Paolo Curtaz – Commento al Vangelo del 25 Dicembre 2020 – Lc 2, 1-14

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Natale sei tu

Forse il nostro Natale più strano. Forse quello più dolente.

Perché giunge nel cuore della pandemia, in questa terra di mezzo che ci sta sfiancando da mesi e mesi e che ci ha tolto certezze, abitudini, quotidianità.

E forse anche la speranza.

Abbiamo saltato Pasqua. E Pentecoste. Mai avremmo immaginato di celebrare un Natale azzoppato, senza abbracci, senza vacanze, senza messe cantate e presepi viventi.

E sfogliare i quotidiani indurendo il cuore, per sopravvivere, davanti alle notizie che ci giungono dal fronte degli ospedali e quei morti, oltre sessantamila, che crescono ancora…

Eppure.

A vederlo bene questo può diventare il miglior Natale della nostra vita.

Tolto il contorno, resta la pietanza, l’essenziale, l’inaudito di Dio.

Dio c’è. Ed è qui. In questo nostro momento così particolare.

Accadde che

Una giovane coppia giunge a Betlemme, la città che ha visto nascere il re Davide.

È un censimento ad averli portati laggiù, forse un censimento regionale, un modo che, da sempre, i potenti hanno di manifestare la loro autorità per imporre i tributi.

La donna aspetta il suo primogenito e viene accolta in casa di qualche parente (inimmaginabile che fossero rifiutati con il senso sacro dell’ospitalità nel mondo orientale!), ma per tutelare il suo pudore partorisce nel retro della casa, normalmente costituita da un unico vano, là dove si custodivano gli animali di piccola taglia e le derrate alimentari, la cassaforte di ogni abitazione.

La scena si sposta all’esterno, da un gruppo di pastori che passano le giornate e le notti, da marzo ad ottobre, nei brulli pascoli della Giudea. Non i pastorelli dei nostri presepi, ma persone poco raccomandabili indurite dal lavoro, che rabbini del tempo paragonano ai pubblicani, considerati bugiardi (non potevano testimoniare ad un processo) e inaffidabili.

Loro ricevono l’annuncio: gli sconfitti, i perdenti, i condannati.

Non i sacerdoti di Gerusalemme, tutti presi dal funzionamento del ricostruito tempio per aspettare davvero un messia inopportuno.

Non Erode, che ha ottenuto il trono con determinazione e ferocia, e che vede nel Messia un pericoloso concorrente.

Non la brava gente di Gerusalemme, tutta presa dalla quotidianità.

Accessibilità

La ragazza partorisce, lava il bambino, lo avvolge nelle fasce, lo depone nella mangiatoia.

Nessuna lucina misteriosa, nessun prodigio, nessun effetto speciale.

Dio nasce come ogni bambino, la salvezza ci giunge nel più banale dei modi.

E i pastori cercheranno una mangiatoia per riconoscere il Messia. E gli astronomi una stella.

Dio si fa incontrare là dove siamo, parla ai nostri cuori con il linguaggio che conosciamo.

È il nostro sguardo che cambia, è la luce del nostro cuore che sa vedere al di là dell’apparenza.

Ecco il nostro Dio: è un neonato con i pugni chiusi e la pelle arrossata, gli occhi che mal sopportano la luce e la piccola bocca che cerca l’acerbo seno della madre.

È un bambino impotente, fragile, che va lavato e scaldato, cambiato e baciato, ed è tenuto a contatto della pelle ruvida del padre, Giuseppe, che lascia l’emozione inumidirgli gli occhi per poi tornare alla concretezza di una situazione problematica.

Non dona, chiede, non ha deliri di onnipotenza, ha svestito i panni della regalità, li ha deposti ai piedi della nostra inquieta umanità. Non gli angeli, ma una ragazza inesperta e generosa si occupa di lui.

Vorrei un Dio che mi risolvesse i problemi, non un Dio che me li crea.

Vorrei un Dio potente e forte, non un neonato bisognoso di tutto.

Vorrei un Dio più efficiente, non perdente. Schierato con i forti, non difensore dei deboli.

Vorrei qualche effetto speciale, così, per convincermi.

E invece.

Luce e ombra

È che spaventa quel neonato. Irrita. Disturba.

Ci inquieta anche solo immaginare che Dio, davvero!, abbia deposto il suo abito di eternità per rivestire quello lacero e sporco dell’umanità. Se preso sul serio, il Natale ci mette in crisi.

Ci interroga.

Dio che si fa accessibile, incontrabile, neonato fragile e indifeso, demolisce i nostri infiniti pregiudizi su Dio.

Dio è lontano. Dio si disinteressa di noi. Dio è misterioso e cupo, lunatico e incomprensibile.

Dio vede e non interviene, lascia morire di fame i bambini.

Dio non ferma le guerre e i terroristi. Dio fa morire di cancro la giovane mamma e tiene in vita l’omicida spietato.

Un Dio pasticcione e inquietante. Anche quello dei cattolici che credono senza mai porsi una domanda, senza un fremito, senza un sussulto, senza una domanda. Credono come le pietre, non saldi, ma freddi e inanimati.

Cos’ha a che vedere, questo neonato che si allatta all’acerbo seno di un’adolescente, con l’orribile idea di Dio che portiamo nel cuore?

Eppure Dio è diventato uomo esattamente per cambiare la nostra vita. Per svelarci chi è lui. Perché vedendo lui, capiamo chi siamo noi. Chi sono io.

Impasto di fango plasmato ad immagine di Dio. E riempito d’anima.

Eppure

Dio è diventato uomo esattamente per cambiare la nostra vita. Per svelarci chi è lui. Perché vedendo lui, capiamo chi siamo noi. Chi sono io.

Impasto di fango plasmato ad immagine di Dio. E riempito d’anima.

Dio diventa uomo per salvarci dai peccati, come hanno scritto i padri della Chiesa latina.

Dio diventa uomo perché l’uomo diventi come Dio, come hanno scritto i padri della Chiesa d’Oriente.

Dio diventa uomo, aggiungo, perché, l’uomo, finalmente, impari a diventare uomo.

Dov’è Dio?, mi chiedono in tanti, inseguiti dalla loro paura.

Sorrido, in questa notte, mentre prego davanti al mio piccolo presepe.

Eccolo, Dio.

Nello sguardo impaurito di chi, solo, affronta la malattia.

Nella mano guantata del medico e dell’infermiere che accudiscono, incoraggiano.

Nella forza di chi non molla, di chi incoraggia, di chi mette da parte vittimismo e lamentazioni.

Eccolo. A te di accoglierlo se vuoi, qui, adesso, in questo anno sanguinante.

Anche se il nostro cuore è pensate e vuoto, come una grotta, come una stalla. Come quella stalla.

Ed è proprio lì che Dio chiede di nascere.

Nessuno ti porta via il Natale. Nessuno te lo ruba, stai tranquillo.

Se ancora osi credere, se ancora ti stupisci davanti a quel neonato che racchiude l’Infinito, se ancora ti commuovi davanti al Dio disarmato, lo rendo vivo e presente.

Sei tu il Natale di Dio. Tu la custodia di Dio. Il suo tabernacolo.

Buon Natale, allora.

Vi voglio bene di quel bene che Dio mi vuole.

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