don Antonello Iapicca – Commento al Vangelo del 6 Maggio 2019 – Gv 6, 22-29

CERCARE GESU’ NELLA CROCE DI OGNI GIORNO PER GUSTARE LA VITA CHE NON SI CORROMPE

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Ecco un altro lunedì e ci accade come alla “folla” che aveva appena goduto della moltiplicazione dei pani e di Gesù: “abbiamo mangiato, ci siamo saziati” e ci è sembrato il Paradiso! E sì che lo era, lì, seduti finalmente, riposando da tanti inutili sforzi. Qualcuno ci aveva sfamato, di più, “saziato”, ma ora sentiamo che anche quella sovrabbondanza non ci basta, tremiamo al pensiero della settimana che ci attende, le relazioni, gli impegni, la famiglia, il lavoro, la salute. Ma come è possibile digerire così in fretta i miracoli di Gesù? Sembra che non siano neanche passati al nostro cuore e alla nostra mente nutrendoli almeno per qualche giorno di autonomia…

E’ possibile eccome, perché nel profondo siamo avidi e avari insaziabili, che, per San Paolo, è sinonimo di idolatria. Abbiamo fatto immediatamente un idolo di “quei pani” e di Colui che ce li aveva dati. E’ successo che “non abbiamo seguito il Signore perché abbiamo visto i segni” ma per riempire la pancia, e siamo rimasti schiacciati nella folla anonima, confusi nei pensieri e nei desideri mondani, perdendo la nostra identità. Sì, anche i doni di Dio possono corrompersi e corromperci; è Gesù che lo dice, riferendosi ai “pani” che Lui stesso aveva moltiplicato e distribuito. I segni non sono il senso della nostra vita, indicano il cammino per scoprirlo e accoglierlo. Fare del matrimonio, dei figli, dell’essere prete, della missione, degli amici, del fidanzato, dello studio, del lavoro, il fine e il centro della nostra vita, significa strumentalizzare e pervertire le opere di Dio. Significa idolatrare un segno a scapito del significato. Infatti, come la “folla”, anche noi chiediamo sempre “quando” e mai “perché?”.

Non ci interessa capire ma sapere, perché viviamo come in un immenso gossip, fermandoci sulla foto, la chiacchiera bisbigliata, il post sul “social”. Approfondire, mai. Invece di chiedere “quando” per curiosità, avrebbero dovuto chiedere: “Signore perché te ne sei andato? Sapevi che avremmo avuto di nuovo fame, per caso ci stai dicendo qualcosa?”. Gesù, infatti, non si ferma mai dopo un miracolo, ma parte, si nasconde perché non lo “facciano re”, sfugge all’idolatria, va in un altra città, perché tutta la sua vita è una profezia del cammino di ogni cristiano. I suoi gesti annunciano il più in là dove ci chiama a seguirlo. Anche la moltiplicazione dei pani e dei pesci, pur saziando la fame di quel momento, era un tiro di fionda puntato sul Cielo.

I “segni” che Dio depone nella nostra vita sono il suo profumo sparso per indicarci la via da seguire, un assaggio del banchetto che ci ha preparato. Ma, insipienti e stolti come siamo, vorremmo fermarci agli aperitivi e agli antipasti; ingordi ci abbuffiamo di tartine e non abbiamo più spazio per i primi, i secondi, i dessert. Ci fermiamo sulla soglia del Cielo confondendolo con qualche millimetro di terra. I miracoli con cui il Signore moltiplica la nostra vita sono solo la porta a qualcosa di infinitamente più grande che è l’incontro decisivo con Cristo. E’ Lui il cibo che non perisce, è Lui il nostro desiderio più profondo. E’ Lui la “via” alla “verità” che genera in noi la “vita”. Per questo oggi ci invita a “procurarci il cibo che non si corrompe”. Ma se non è il miracolo che fa presente il suo potere soprannaturale, qual’è questo cibo incorruttibile?

E’ Lui, il pane che sazia la vita di ogni uomo. E come posso “procurarmelo”? Cercando Gesù con un cuore purificato. Accettando che Lui non è dove io credo debba stare, e quindi accettando di camminare dietro a Lui, uscendo ogni istante da me stesso, per trovarlo nella Pasqua, nel passaggio che strappa la nostra vita alla corruzione; in un cammino di ogni giorno sulle strade della conversione verso una fede adulta. Per questo, come ha fatto con i discepoli lasciandoli entrare da soli nella notte e delle difficoltà, non si lascia afferrare dal nostro cuore idolatrico, e, lasciandoci sempre di nuovo affamati del cibo che sazia il ventre, ci obbliga a scoprire che la nostra fame autentica è quella di essere in Lui come Lui, l’ardente bisogno di donarsi e non di offrire a noi stessi la vita, le persone e le cose. Lui va oltre per introdurci nell’al di là che ci attende nella storia e nelle persone, nel compimento vero della nostra vita, che è trascenderci, donarci a chi ci è accanto uscendo da noi stessi. Di questo sono stati “segno” i pani che ci ha donato moltiplicati.

Noi trasformati in pane che sazia, nello stesso alimento incorruttibile di cui ci nutriamo, Cristo, e del suo amore più forte della morte e della paura. Amare come siamo amati è l’unico cibo capace di sfamarci e realizzarci. Come Lui e con Lui sempre più in là, a Cafarnao, e poi ovunque e per chiunque abbia fame di Lui. Il “cibo che non perisce”, dunque, è quello che reca il sigillo del Padre, la denominazione di origine controllata e garantita di un’opera destinata all’eternità. Il suo amore, che offre se stesso in tutto e nulla offre a se stesso. Il “cibo che non perisce” è lo stesso alimento di Cristo, fare la volontà di Colui che lo ha inviato e compiere la sua opera: offrire la propria vita, passare attraverso la grande tribolazione della Croce, perché anche al nemico siano spalancate le porte del Cielo. Sulla volontà di Dio, infatti, non c’è data di scadenza, punta diritta alla vita eterna.

Siamo dunque chiamati a rispettare la dignità e l’unicità di tutti, la libertà e la santità di cui sono “segno”; a saper fermarsi e lasciare che gli altri “si ritirino”, sfuggano alla nostra concupiscenza, impedendoci di “farli re” della nostra vita, che poi è un modo per appropriarci degli altri, ingannati da pseudo-sentimenti che sono solo egoismo infantile con conseguenze devastanti, tra sessualità perversa e degradante, gelosie, compromessi. Ma attenzione, nelle parole di Gesù non vi è traccia di moralismo, non esigono alcuno sforzo, anzi. Continua a dirci di aprirgli il nostro cuore e “sederci” a mensa nella comunità cristiana, lasciando che sia Lui a servirci, giorno per giorno, istante per istante, attraverso i suoi apostoli; solo così potremo accogliere il dono della sua carne e del suo sangue perché sia Lui a vivere in noi e non più il nostro uomo vecchio che si “corrompe” dietro alle passioni ingannatrici.

Coraggio allora, perché il Signore vuole “donarci” questo cibo, una vita libera, autentica, bella, santa, che non subisce corruzione, pur crocifissa nella precarietà e nel dolore. Donandoci Egli stesso come alimento, Gesù ci consegna, compiuta, la vita celeste, capace di consegnarsi con Lui nel Getsemani. E’ questo il luogo, il “dove” è possibile incontrarlo, la soglia che si schiude ogni giorno per passare alla Croce, alla morte e alla resurrezione; il Getsemani dove “vedere i segni” della volontà di Dio incastonati negli eventi e nelle persone; solo su di essa, infatti, scende lo Spirito Santo, il “sigillo di Dio”, il soffio di vita eterna che rivela il “marchio di fabbrica”, sulle “opere” fatte in Cristo. Per questo, dopo esserci consegnati al Padre in Cristo, ogni pensiero, parola, gesto e sofferenza offerti per amore sono immediatamente trascritti in Cielo: il “cibo che non si corrompe” è dunque ogni aspetto della nostra vita crocifissa in Cristo, destinata a risplendere per l’eternità. Anche le cose ripetute, anche quelle alla carne insignificanti e dolorose divengono il “segno” dell’incorruttibile che ha assorbito il corruttibile, perché può donare se stesso solo chi non teme di esaurire le scorte, solo chi ha vita sovrabbondante dentro. Allora stirare quella camicia è un cibo incorruttibile!

In Cielo vedrai segnato con caratteri indelebili quell’istante agli occhi della carne così banale: quando prendi il ferro e hai messo la camicia sul tavolo da stiro. Ecco “quando” Cristo è passato a Cafarnao! Nell’istante in cui si è offerto per ogni uomo. Ecco questa settimana che ci attende, e quelle che verranno; ecco i milioni di “quando” che ci aspettano per andare, in segreto, a Cafarnao, attirando dietro a noi una folla disorientata e ancora schiacciata sulla carne. Stira le camice allora, studia quella materia insopportabile, sbriga quella pratica frustrante, accetta la solitudine e i limiti della vecchiaia, abbraccia i dolori della malattia, sono il “cibo che non perisce” perché proprio su questi fatti, sulle relazioni difficili, su questa settimana che ti aspetta sicuramente segnata dalla Croce, il Padre ha messo il “sigillo” del suo Spirito, il soffio del suo respiro eterno, la vita che non muore. Perché proprio lì, c’è Cristo che ti ha preceduto alla tua Cafarnao di oggi e di domani, sino all’ultima preparata per te in Cielo. Non si tratta dunque di “dover fare” qualcosa di straordinario “per compiere chissà quali opere”, perché l’unica “opera di Dio” è la fede, cioè accogliere in noi “l’opera” divina che strappa alla corruzione le nostre relazioni e attività di ogni giorno; “appoggiarci” cioè a Cristo, per seguirlo a Cafarnao, dove compiere con Lui la volontà del Padre. Abbandonare la nostra vita all’amore di Dio rivelato in Cristo Gesù, consegnandoci così come siamo a Lui che si consegna a noi, perché l’unica vita che non perisce è proprio quella perduta per amore.

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