Vangelo del giorno – 3 Luglio 2023 – don Antonello Iapicca

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Gesù amava Tommaso, ipersensibile come tutti i gemelli. E con misericordia infinita si è fatto suo gemello, cercandolo e facendosi toccare sino al fondo della sua carne ferita d’amore. Così ha innescato in lui la fede con cui ha iniziato a camminare credendo anche nei momenti bui.

GEMELLI DI CRISTO COME TOMMASO TOCCHIAMO NELLA CHIESA LE SUE PIAGHE DOVE NASCE, CRESCE E SI FONDA LA FEDE

Tommaso aveva visto Gesù crocifisso; le sue ferite si erano piantate nei suoi occhi, nella sua mente, nella sua carne. Per credere, per uscire dall’immaginazione, aveva bisogno di quel segno concreto, l’unico che poteva riconoscere. Come tutti noi, come i nostri figli, cerchiamo il segno dell’amore di Gesù proprio per noi, per me.

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Toccare cioè la ferita che io ho inferto, mettere il dito nelle profondità dell’amore sino alla fine che perdona e sana, ricrea risuscitando dalla morte del peccato. Di più: Tommaso era chiamato “Didimo”, che significa “gemello”; stava cercando, come tutti i gemelli quando si separano dal fratello, la parte di sé che gli era venuta meno, l’unica parte di sé che poteva dare compimento e completezza alla sua vita;Cercava un segno nelle piaghe di Gesù, perché cercava un senso alle sue ferite, al dolore della sua vita; cercava la prova certa su cui appoggiare la fede nella vittoria di Gesù sulla morte e sul peccato. Ma lo era andato a cercare lontano dalla verità, paradossalmente, proprio lontano dalla carne di Gesù, dal corpo di Cristo che è vivo nella comunione della Chiesa, la comunità dei suoi fratelli.

Ma Gesù ama Tommaso, e ama noi, e ci attende con pazienza, e viene a cercarci ancora. Anche i momenti in cui ci siamo allontanati e abbiamo preferito la solitudine dell’orgoglio o del dolore, perfino nel buio del peccato, misteriosamente nel suo amore diventano sono fecondi e preparano all’incontro decisivo che muove alla professione di fede più bella. Per questo tutti  possono convertirsi, cioè tornare a casa come Tommaso attirato dall’annuncio dei suoi fratelli, forse incuriosito, più probabilmente sperando nell’intimo che fosse vero. E quei passi sul cammino di ritorno son bastati; era a casa ormai, nella comunità cristiana, stretto nella comunione della fede dei fratelli. E questo era tutto, perché Gesù amava Tommaso sino alla fine, che significava accettare la debolezza del suo affetto carnale, come la sua inquietudine che l’aveva spinto fuori dal Cenacolo.

Come ama noi, e ogni uomo, come i più grandi peccatori, e ha pazienza e ci attira seminando le parole dell’annuncio della Chiesa anche nelle situazioni più difficili, anche nella nostra corruzione. E l’annuncio della Chiesa, come una calamita, ha il potere di attirarci nella sua comunione, rispettando i nostri tempi, le nostre cadute e le debolezze, aspettando il tempo nel quale il Signore ha stabilito di apparire e mostrarci le sue ferite. Abbiamo bisogno di conoscere, come Tommaso, la nostra povertà, l’inconsistenza della fede, la carne debole che vuole segni d’amore, e per questo tante volte cade nel peccato.

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Abbiamo bisogno di sperare e cercare le ferite di Cristo dischiude per me, per me peccatore. Abbiamo bisogno di lasciarci attirare nella conversione che ci conduca, nella Chiesa, a fare l’esperienza della misericordia. Per questo è necessaria la scintilla dello Spirito Santo – quello che mancava a Tommaso perché assente la sera di Pasqua – per mezzo del quale la “conoscenza” di Cristo non sarà più secondo la carne, anche se nella carne. Nella Chiesa infatti potremo giungere alla fede adulta di Tommaso, quella cresciuta nella sua comunità dove appare Cristo risorto nella Parola, nelle liturgie, nei sacramenti e nella comunione.

Allora potremo riconoscere il nostro Signore e il nostro Dio proprio nelle nostre ferite dove la carne non vede altro che dolore e morte: e credere che nella Croce è nascosta la gloria, nella nostra vita la signoria di Cristo. Per questo Gesù annuncia la beatitudine di chi, pur non vedendo, comincerà a camminare nella fede. Pur cioè non “sentendo” nulla, senza consolazioni, appoggiati all’esperienza fatta del suo amore, restare crocifissi con Lui nella storia di ogni giorno.

La fede beata è infatti vivere il destino celeste nel dolore dei chiodi che ci uniscono alle ferite di Cristo. Ferite gloriose perché trasfigurate già qui e ora nel potere della risurrezione di Cristo in virtù della quale possiamo restare dove nessuno resisterebbe. E mostrare, lì dove il mondo si scandalizza e fugge, la gloria della risurrezione, la prova dell’amore di Dio per ogni uomo. Nel suo amore fatto carne in noi e offerto gratuitamente a tutti.

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