Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 14 Maggio 2020

Amore, gioia piena, amicizia, predilezione, portare frutto, ecco la promessa, il tesoro che dà senso alla vita e che nasce sempre da un incontro tra due persone e con il Signore.

Senza amore non possiamo assaporare la vita e veder crescere in essa la gioia piena. Senza amore non possiamo intessere legami di amicizia sinceri, profondi e duraturi, non possiamo renderci conto e rendere grazie dell’essere stati scelti perché amati per tracciare un cammino con e per gli altri, davanti e accanto. Senza amore non possiamo credere che questo frutto accolto rimanga e porti nutrimento.

Potremmo riassumere così la vicenda di Mattia apostolo, scelto dalla nuova comunità cristiana che stava muovendo i primi passi. Alla luce del Signore Risorto, nell’ascolto del comandamento dell’amore trasmessogli dal Padre, vissuto in pienezza e affidato anche a noi, a ciascuno personalmente, possiamo vivere quella gioia piena di eletti, “santi per vocazione”.

Mattia è l’apostolo scelto dalla comunità dei discepoli, scelto tra coloro che avevano vissuto l’intimità con il Signore Gesù, scelto come testimone della Resurrezione assieme agli altri. Pietro specifica che deve essere tra “coloro che sono stati con noi per tutto il tempo nel quale il Signore Gesù ha vissuto fra noi” (At 1,21) e che divenga “testimone, insieme a noi, della sua resurrezione” (At 1,22). L’elezione cade sempre su quanti si sentono toccare il cuore dall’incontro con la vita di Gesù e si fanno testimoni del suo essere presente in mezzo agli uomini e alle donne, qui e ora, testimonianza che dura per l’intera esistenza attraversando dubbi, contraddizioni, infedeltà. 

Mattia viene scelto per prendere il posto di Giuda, ma l’estrarre a sorte di cui si parla al v. 26 non è un “testa o croce”. In realtà l’elezione a cristiani vivi nasce sempre da un discernimento libero, da una scelta tra coloro che hanno saputo vivere l’amicizia con Gesù. Ancora, Mattia è scelto “tra coloro”, e non tra persone qualunque, per prendere il posto di Giuda in questo “ministero da lui abbandonato”. Colpisce che Pietro lo sottolinei: Giuda ha abbandonato il suo incarico e ministero per il quale era stato scelto. Questa libertà del discepolo di abbandonare il cammino è comunque reale. Ma Gesù invita a rimanere, a rimanere nel suo amore, ancorati alla sua Vita, buona notizia, come il tralcio rimane nella vite affinché porti frutto e il frutto rimanga (cf. Gv 15,4).

La chiamata all’essere testimone di Cristo è una chiamata alla vita. E ogni chiamata crea comunione, comunità. Mai come in questo tempo di pandemia ci si rende conto di quanto essa sia importante e di come si possa nell’incertezza, nella precarietà, fare comunione di corpi, seppur distanti, mettere in comunione la Parola e l’amore donato del Signore.

“Perché il cristiano ha bisogno di altri cristiani che dicano a lui la Parola di Dio, ne ha bisogno ogni volta che si trova incerto o scoraggiato. Un cristiano si avvicina all’altro per mezzo di Gesù. Senza Cristo non potremmo conoscere il Padre. E senza Cristo non potremmo conoscere il fratello e accostarci a lui. Cristo ha aperto la strada a Dio e ai fratelli. Ora i cristiani possono amarsi e servirsi reciprocamente, possono diventare una cosa sola ma sempre e solo per mezzo di Cristo” (D. Bonhoeffer, Vita comune).

Questo il cammino segnato dall’amore, questa la promessa della comunità cristiana ieri e oggi.

sorella Francesca

Fonte

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