Commento al Vangelo del 20 Dicembre 2020 – P. Osorio Citora Afonso

Davide diventa re di Giuda (Sud), di Israele (Nord) e stabilisce Gerusalemme, strategicamente ben localizzata, come capitale del suo regno. Ben presto si fa costruire un bel palazzo di cedro, legname assai pregiato. Nel frattempo, si rende conto che esiste un notevole divario tra il suo bel palazzo e la casa che custodisce l’arca dell’Alleanza, cioè la casa del Signore, una semplice rustica tenda. Nasce in lui il desiderio di costruire un tempio a Dio e lo comunica al profeta Natan, infatti, gli dice: “Vedi, io abito in una casa di cedro, mentre l’arca di Dio sta sotto i teli di una tenda”.

La tenda adattata alla vita precaria dei nomadi, non gli sembrava più degna in confronto al suo palazzo reale. La tenda è contingente nel momento in cui anche il popolo è nomade, viandante, straniero ed in cammino. Ora che è diventato sedentario, è il momento di costruire un bel tempio. Il progetto di Davide sembra ambizioso: vuole racchiudere Dio entro il perimetro di un tempio costruito da mani di uomini, ha dimenticato che, su questa terra, l’uomo è un pellegrino, dunque sempre in viaggio, in cammino. Egli concepisce il progetto di costruzione di una casa di pietra, di mattoni e di ornamenti preziosi puramente umani; vuole forse fissare Dio nel luogo da lui scelto e con criteri da lui stabiliti. Davide vuole dare stabilità al Signore.

Dio però, avendo saputo di tale gigantesco progetto, appare contrario alla sua realizzazione: non è Davide che deve costruire una casa al Signore, ma, al contrario, è Dio che gli costruirà una casa… costruirà una casa a lui e alla sua discendenza. Infatti, così dice Natan, inviato da Dio, a Davide: “Il Signore ti annuncia che farà a te una casa”. Davide vuole esibire la sua bontà e generosità, il suo protagonismo, la sua iniziativa, vuole invertire i ruoli. L’autore sacro gioca con il doppio significato della parola ebraica “bait” (בית), cioè “casa” che può essere usata per definire la casa di pietra (“tempio”) oppure la casa reale (“famiglia”, “dinastia”). Dio afferma che Dio è il fondatore di una dinastia nuova, una casa eterna, non fatta dagli uomini. Da tale nuova dinastia sorgerà il Messia. Infatti, il Signore dice: “io susciterò un tuo discendente dopo di te, uscito dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno. Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio”.

Dio è il fondamento della nuova casa, della nuova famiglia, della nuova dinastia del Messia, di colui che si chiamerà Emmanuel, cioè “Dio in mezzo a noi”; Dio che cammina con il Suo popolo, che si manifesta nella sua quotidianità. Ecco perché Dio non vuole essere rinchiuso in un luogo, lontano dal popolo, Dio vuole continuare a vivere nella tenda, Dio abita nella tenda. Nella simbologia biblica, la tenda è la casa della steppa dove abita il pastore che, costretto a spostarsi per pascolare il gregge, porta con sé una casa mobile. Per nomadi e viandanti, la tenda è il luogo dell’accoglienza e dell’incontro, è il luogo di rifugio dei pastori nomadi; essa simbolizza la presenza di Dio nella storia del popolo, un Dio che cammina con il suo popolo. Il Signore disse a Mosè: “Gli Israeliti mi consacreranno un luogo particolare, così io abiterò in mezzo a loro. Farete la tenda e gli oggetti di culto uguali al modello che io ti mostrerò”” (Es 25, 1,8-9).

Il Messia tanto atteso, anche nei nostri giorni, è uno che vuole essere compartecipe della storia, è un Dio per e in mezzo ai nomadi, un Dio che va anche nelle periferie. Si è fatto uno di noi ed abita in mezzo a noi: cammina con noi. Dobbiamo riscoprire le sue priorità, non le nostre. Abbandoniamo il nostro progetto di costruire una casa umana terrena, progettata con criteri puramente umani, e predisponiamoci, come Maria, al nuovo progetto di Dio: costruire la sua casa in mezzo a noi, per fare un cammino con noi. Una casa che si appoggia sul progetto di Dio e sulla sua Alleanza dove lui è Padre e noi siamo figli e il Messia è nostro fratello. Dio abita dove c’è la vita.

“Rallegrati Maria, sarai la casa di Dio”

L’Evangelista Luca, con la sua conoscenza delle profezie riguardo alla venuta del Messia, discendente dalla stirpe del re Davide, nella narrazione dell’annunciazione, riesce a fare un collegamento tra Gesù e la nobile stirpe del re Davide. Nel libro di Samuele, abbiamo visto che Dio rivelò al suo servo Davide ciò che doveva avvenire alla sua discendenza: “io susciterò un tuo discendente dopo di te, uscito dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno”. Dio preparò una casa al successore di Davide. Infatti, mandato da Dio, il profeta Natan aveva detto a Davide: “Il Signore ti annuncia che farà a te una casa”. Non era Davide a costruire una casa al Signore ma al contrario, Dio doveva costruirla. Anzi, Davide non si riferiva ad una casa di pietra, come abbiamo già notato e nemmeno a suo figlio carnale (Salomone), bensì a Gesù Cristo, nato appunto dalla sua discendenza. Infatti Gesù è anche chiamato Figlio di Davide. Ecco perché Luca inizia dicendo che l’angelo Gabriele fu mandato da Dio ad una vergine promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. Dio aveva promesso a Davidequesta casa, questa dinastia o famiglia: Dio realizza sempre le sue promesse ed Egli è sempre con il suo popolo.

Con quest’introduzione narrativa, Luca crea i contorni precisi che aiutano a inserire Gesù nel tessuto comunitario della storia di un popolo e nel contesto della realizzazione delle promesse che Dio fa a Davide. Gesù, Dio salva, l’Emanuele, cioè Dio in mezzo a noi, è la piena realizzazione della promessa divina. È la nuova casa di salvezza per il popolo eletto. La “promessa” di Dio a Davide si è realizzata in Gesù di Nazaret. Si realizza tramite la collaborazione di una giovane donna che, nella tranquilla quotidianità, sogna il suo futuro, ha i suoi bei progetti, ma, come fece con Davide, il Signore, attraverso l’angelo Gabriele, irrompe, con la sua grandezza disarmante, rimescola le carte, fa cambiare prospettiva e apre nuovi orizzonti.

D’ora in poi Maria sarà la madre del Salvatore. La proposta di Dio a Maria è concreta: essere la madre di un figlio, quel Messia che Israele stava aspettando, quella liberazione che Dio offriva per dare la vita e la salvezza. Infatti, questo figlio si sarebbe chiamato Gesù che significa “Dio salva”. Il suo nome è già un progetto: la salvezza del suo popolo. Questo suo figlio ha altre prerogative: è “figlio dell’Altissimo” e siederà sul trono di David per sempre. Maria, con il suo sì, diventa il Tempio di Dio. L’angelo aveva già detto che Maria doveva rallegrarsi, non tanto per la risposta che avrebbe dato ma, per l’iniziativa di Dio che l’ha pensata e scelta, perché ella è una donna raggiunta dalla grazia del Signore, “piena di grazia”; non ha altre prerogative, altre capacità o possibilità, né titoli o meriti. Anzi, tutto, in lei, è nel segno della precarietà e dell’impotenza: è una donna, di un paesino sconosciuto e periferico e non è ancora nemmeno sposata, ma in lei, nella sua vita è presente Dio “il Signore è con te”. Ecco perché non deve temere. Quando nella Bibbia Dio dice a qualcuno “io sono con te” gli sta consegnando un futuro bellissimo e arduo (R. Virgili). Lo convoca a diventare partner della storia più grande (Ermes Ronchi).

Nonostante la sua precarietà e l’impotenza, Maria desiste dal suo sogno e si abbandona al progetto di Dio, accetta il sogno di Dio, facendosi serva: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola”. È impressionante l’atteggiamento di Maria: ella non ha tante parole, ascolta ben volentieri il suo interlocutore: il suo è un ascolto umile e semplice della parola, ma il suo ascolto diventa ubbidienza di fede e di vita: “eccomi”. Ha l’atteggiamento di chi sa affidare i propri piani a Dio per un altro progetto molto più grande: la salvezza dell’umanità. Il suo eccomi è un sapersi mettere al servizio del Signore: infatti, ella disse: “eccomi la serva, la schiava del Signore.”

Preghiere del discepolo missionario: “Maria, il tuo Sì al progetto di salvezza di Dio per l’umanità, non è stato un salto nel buio. Rassicurata che l’incarnazione di Gesù in te è per opera dello Spirito Santo, ti sei fidata pienamente, hai creduto che l’impossibile è possibile a Dio e con coraggio, pur conoscendo i rischi di una tale missione, hai aderito subito e liberamente. Ti sei lasciata interpellare da Dio, hai lasciato che disturbasse la tua quiete e le tue sicurezze: in un momento Gli hai donato la possibilità di sconvolgere i tuoi piani, la tua vita e, in questo modo, hai riavvicinato noi tutti al Cielo”.


Per gentile concessione del sito consolata.org

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