Don Luciano Labanca – Commento al Vangelo del 10 Maggio 2020

Dopo l’annuncio del tradimento, i sentimenti dei discepoli di Gesù nel Cenacolo non dovevano essere molto diversi dallo stato di incertezza, dubbio e angoscia che tanti di noi stanno vivendo in questo tempo di prova per tutta l’umanità. L’invito a mantenere il cuore saldo e libero dal turbamento, che Gesù rivolge ai suoi, risuona di grande consolazione anche per noi. La fede cristiana, come relazione intima e vivente con Dio Padre e con il Figlio, non è semplicemente una fuga dalla realtà, una dimensione narcotizzante o alienante dalla tribolazione quotidiana, ma come atto di resa consapevole, libera e totalizzante ad un Altro, offre all’uomo una possibilità per risollevarsi dal peso della solitudine e dell’oppressione.

Avendo fede, cioè affidandosi a Dio, l’uomo sente che c’è una Persona che lo ama, si prende cura di lui e non gli offre illusioni. La fede cristiana, infatti, si fonda su una promessa concreta, quella di una mèta, di un “posto”, di una “nuova terra promessa”, di quello spazio sacro che il Signore vuole condividere con noi nella casa del Padre per tutta l’eternità. Gesù con la sua morte e risurrezione ci ha aperto questi nuovi orizzonti, svelandoci il suo progetto di tenerci con Lui per sempre. Lui stesso è il Fine della nostra esistenza terrena, orientata alla beatitudine,  ossia a quel godimento totale della sua presenza e del suo amore, che sant’Agostino definisce “frui Deo“, per distinguerlo da tutto ciò che nella prospettiva terrena è “uti”, servirsi delle cose terrene in modo meramente utilitaristico e strumentale (Cfr. Sant’Agostino, La dottrina cristiana, 1.22.20).

Qual è, dunque, la modalità per raggiungere questo compimento della vocazione umana e cristiana? É la parafrasi della domanda di Tommaso, che spesso diventa anche la nostra  domanda: come si fa a raggiungere questa “terra promessa”? Colui che è la Mèta, dunque, sorprendentemente ci dice di essere anche la Via, ossia il mezzo per raggiungerla. Non una via come tutte le altre, ma la Via Vera, quella che ci porta dritti alla Verità, ossia alla rivelazione totale del volto di Dio. Chi vede Gesù, infatti, vede il Padre, perché Lui e il Padre sono una cosa sola. Questa Verità di Dio non accetta alcun compromesso con la falsità, la menzogna, l’ipocrisia e la finzione, ma è solo trasparenza e luce, in cui l’uomo – creato a sua immagine e somiglianza (cfr. Gen 1,26) – può cogliere i tratti originali del progetto originale e della sua figura perfetta. Il tratto caratteristico di questa rivelazione della “nuova terra promessa”, però, è quello di essere Vita che non conosce termine.

La parola greca è zoè, che non indica semplicemente una “vita biologica” (in greco bios), ma si riferisce alla vita divina, quella che Cristo con la sua Pasqua dona a chi crede in Lui, rendendolo partecipe nello Spirito della sua stessa natura divina. Tenendo nel cuore e nella mente i lineamenti di questo progetto grandioso che Gesù ci offre, certamente potremo vincere la paura e il turbamento, sapendo che – come ci ricorda San Paolo – “le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi. La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità – non per suo volere, ma per volere di colui che l’ha sottomessa – e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio” (Rm 8, 18-21).


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