Commento al Vangelo del 19 Maggio 2019 – Don Luciano Condina – Gv 13, 31a-33- 34-35

Impariamo ad amare come Cristo

«Amatevi come io vi ho amato e da questo tutti sapranno che sarete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,34-35). Gesù dona il comandamento nuovo. È “mai udito” per essere nuovo? Effettivamente in tale forma lo era, ed è nuovo perché fa parte dell’uomo nuovo.

Questo è proprio lo scopo della vita cristiana. L’unica cosa che veramente verifica e rende autentica la vita è l’amore fraterno; il resto può esserci o no, e può essere secondario. Il problema è come arrivare a questo amore, come renderlo una realtà operativa, vissuta, e non solo un discorso su valori astratti che ci lasciano come siamo. Il vangelo di questa domenica, per quanto breve, conosce tutto il mistero dell’evoluzione che giunge al comandamento nuovo: c’è qualcosa che interviene rispetto al vecchio. Notiamo subito che Gesù dà questo comando ai discepoli durante l’ultima cena, in un momento preciso: subito dopo che Giuda esce dal cenacolo. Dice il Signore: «Ora il figlio dell’uomo è stato glorificato» (Gv 13,31). Quindi, per arrivare a ricevere e a vivere l’amore di Cristo, bisogna passare per alcune tappe: per vivere l’esperienza della gloria di Dio, bisogna conoscere la gloria di Cristo. Il termine ebraico kabod (“gloria”) indica il peso, la verità, il mistero, la sostanza di una cosa. Gesù mostra la sua gloria proprio nel momento in cui Giuda sta per tradirlo. Significa che per arrivare all’amore di Cristo bisogna passare per questa esperienza, ed è curioso che si conosca la sua gloria attraverso l’esperienza drammatica del tradimento.

«Prima della fine non chiamare nessuno beato; un uomo si conosce veramente alla fine», si legge nel Siracide (11,28).
Per scoprire la verità di un uomo bisogna un po’ spremerlo, bisogna metterlo sotto pressione; e Cristo, messo sotto la pressione del tradimento, del male dell’uomo, produce il suo succo migliore. La gloria da conoscere è la sua risposta ai nostri peccati e ai nostri tradimenti. Dio è glorificato in Cristo, e noi conosciamo Dio veramente solo quando, finalmente, conosciamo la sua risposta misericordiosa al nostro male. Solo a questo punto possiamo capire in pienezza il comandamento nuovo. «Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri»: Cristo parla della gloria appena apparsa attraverso il male, che ha catturato il cuore di Giuda, ma permette a Gesù di manifestare la sua mansuetudine e, sulla base di essa, di poter amare.

La forza per amare consegue all’aver percepito il nostro male e la risposta di Dio ad esso, ossia l’amore e la misericordia perfetta. Non sono i buoni che sanno amare, sono i cattivi; perché i buoni si sentono tali e fanno le cose a misura di quello che credono di saper fare. I cattivi perdonati, invece, sono in grado di amare perché hanno conosciuto il loro limite, come gli apostoli dopo l’ultima cena. Dobbiamo cominciare a scendere dal nostro piedistallo, dalle nostre convinzioni su noi stessi per scoprire continuamente come Cristo ci ha amati. Da quel momento in poi c’è un dolce debito nel nostro cuore, perché è impagabile essere stati trattati amorevolmente come non meritiamo. Il cristiano è un superbo “smontato”, un saccente umiliato, è una persona ridimensionata, amata nel proprio male. Ed è per questo che i cristiani si accolgono gli uni gli altri e si servono gli uni gli altri, perché sono stati serviti gratuitamente, senza avere alcun merito. Possiamo amare solo se abbiamo finalmente capito l’amore che ha Dio in Gesù Cristo per tutti noi. Questo ci fa cristiani; e se non amiamo il prossimo, se non siamo capaci di servizio e di accoglienza reciproca è perché, alla radice, ci sentiamo buoni.

Per fare un santo ci vuole un peccatore perdonato.

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