Anno B

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Mc 2, 1-12
Dal Vangelo secondo Marco

1Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme 2e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». 3All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. 4Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. 5Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: 6E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele». 7Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella 8e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo». 9Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. 10Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. 11Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. 12Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

Fonte: LaSacraBibbia.net

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