Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 30 Agosto 2021

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Siamo al capitolo 4 di Luca. Due mi sembrano le frasi attorno alle quali si sviluppa il nostro testo, l’affermazione: “Lo Spirito del Signore è sopra di me” e la domanda: “Non è costui il figlio di Giuseppe?”.

Il tema dello Spirito e della figliolanza di Gesù strutturano anche il racconto del battesimo e delle tentazioni che segnano l’inizio del ministero pubblico di Gesù. Al capitolo 3,21-22 Luca dice: “Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo … e venne una voce dal cielo: ‘Tu sei il Figlio mio, l’amato’”. L’evangelista fa seguire la genealogia di Gesù, partendo da Giuseppe per risalire fino a Dio: “Era figlio, come si riteneva, di Giuseppe, figlio di ….figlio di Adamo, figlio di Dio”. Subito dopo “Gesù, pieno di Spirito Santo, … era guidato dallo Spirito nel deserto” (4,1). Lì il diavolo lo tenta tre volte. La prima e l’ultima tentazione (per estensione si potrebbe dire: tutte le tentazioni) sono introdotte dalla premessa provocatoria del demonio: “Se tu sei Figlio di Dio …”. Dopo le tentazioni “Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito” (4,14). 

Sottolinea Origene: “Dopo che ebbe combattuto e superato le tre tentazioni, osservate che cosa è scritto dello Spirito. Il passo dice: Gesù tornò nella potenza dello Spirito; è stata aggiunta la parola potenza, perché egli aveva calpestato il dragone e vinto il tentatore in uno scontro a viso aperto”. 

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Qui si inserisce il nostro brano. Gesù legge la profezia di Isaia – “Lo Spirito del Signore è sopra di me” – e la comprende come riferita a sé e realizzata in quello stesso oggi. E subito sorge una questione sulla sua origine, che ha sapore di tentazione, e che sfocia nella reazione violenta e omicida dei concittadini di Gesù. Come può Gesù dirsi inviato del Signore, consacrato su cui riposa lo Spirito, senza che questa pretesa messianica risulti una pretesa arrogante? Senza che cada nella sfera del potere sulle cose (di’ a questa pietra che diventi pane) o sulle creature della terra e del cielo (i regni della terra, gli angeli)?

Gesù sa che lo Spirito del Signore è su di lui perché questo il Padre gli ha fatto conoscere interiormente nella lettura delle Scritture e nella preghiera, e sa che il mandato affidatogli è la proclamazione di un tempo di grazia, di misericordia e di liberazione da parte del Signore. La potenza che gli è data corre il pericolo di essere letta come potere mondano, possibilità di arbitrio sulle cose e le persone su cui si riflette l’ingordigia di chi non vede che se stesso. Ma Gesù sa che è un dono concessogli che ha come fine il portare liberazione agli altri, consolazione ai miseri, luce e gioia a chi è nella sofferenza.

 Gesù intravvede e accoglie la croce già nelle parole: “Tu sei il Figlio mio, l’amato” e nel ricevere lo Spirito su di lui. Così ha compreso le parole della Scrittura che gli hanno confermato l’identità di Figlio e il compito di una lotta contro il male e la morte: “Mi ha mandato …a proclamare ai prigionieri la liberazione”. In Gesù non c’è arroganza, non c’è pretesa. Sa che, come i profeti, va incontro all’incomprensione, al rifiuto e pure all’impossibilità di compiere le opere di Dio tra chi ha il cuore indurito e oppone domande di tentazione e sfida. Lo portano su un precipizio, annuncio della morte che sarà decretata per lui. Gesù non si sottrae, attraversa l’ostilità e la condanna, continua a percorrere la sua via: qui ricorre lo stesso verbo usato per dire il camminare su vie di rettitudine, giustizia e fedeltà.

Gesù ricorda le Scritture ed è sostenuto dalla promessa di Dio, che è vittoria sulla morte. Nella profezia di Isaia, pochi versetti dopo quelli citati, il Signore afferma: “Perché io sono il Signore che amo il diritto e odio la rapina e l’ingiustizia: io darò loro (agli afflitti di Sion) fedelmente il salario” (Is 61,8).

sorella Raffaela


Fonte

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