don Marco Pozza – Commento al Vangelo di domenica 7 Febbraio 2021

Pietro, la suocera e la grande tentazione

La sinagoga inizia a stare stretta a Cristo: siamo appena all’inizio! O, forse, è proprio perchè siamo all’inizio – l’inizio della storia madre di tutte le altre storie – che Cristo mette le cose in chiaro: “In sinagoga, in Chiesa, si andrà per fare il rifornimento: poi tutti in strada. Nessuno scambi la navata per un dormitorio!”. Lui dà l’esempio: dopo aver pregato, esce dalla sinagoga per buttarsi in strada. Di più: fa della strada il suo salotto dei ricevimenti. Quelli urgenti, dove la vita fa pressione, infuria, accelera. Per strada Cristo incide, scalpella. Non abbisogna di vedere tutto bello dentro casa. Predilige la sorpresa di una casa quotidiana: dove il letto è sempre da rifare, la sedia ha la gamba rotta da anni, il pigiama è per terra, la carta igienica manca quando servirebbe maggiormente.

Il rubinetto perde, il vetro è sporco, le scatole di marmellata si svuotano (misteriosamente) da sole. Qui, Cristo, mostra d’essere a suo agio: è nel disordine più disordinato che nasce la nostalgia dell’ordine. La sinagoga è a posto, profumata, incensata: la strada è fetida, profuma di odori, incrocia i misteri. Meglio la strada, dunque: «I cattolici sono veramente insopportabili nella loro sicurezza mistica – scrive C. Péguy -. Immaginano che lo stato naturale del cristiano sia la pace, la pace per mezzo dell’intelligenza, la pace nell’intelligenza». Invece? «Propria del mistico è un’inquietudine invincibile». Cristo, a conti fatti, è il più quieto tra gli inquieti.

Fuori, dunque! Subito dentro la febbre della città. Non la febbre del sabato sera, la febbre ch’è malattia, indisposizione, nessuna-voglia di vedere qualcuno. E’ la suocera di Pietro a stare male: appena ne viene a conoscenza, Cristo non avvisa, non si fa precedere, non chiede spiegazioni. Entra in casa, la cerca. Poi la trova, la guarisce: «La fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva». L’avessero avvisata ch’era in arrivo un medico così titolato, la donna forse si sarebbe fatta una doccia, come ho visto nonna lavare il nonno la mattina che veniva il medico a visitarlo. Invece niente: si sarà fatta trovare con il pigiama stropicciato, o forse la sottana infilata alla rinfusa. Spettinata, con l’alito un po’ pesante, scalza e senza occhiali.

Cristo ne approfittò per imbastire la sua lezione quotidiana di catechesi agli amici pescatori: Iddio, quando arriva, non si fa avvertire, non lo precedono i portavoce, se ne infischia del bon ton. Ciò che gli preme forte, ancor prima delle buone maniere, è la salvezza, la guarigione, il lieto annuncio che la febbre, qualsiasi febbre, non potrà nulla contro di Lui. Non chiede prestazioni, non guarda le graduatorie. Entra e tramuta il disordine in un ordine che accende la vita: «Tutta la città era riunita davanti alla porta».

Sui rapporti di Pietro con la suocera, gli evangelisti tacciono. I maligni, son sempre in agguato, vanno dicendo che Pietro rimase in buoni rapporti con Gesù nonostante gli avesse guarito la suocera. Il fatto curioso, invece, è tutt’altro: e gli evangelisti lo colorano. Vedendo quel tripudio di acclamazione fuori casa, Pietro perde la testa: è pur sempre amico di quell’Uomo che tutti acclamano. Sospetta di poterci guadagnare pure lui qualcosina: «Tutti ti cercano!», grida al Maestro sfregandosi le mani. Cristo, piedi a terra, corregge la misura nelle aspettative di Pietro, degli amici suoi: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini». Visto che tutti lo cercano, Cristo rifiuta l’offerta. E va avanti: «Perchè io predichi anche là; per questo infatti sono venuto».

Pietro, pur ambiziosetto, è intelligente. Ha capito e non insiste. È tutto chiaro: troppo facile ritirarsi quando il vento sarà contrario, le uova addosso, le spalle della gente. Il fuoriclasse, invece, si ritira quando sente di farlo, spesso all’apice del successo, della prestanza. Quando ode una voce dire: «Andiamocene altrove» (cfr Mc 1,29-39). Nell’altrove di Dio. Là, senza folla, apparirà chiaro che venire sconfitti non sarà mai la prova più scottante. Quella più grande, la più grande prova, sarà vincere senza poi cedere alla tentazione d’esercitare la persecuzione. La persecuzione d’umiliare, mostrandosi superiori, raccomandati.

Commento a cura di don Marco Pozza
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