Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 20 Novembre 2019

Gesù e i suoi discepoli sono sulla strada verso Gerusalemme e la parabola di oggi ci fa percepire il clima di quanto succederà a Gesù nella città santa. Sullo sfondo del racconto, oltre ai servi più o meno fedeli al loro padrone, appaiono anche i cittadini che odiano quest’uomo e non vogliono che diventi loro re. Nonostante questa ostilità l’uomo nobile parte in modo risoluto, affidando ai propri servi un compito ben preciso: far fruttare quanto ha consegnato loro.

Egli ha dato a ciascuno la stessa quantità di denaro e di tempo per farne qualcosa. L’attesa è indefinita per tutti: si parla di un ritorno, dunque c’è un impegno da parte del futuro re, ma in un lasso di tempo indefinito. Anche questo tempo è consegnato ai servi, sta a loro viverlo e gestirlo in modo responsabile affinché porti frutto. L’azione dei servi però non è proiettata solo verso il futuro, su come vivranno e intraprenderanno questo periodo, ma è radicata anche in un passato: nel tempo che hanno vissuto con il loro padrone e soprattutto nella conoscenza che hanno di lui. È a partire da una tale assiduità con lui che dipenderà il loro frutto. 

Sembra che i primi servi abbiano fatto proprie le parole del padrone su un’attesa che deve essere vissuta attivamente e soprattutto con vigilanza. La loro attesa è anche vissuta con una fiducia verso il padrone che tornerà, il loro lavoro è spinto soprattutto da questo. Essi leggono nel ritorno del Signore un’occasione, perché quanto hanno conosciuto di lui permette loro di avere fede. Essi riescono, ciascuno a suo modo e secondo le proprie capacità, a mettere a frutto non solo la moneta d’oro, ma soprattutto la fiducia che il padrone stesso aveva dato loro al momento della sua partenza. Il distacco del padrone lo leggono come un tempo per mettere a frutto quanto lui stesso aveva insegnato loro, e soprattutto un tempo per avere fiducia anche nelle proprie capacità, esplicitate dall’azione del padrone che ha affidato loro un compito.

Diverso è l’atteggiamento dell’ultimo servo. Anch’egli ha ricevuto la moneta d’oro, anch’egli vivrà lo stesso tempo di attesa, probabilmente anch’egli ha vissuto accanto al padrone come gli altri servi. Ma quello che lo distingue dagli altri è che non si è lasciato interpellare dal dono ricevuto, non lo ha letto come gesto di fiducia e di collaborazione con il padrone, ma lo ha soffocato con uno sguardo ristretto che traduce la paura che lo abita. Tale paura ha determinato ogni sua azione: non ha neanche pensato di mettere la moneta in banca, ma l’ha nascosta in un pezzo di stoffa. La paura ha anche rinchiuso il suo pensiero nel già noto: è più facile pensare a un padrone cattivo e ingiusto che a uno che coniuga giustizia e misericordia.

Purtroppo la paura non è neutrale rispetto alle nostre azioni, e spesso il non agire o l’agire per paura è più dannoso per noi e per gli altri. Questo ci dice la fine della parabola dove le parole del padrone sembrano tradire quell’immagine di uomo giusto che era trapelata dal brano. Forse quel dare a chi ha e togliere a chi non ha può essere letto come un dare a chi agisce con fiducia e un togliere a chi agisce o non agisce per paura. Non è una questione di aumentare la ricchezza dell’uno e diminuire quella dell’altro, ma di sottolineare che chi agisce e agisce nella fiducia – e non si fa paralizzare dalla paura – si è già spogliato del di più per poter ricevere l’essenziale dal Signore della Vita.

sorella Beatrice

Fonte

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LEGGI IL BRANO DEL VANGELO DI OGGI

Perché non hai consegnato il mio denaro a una banca?

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 19, 11-28
 
In quel tempo, Gesù disse una parabola, perché era vicino a Gerusalemme ed essi pensavano che il regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all’altro.
 
Disse dunque: «Un uomo di nobile famiglia partì per un paese lontano, per ricevere il titolo di re e poi ritornare. Chiamati dieci dei suoi servi, consegnò loro dieci monete d’oro, dicendo: “Fatele fruttare fino al mio ritorno”. Ma i suoi cittadini lo odiavano e mandarono dietro di lui una delegazione a dire: “Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi”. Dopo aver ricevuto il titolo di re, egli ritornò e fece chiamare quei servi a cui aveva consegnato il denaro, per sapere quanto ciascuno avesse guadagnato.
 
Si presentò il primo e disse: “Signore, la tua moneta d’oro ne ha fruttate dieci”. Gli disse: “Bene, servo buono! Poiché ti sei mostrato fedele nel poco, ricevi il potere sopra dieci città”.
 
Poi si presentò il secondo e disse: “Signore, la tua moneta d’oro ne ha fruttate cinque”. Anche a questo disse: “Tu pure sarai a capo di cinque città”.
 
Venne poi anche un altro e disse: “Signore, ecco la tua moneta d’oro, che ho tenuto nascosta in un fazzoletto; avevo paura di te, che sei un uomo severo: prendi quello che non hai messo in deposito e mieti quello che non hai seminato”. Gli rispose: “Dalle tue stesse parole ti giudico, servo malvagio! Sapevi che sono un uomo severo, che prendo quello che non ho messo in deposito e mieto quello che non ho seminato: perché allora non hai consegnato il mio denaro a una banca? Al mio ritorno l’avrei riscosso con gli interessi”. Disse poi ai presenti: “Toglietegli la moneta d’oro e datela a colui che ne ha dieci”. Gli risposero: “Signore, ne ha già dieci!”. “Io vi dico: A chi ha, sarà dato; invece a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha. E quei miei nemici, che non volevano che io diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli davanti a me”».
 
Dette queste cose, Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme.

Parola del Signore

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