Commento al Vangelo del 1 Luglio 2018 – p. Raniero Cantalamessa

Talità kum, fanciulla alzati!

Le letture di oggi ci invitano a riflettere su un tema austero, ma salutare, la morte. Nella prima lettura ascoltiamo questa solenne dichiarazione:

“Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi. Egli infatti ha creato tutto per l’esistenza; le creature del mondo sono sane, in esse non c’è veleno di morte, né gli inferi regnano sulla terra… Sì, Dio ha creato l’uomo per l’immortalità; lo fece a immagine della propria natura. Ma la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo”.

Queste parole ci dànno la chiave per capire perché la morte suscita in noi tanta repulsione. Il motivo è che essa non ci è “naturale”; così come la sperimentiamo nel presente ordine delle cose, è qualcosa di estraneo alla nostra natura, frutto della “invidia del diavolo”; per questo lottiamo contro di essa con tutte le forze. Questo nostro insopprimibile rifiuto della morte è la prova migliore che noi non siamo fatti per essa, che non sarà essa ad avere l’ultima parola.

Nel brano evangelico troviamo una conferma pratica dell’ affermazione che Dio non vuole la morte e che il nostro destino finale sarà “l’immortalità”. Si tratta della risurrezione della figlia di Giairo, uno dei racconti più toccanti del Vangelo e un esempio di ciò che in letteratura si chiama “il sublime”. È costituito da scene che si svolgono in rapida successione, in luoghi diversi.

C’è anzitutto la scena sulle rive del lago. Gesù è attorniato da molta folla, quando un uomo visibilmente angosciato si fa largo, si getta ai suoi piedi e gli rivolge una supplica: “La mia figlioletta è agli estremi; vieni a imporle le mani perché sia guarita e viva”. Gesù lascia a metà il suo discorso e si avvia con l’uomo verso casa, seguito dalla folla che non vuole rinunciare alla presenza del Maestro e spera forse di assistere a un miracolo.

La seconda scena è lungo la strada. Una donna che soffriva di emorragia si avvicina di nascosto a Gesù per toccargli il mantello, e si ritrova guarita. Mentre Gesù stava parlando con lei, dalla casa di Giairo vennero a dirgli: “Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?”. Gesù che ha udito tutto, dice al capo della sinagoga: “Non temere, continua solo ad aver fede!”. Questo è quasi un ritornello sulla bocca di Gesù. Anche alla donna appena guarita dall’emorragia aveva detto: “La tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal suo male”.

Ed eccoci alla scena cruciale, nella casa di Giairo. Grande trambusto, gente che piange e urla, come è comprensibile di fronte al decesso appena avvenuto di un adolescente. “Entrato, dice loro: Perché fate tanto strepito e piangete? La bambina non è morta, ma dorme. Quindi, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della fanciulla e quelli che erano con lui, ed entrò dove era la bambina. Presa la mano della bambina, le disse: Talità kum, che significa: “Fanciulla, io ti dico, alzati!” Subito la fanciulla si alzò e si mise a camminare; aveva dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. Gesù raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e ordinò di darle da mangiare.

Qui si manifesta il carattere “sublime” del racconto: cose straordinarie, sovrumane, raccontate con parole semplicissime e ordinarie, in modo che a parlare siano i fatti più che le parole. Quell’invito di dare subito qualcosa da mangiare alla bambina aggiunge un tocco di commovente umanità al gesto di Cristo. Si dice in teologia che “i sacramenti sono per gli uomini”; lo stesso dobbiamo dire dei miracoli di Cristo: essi sono per gli uomini, non per se stesso, per dimostrare i propri poteri. Questo è, anche oggi, uno dei primi criteri per distinguere quando si tratta di veri miracoli che vengono da Dio e quando si tratta di magia o di esibizionismo. Padre Pio non faceva mai miracoli per se stesso, o per dimostrare che era un santo; li faceva, o meglio li otteneva da Dio, solo per alleviare la sofferenza della gente.

Ora però io mi metto nei panni di un papà e di una mamma che hanno avuto, o hanno in questo momento, una figlioletta o un figlioletto “agli estremi”, e ascoltano questo racconto evangelico. Cosa devono pensare? “E noi? E tutti quelli che non hanno sentito pronunciare accanto al letto del proprio figlio il Talità kum, fanciullo, alzati!? Il Vangelo è dunque ‘buona notizia’ per alcuni pochi fortunati, non per tutti?”

Lontano da me il pensiero di cavarmela con argomenti a buon mercato. La domanda è seria, come è serio il dolore e l’angoscia da cui proviene, e chi annuncia il Vangelo deve rispettarlo e immedesimarsi in questo dolore. A volte Gesù stesso, prima di operare il miracolo (e forse prima ancora di sapere che ci sarebbe stato un miracolo), piangeva con chi era nel lutto. Pianse dinanzi alla vedova di Nain che aveva perso l’unico figlio e pianse con Marta e Maria che avevano perso il fratello Lazzaro. Ci ricorda così la parola ascoltata sopra: “Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi”. Dio soffre con noi, non si limita a guardare da lontano noi che soffriamo.
La vera chiave per dare una risposta alle domande formulate sopra, l’unica parola che può gettare un po’ di luce nel buio di quel dolore, è proprio la parola “fede”. Quando Gesù raccomanda alle persone che si rivolgono a lui la fede, non intende solo la fede che egli può operare il miracolo richiesto, ma fede nella sua persona. Fede che – ci sarà o meno il miracolo atteso-, non si sarà mai delusi sull’essenziale. Il Vangelo distingue nettamente due tipi di fede: credere qualcosa e credere “in” qualcuno. Quando si tratta di Dio, la seconda è molto più importante della prima.
Il dialogo di Gesù con la sorella di Lazzaro si presta bene a illustrare quanto sto dicendo. Marta dice a Gesù: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio, egli te la concederà”. Tanti genitori o congiunti di persone malate, pregando, dicono a Gesù la stessa cosa: “Signore, se fossi stato qui, o se noi fossimo vissuti in Palestina, ai tuoi tempi, anche noi, come Giairo, saremmo corsi da te…Ma anche adesso sappiamo che se volessi potresti fare un miracolo…”

Gesù risponde a Marta: “Tuo fratello risusciterà”. Marta però non si accontenta di questa promessa per lei ancora troppo remota. “So che risusciterà nell’ultimo giorno”, replica, ma questo non mi basta; vorrei che fosse adesso. Ed ecco la parola definitiva di Cristo a Marta e a tutti noi: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno. Credi tu questo?”. Il miracolo più grande è credere “in” lui. Dopo questo, tutto diventa possibile. Di fronte ad esso la risurrezione di Lazzaro e i pochi anni in più che vivrà prima di morire ancora, sono poca cosa. L’esperienza di molte persone dimostra che anche quando non avviene il miracolo atteso, qualcosa può succedere, grazie alla fede, che da un senso nuovo alla vita.

Ma ora devo fare un’altra osservazione sul brano evangelico. Ho detto altre volte che non c’è solo la morte del corpo, c’è anche la morte del cuore e dell’anima. La morte dell’anima è quando si vive nel peccato; la morte del cuore è quando si vive nell’angoscia, nello scoraggiamento o in una tristezza cronica. Le parole di Gesù: Talità kum, fanciulla, alzati! non sono dunque rivolte solo a ragazzi e ragazze morte, ma anche a ragazzi e ragazze viventi. Quando è triste vedere dei giovani…tristi. E ce ne sono tantissimi intorno a noi. La tristezza, il pessimismo, la non-voglia di vivere sono sempre cose brutte, ma quando li si vede o li si sente esprimere da ragazzi ancora di più stringono il cuore.

Ci sono adolescenti, che hanno apparentemente tutto, computer e moto compresi. Ma se si cerca di esortarli alla speranza e alla gioia, rispondono (e il loro volto mostra che non si tratta di una posa): “Mi sai dire un motivo, uno solo, per il quale dovrei essere felice?”. Si vorrebbe rispondere: “Perché sei giovane, perché Dio ti ama, perché i tuoi genitori ti amano…”, ma ci si rende conto che non serve e ci si limita a guardarli con pietà e tenerezza. A volte viene da gridare tra sé in questi casi: “Mondo perfido e cinico, che uccidi così la gioia di vivere di questi ragazzi! Prometti loro mari e monti e li lasci con la bocca (e il cuore) asciutti” .

L’invito ad avere fede è rivolto però anche a chi spiega il Vangelo agli altri. Perciò, con la fede nella potenza misteriosa delle parole di Cristo, non dobbiamo aver paura di gridare ai tanti ragazzi di oggi morti nel cuore: Talità kum! Su, ragazzo, su ragazza, alzati, scuotiti, “spogliati della tua tristezza”; smetti di crogiolarti nel tuo sterile pessimismo, vai verso gli altri e gli altri verranno verso di te!

Gesù ordinò di dare da mangiare alla fanciulla risuscitata e anche a noi ordina ora di dare da mangiare, anzi da lui stesso da mangiare. “Prendete, mangiate: questo è il mio corpo”, sentiremo dire fra poco riprendendo la nostra celebrazione

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XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno B

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Mc 5, 21-432
Dal Vangelo secondo Marco

21Essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. 22E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi 23e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». 24Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.
25Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni 26e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, 27udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. 28Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». 29E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male.
30E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». 31I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?”». 32Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. 33E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. 34Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male».
35Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». 36Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». 37E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. 38Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. 39Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». 40E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. 41Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». 42E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. 43E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

  • 17 – 23 Giugno 2018
  • Tempo Ordinario XI
  • Colore Verde
  • Lezionario: Ciclo B
  • Anno: II
  • Salterio: sett. 3

Fonte: LaSacraBibbia.net

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