Don Luciano Labanca – Commento al Vangelo del 12 Settembre 2021

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L’illusione di insegnare a Dio il suo “mestiere”

La pagina evangelica che ci viene proposta oggi dalla liturgia rappresenta il centro materiale e spirituale del Vangelo secondo Marco. Oltre a collocarsi esattamente a metà dei 16 capitoli che compongono lo scritto marciano, ne rappresenta un punto centrale anche secondo la prospettiva del contenuto. Tutta la narrazione di questo Vangelo, infatti, è costruita attorno alla ricerca del discepolo che viene provocato sulla vera identità di Gesù.

La risposta alla domanda che sorge ogni volta che il Maestro compie segni, guarigioni, esorcismi, è stata sempre finora abilmente evitata dallo stratagemma letterario del segreto messianico. Nel brano di oggi, però, per la prima volta si incontra una sorta di svelamento del vero volto del Figlio dell’uomo. Gesù, in un luogo non casuale, la città di Cesarea di Filippo, dove si ergeva un importante tempio dedicato al dio pagano Pan, desidera che i suoi discepoli si esprimano sulla sua identità. Gesù rivolge la domanda nel luogo in cui era presente un culto pagano e idolatrico.

La nostra condizione attuale di presenza in un mondo così liquido e plurale, fatto di tante idee, costumi e idoli, non è molto diversa da quella dei discepoli di Gesù a Cesarea. Come a loro, il Maestro si rivolge sempre di nuovo anche a noi perchè possiamo prendere posizione nei confronti della sua Persona. Esistono opinioni generiche su di lui, che si costruiscono sul sentito dire e sulle percezioni superficiali: Gesù è un profeta, un uomo buono, uno che ha fatto del bene, un bell’esempio per l’umanità, ma non Dio. Tutto sommato sono risposte accettabili e sottoscrivibili da tutti.

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Quello che l’opinione pubblica pensa su Gesù è in fin dei conti innoquo, perchè lo pone sullo stesso piano di tanti altri personaggi della storia e non richiede un eccessivo coinvolgimento da parte degli interlocutori. Gesù, dopo una consultazione generica, interpella in modo diretto i suoi. Desidera ascoltare la loro versione. A lui non basta il senso comune e l’opinione pubblica, vuole una risposta personale, specialmente da coloro che gli stanno più vicini, i discepoli. Come in numerose pagine del Vangelo, anche qui Pietro prende l’iniziativa e risponde in modo biblicamente e teologicamente impeccabile. Il velo che copre l’identità di Gesù viene per un attimo svelato in modo chiaro: è proprio il Cristo, il Messia atteso, la speranza di Israele.

Si, Pietro ha detto proprio bene, ma Gesù vuole essere sicuro che abbia compreso fino in fondo, per questo invita a non spargere ancora ai quattro venti questa verità. È qui che si inserisce la sua catechesi aperta: prima di vedere l’esito glorioso del Messia, devono prepararsi a vederlo soffrire, essere rifiutato, morire e poi finalmente risorgere. Questo cammino non piace per nulla a Pietro: la via della croce per giungere alla gloria non gli sta bene. Non è accettabile che la speranza di Israele passi attraverso un’umiliazione così. Pietro vorrebbe la strada facile della gloria subito e addirittura finisce per voler insegnare al Figlio di Dio quello che deve fare.

È la stessa idea che sta dietro le parole stolte dei passanti sotto la croce: “tu che distruggi il tempio e lo riedifichi in tre giorni, salva te stesso scendendo dalla croce!” (Mc 15,29-30). La via semplice che svuota di senso la croce è la peggiore delle tentazioni diaboliche, perchè tocca il cuore del piano di salvezza di Dio, privandolo del suo nucleo. Per tale ragione Gesù apostrofa Pietro in modo tanto forte: sta parlando come satana, il maligno! Dalla posizione di sequela, è divenuto ostacolo al progetto di Dio, per questo Gesù gli dice di rimettersi immediatamente dietro di Lui, non di ingombrargli la strada. Pietro, che inizialmente a parole, aveva espresso con esattezza l’identità di Gesù, subito dopo era tornato a pensare in modo umano, terreno.

Al termine del nostro racconto, Gesù si vede costretto a catechizzare ancora una volta i suoi discepoli e la folla: la croce per Lui, per i suoi discepoli, e per l’umanità non è un incidente di percorso, ma rappresenta il luogo della piena rivelazione dell’identità del Figlio e il compimento della sua opera di salvezza. Quando non siamo disposti a seguire le sue orme, specialmente accogliendo le croci piccole o grandi che incontriamo sul nostro cammino di ogni giorno, Gesù invita anche noi sempre di nuovo a rimetterci dietro di Lui, a riprendere la sequela con umiltà e decisione, per imparare da Lui piuttosto che volergli insegnare il mestiere di Dio, prendendone addirittura il posto. Non era stata quella l’illusione dei nostri progenitori nel giardino di Eden?


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