Che ve ne pare?
Che ve ne pare?
Chiede un parere ai sacerdoti e agli anziani del popolo, il Maestro. Vuole coinvolgerli, vuole accompagnarli a vedere le cose da un altro punto di vista, vuole che crescano e, infine, capiscano chi è e cosa da il Padre che annuncia.
Che ve ne pare?
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È questa la dinamica del discepolato. Questo vuole Dio da noi: che ci mettiamo in movimento, che usciamo da una fede ridotta ad ascolto (distratto), scuoterci, diventare noi i timonieri della nave della nostra vita.
E parla di due figli invitati dal padre a dargli una mano nella vigna.
Uno che sbuffa e si irrita ma che, alla fine, va.
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L’altro che annuisce sorridendo, ma non si schioda.
I due in me
C’è un figlio, in me, che vuole fare bella figura, davanti a Dio, davanti agli uomini. Un bravo bambino sempre disposto a compiacere, a ubbidire. Ma solo nella finzione. Solo nell’apparenza.
Mica abbiamo veramente voglia di sporcarci le mani, di andare, sul serio, nella vigna, non scherziamo.
Si fatica, lavorando, e tanto, e si suda.
E la vigna che è il mondo, la vigna che il Signore ci chiede di accudire ci obbliga a piegare la schiena, a farci venire i calli.
Meglio guardarla dal di fuori, la vigna.
Magari profondendoci in critiche sul pessimo stato in cui versa e sulla palese incapacità dei viticoltori (che saremmo noi, ah già ).
E magari optare per una bella pianta di vite posizionata sul balcone di casa, che fa tanto country style.
Decorativa.
Ma c’è anche un figlio aggressivo in me, eterno adolescente, irrequieto e scostante.
Che soffre le belle maniere e le apparenze, che patisce i propri limiti ma li accoglie nella loro straziante e straniante evidenza. Che vede le contraddizioni negli altri, certo ma, soprattutto, che le vede in se stesso. E non le vorrebbe.
E guardando la vigna ha paura. Vorrebbe, certo, ma sa che non è in grado. Il mondo fuori lo spaventa, lo inquieta. Sa bene che appartiene a questo mondo, a questa vigna, ma sa anche di non avere il pollice verde, anzi…
Allora bofonchia qualcosa, non ci sta, sbatte la porta, irritato da questo vecchio padre rimbambito attaccato a quell’inutile pezzo di terra dei padri improduttivo e inutile. Che diamine, con tutto quello che ho da fare per galleggiare ci manca ancora che mi faccia carico di questa follia!
Ma poi va. Almeno per qualche ora, almeno ci prova. Sì, va.
E la notizia, la bella notizia, la buona notizia, la notizia folle e destabilizzante è che Dio preferisce il secondo atteggiamento.
Preferisce chi è autentico, anche se non esemplare.
Preferisce chi ammette il proprio limite e ci prova a chi fa grandi sorrisi e genuflessioni e non muove un dito. Preferisce, lui per primo, anime grigie ma autentiche, ad anime bianche ma di plastica.
Preferisce chi aiuta una prostituta a ritrovare la sua dignità di donna.
Chi accompagna un peccatore pubblico nel vedersi diverso.
Dio non sa che farsene dei bravi ragazzi, vuole dei figli.
Nella vigna
Perché lui per primo è sceso nella vigna.
Lui per primo è diventato uomo, incarnandosi, senza privilegi, rifiutando i vantaggi, per salvare tutti, per incontrare tutti, per amare tutti. Lui.
Davanti a tanta generosità , a tanta bellezza, a tanta follia, possiamo far finta di niente e continuare a giocare a fare i bravi cristiani. A farci vedere con l’anima azzimata e le faccine devote.
Che Dio ne tenga conto. Che veda quanto siamo bravi rispetto agli altri brutti sporchi e cattivi. E che magari strappano qualche vite e danneggiano l’uva.
Oppure ammettere che non siamo capaci.
Che è contro natura amare gli altri. E aiutarsi. E perdonare. E tutte le mille altre cose che questo folle Dio ci propone di vivere.
Contro natura.
Perché l’uomo è lupo, divora, sbrana, aggredisce, conquista, è sempre stato così.
Perché il mondo è un immenso letamaio, meglio non agitarsi troppo e galleggiare.
Meglio osservare la vite sul balcone che rischiare la pelle. Meglio accudirla proteggendola. E pazienza se è solo decorativa.
Oppure.
In me
Perché Dio non vuole punire, ma salvare. E gioisce per chi accoglie il proprio limite.
Perché il Dio che Gesù mi è venuto a raccontare (fino a morirne) è un Dio felice che mi vuole felice. Che si fida talmente di me da chiedermi di dargli una mano. Di amare come lui (con l’amore che ricevo da lui). Amare senza misura, donando, spendendo, versandosi.
È difficile, lo so bene.
Difficile avere in me gli stessi sentimenti che furono di Cristo.
Eppure se lo lascio fare forse qualcosa cambia. Non per sforzo o merito, ma perché l’amore agisce, cambia, illumina, converte.
I due figli sono dentro di me. Lo so bene.
Li vedo, li ascolto, li nutro.
A volte prevale il figlio che ha paura del giudizio degli altri, non solo quello di Dio, e allora diventa inautentico. A volte quello ribelle che vorrebbe mandare tutto e tutti a stendere, Dio compreso.
Ma, entrambi, possono crescere e cambiare.
E diventare l’uno autentico e l’altro operante.
Sappiamo, e quanti profeti avrebbero voluto sapere e vedere, che Dio ci chiama a lavorare nella sua vigna, anche se incolta, anche se selvatica, anche se piena di rovi.
È faticoso, non raccontiamocela.
Faticoso cambiare, faticoso starci, faticoso amarla, questa vigna. Faticoso farlo ora, in questo tempo di verità ustionante, che svela la fragilità delle nostre pastorali accomodanti, stantie, paralizzanti.
E Dio lo sa bene. Morirà , a causa dei vignaioli omicidi. E quella morte, lo credo fermamente, cambierà per sempre la storia. Anche la mia.
Ecco: si tratta solo di sapere cosa vogliamo fare.
Sapendo bene che ciò che ci viene chiesto è la verità di noi stessi, l’autenticità anche quando ci imbarazza e ci umilia.
Dio non vuole dei bravi bambini, dei bamboccioni, ma dei figli.
Anche se ribelli. Solo se innamorati.
Come lui.
Che ve ne pare?
Mt 21, 28-32 | Paolo Curtaz 17 kB 10 downloads
Ventiseiesima domenica durante l’anno Ez 18,25-28/ Fil 2,1-11/ Mt 21,28-32 …***
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