Esegesi e commento al Vangelo di Domenica 3 febbraio 2019 – p. Rinaldo Paganelli

OGGI SI È COMPIUTA QUESTA SCRITTURA

Chiamati a dire il vero

La chiamata di Geremia ad essere profeta delle nazioni, è la vocazione di ogni cristiano. Il profeta non è solo colui che annuncia il futuro, ma chi denuncia il presente, colui che nel presente vede la promessa di Dio e lo trasfigura alla luce della Parola. Geremia racconta la propria vocazione che non corrisponde ad una visione, ma all’ascolto di una parola da parte di Dio: «Io faccio di te una fortezza, un muro di bronzo contro il tuo popolo» (v. 18). Prima di inviare il profeta, il Signore si preoccupa di fargli comprendere che la sua opera non sarà il frutto di una specie di volontarismo, ma che Egli è inviato secondo un progetto d’amore che il Signore custodisce. Inoltre gli garantisce che sarà sempre con lui, e starà dentro la sua vita in un modo speciale: «Io sono con te per salvarti» (v. 19).

Dentro proposte che sorprendono

Proprio l’amore è l’oggetto del Vangelo che è la perfetta realizzazione dell’amore di Dio tra gli uomini, espresso e donato in ogni parola e in ogni opera di Dio. Cristo Gesù nel Vangelo annuncia l’oggi, e l’accettazione del progetto di Dio. Le sue parole di grazia suscitano meraviglia, gli ascoltatori rendono testimonianza a Cristo Gesù, ma poi invece di giungere alla fede, si scandalizzano. Lo sconcerto è il risultato di due attitudini indicate dall’evangelista: «Gli rendevano testimonianza» (v. 22) con la presa d’atto che la predicazione di Gesù è nuova; ed allo stesso tempo «erano meravigliati» (ancora v. 22), perché non potevano spiegarsi come uno di loro, «non è il figlio di Giuseppe?», potesse pronunciare «parole di grazia».

In un incontro con la semplicità

Coloro che lo ascoltano non riescono a sopportare il confronto tra l’attività di Cristo Gesù e le sue condizioni sociali. Non sono disposti ad accogliere lo straordinario in vesti povere. L’identità di Gesù è troppo semplice per sostenere la missione dell’inviato di Dio, concepita tra il popolo in veste trionfalistica. E poi, la mentalità paesana non accetta di buon grado che uno sia diverso dagli altri. C’è un secondo motivo per il rifiuto, i suoi ascoltatori vogliono i miracoli (v. 23). Chiedono lo straordinario nei fatti, anzi, quasi vorrebbero un trattamento di privilegio. La teologia dell’elezione aveva creato la convinzione di una priorità che sconfinava spesso nell’esclusività. Quello che Dio aveva donato con amore gratuito, era finito per essere recepito come un diritto. Non era più Dio a dire «mio popolo», ma era il popolo a dire con senso di possesso «mio Dio».

Per una risposta fiduciosa

Il gesto dei suoi compaesani è il primo atto di una storia di cui già si presagisce la conclusione (v. 29). All’inizio e alla fine di questa storia il popolo conduce Cristo Gesù fuori dalla città, sul rialzo di una collina. La vita pubblica di Cristo Gesù è un costante pellegrinaggio verso il monte del Signore. Il Signore manda i suoi profeti là dove la sua azione è accolta come un dono e non pretesa come un diritto. Per questo anche Cristo Gesù non soddisfa la richiesta dei nazaretani, che esigono dei segni mentre rifiutano la fede (Mt 12,38). Dio è riconosciuto là dove l’uomo è disposto a riscontrarlo, Dio si fa vedere là dove l’uomo ha gli occhi aperti. Dio tace o si nasconde, là dove è messo a tacere o viene ignorato. Nell’azione di Dio è affermata la superiorità della carità. Essa dipende dalla sua connessione con l’essere stesso di Dio: «siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,46-47). Il cristiano impatta con il mondo, vive profondamente immerso nella realtà, è chiamato ad annunciare e vivere una modalità di vita diversa e possibile. Una vita ricca di carismi, ma soprattutto una vita che dovrebbe avere come fondamento la carità. La vera profezia non ha neanche la fede come sigillo, ma la carità, l’amore. È per amore che si denuncia, si sceglie, si crede, si soffre, è per amore che si accoglie la chiamata ad essere profeti; è solo per amore che, come il Maestro, si può donare la vita.

PER IL CONFRONTO NEL GRUPPO

  • Che fare per essere credibili con gli altri?
  • È più importante essere riconosciuti, o dire la verità?

IN FAMIGLIA

Lasciamo ai figli lo spazio per dire in libertà quello che pensano del modo di vivere dei genitori, quali gli aspetti che più apprezzano e quali invece le fatiche che provano nell’accogliere richiami, inviti o sollecitazioni.
Come i figli sentono le parole vere e in che modo le valorizzano.

p. Rinaldo Paganelli

Tratto da: Stare nella domenica alla mensa della Parola, Anno B – ElleDiCi | Fonte

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LEGGI IL BRANO DEL VANGELO

QUARTA SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

Puoi leggere (o vedere) altri commenti al Vangelo di domenica 3 Febbraio 2019 anche qui.

Lc 4, 21-30 Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro». All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino. C: Parola del Signore. A: Lode a Te o Cristo.

Fonte: LaSacraBibbia.net

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