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Commento al Vangelo del 18 Luglio 2020 – Don Francesco Cristofaro

Vangelo del giorno e breve commento a cura di Don Francesco Cristofaro.


AUTORE: Don Francesco Cristofaro
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p. Arturo MCCJ – Commento al Vangelo di domenica 19 Luglio 2020

Avevamo visto come la settimana scorsa Matteo ci introduceva nel concetto del regno dei cieli. Forse molti di voi non sanno che proprio questo è uno dei capisaldi dell’insegnamento di Gesù. In verità gli evangelisti non vogliono darci una definizione dettagliata, come piacerebbe a noi figli e figlie della cultura occidentale.

La parola REGNO,  basileía può esprimere diverse idee: “regalità”, “dominio”, “governo regio”, “potestà “reame”, “signoria” ma sulle labbra di Gesù sembra voler dire che è Dio a governare “come” un re. Gesù contrappone al sogno di Israele di un Regno Davidico, fondato su un uomo forte  e guerriero quello di Dio basato sulla giustizia e la misericordia, sulla fratellanza e sull’uguaglianza,  non come una utopia ma come una realtà già presente a realizzarsi (“annunciate che il Regno di Dio è vicino”). 

Per aiutare la gente a capire Gesù usa delle parabole  e questa domenica ce ne dà  in abbondanza. La cosa che colpisce è che non fa uso di termini tecnici, di una teologia erudita ma prende tre elementi della natura, il grano, la senape e il lievito che sono accomunati dal fatto di essere elementi piccoli e che richiedono molto tempo per la crescita, anzi ogni sforzo o accelerazione nel loro sviluppo si rivelerebbe deleterio. 

Vediamo alcuni elementi  di queste 3 parabole. 

La prima parabola è esclusivamente matteana. Tutto accade mentre si dorme, di notte. Nella Bibbia la notte è spesso il momento dei sotterfugi e dei ladri, dell’insonnia dei malfattori ma anche lo spazio in cui avviene qualcosa di cui non si è pienamente consapevoli. Come esiste il bene e questo generalmente si fa alla luce del giorno, il male è qualcosa che si fa di nascosto, all’insaputa delle persone. Il male, come la zizzania, è tossico e ha un effetto narcotico. Non è Dio che vuole il male, ci ricorda la parabola che insiste nel ricordarci che il campo è del Seminatore, è davvero suo. Cos’ scrivendo, Matteo sottolinea che il mondo è nelle mani del Figlio dell’uomo,  è il Signore che se ne dovrà preoccupare, e non si lascerà sfuggire di mano il raccolto buonoSe vogliamo allargare poi  lo sguardo potremmo leggere in  questa parabola  la reazione di Matteo a tutte quelle tendenze “puriste” e “puritane” presenti nelle comunità ricordando  che il bene e il male sono intrecciati e bisogna attendere prima di esprimere un giudizio definitivo. Il problema non sta tanto in chi “semina zizzania” bensì nella fretta dei “servi” che vogliono estirpare il male anzitempo. Bisogna saper attender per vedere i veri frutti. 

Per chi sogna poi una venuta eclatante di Dio nella storia Matteo ricorda che Dio agisce in maniera nascosta ma efficace. Anzi, Il regno di Dio, anche nel momento del suo massimo sviluppo, non attirerà l’attenzione per la sua grandiosità, per la sua magnificenza ma per la sua minuscola ed efficace forza. Sapevate che la senape è una pianta infestante.  Così è anche la presenza di Dio, non ve ne potete liberare!!! 

La terza Parabola vede come protagonista una donna ed il lievito. Al tempo di Gesù il lievito non era visto come molto positivo. Vi ricordo che nella festa principale degli Ebrei, la festa di Pasqua (secondo le prescrizioni di Es 12,18-20.34.39; Nm 28,16-17; Dt 16,3-4) il lievito rappresenta qualcosa di impuro da eliminare dalla pasta. Gesù sceglie un elemento ambiguo, per operare una specie di rovesciamento dell’ovvio e invitare a non dare nulla per scontato a riguardo della presenza del Regno nella realtà e nella storia. Allo stesso tempo però ricorda che l’agire di Dio è nascosto all’occhio umano, e per quanto possa sembrare piccolo ed insignificante il suo intervento, riesce sempre riempire di vita e di sapore l’esistenza.

Avete notato che alla fine i discepoli chiedono spiegazioni solo sulla prima parabola? NON perché non l’avessero  capita; anzi proprio perché l’hanno capita e non sono d’accordo che fanno domande. Sembrerebbe che Matteo metta insieme queste 3 parabole con un intento molto preciso: richiamare l’attenzione delle sue comunità contro:  

  • –  la tentazione di essere una comunità di eletti 
  • –  la tentazione della grandezza 
  • –  la tentazione dello scoraggiamento 

Dio è il protagonista del Regno e ci invita ad educarci i suoi tempi e modi. Chi ha orecchi, ascolti!

P. Arturo 


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Un luogo dove ascoltare ed approfondire la Parola con l’apporto di P. Arturo, missionario comboniano ?? ???????????, teologo biblista. Se vuoi comunicarti con loro, scrivici a paturodavar @ gmail.com BUON CAMMINO!!!

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Don Antonio Mancuso – Commento al Vangelo del 18 Luglio 2020

La lettura e la meditazione del vangelo di oggi mi ha portato a riflettere su due elementi che ritengo essenziali per la vita di fede…

1- Gesù sente e sa del pericolo che corre e si allontana da quel luogo… insomma, fugge. Non ci sembri strano… non scadiamo molto superficialmente nel giudizio di vigliaccheria nei confronti di chi scappa davanti al pericolo. A volte… può essere l’unica o comunque la prima scelta da fare per salvarsi la vita.

Insomma… la sapienza della chiesa ce lo ha sempre detto: fuggire le occasioni prossime di peccato. proprio così, a volte, per salvarsi il proprio matrimonio… il proprio sacerdozio… il fidanzamento… lo stato di grazia… occorre sapere allontanarsi dal pericolo… dalla tentazione… dice san Paolo ai Romani: fuggite il male con orrore, attaccatevi al bene!
Allontanati con tutte le tue forze dalla tentazione (se la vuoi vincere) e subito dopo attaccati alle cose sante!

2- La seconda parte del vangelo descrive Gesù come un mite… pacifico… perseverante annunciatore della verità… della giustizia… testimone dell’amore.
Penso sia questo lo stile del discepolo… del cristiano… senza fare grandi rumori… non saranno le proteste… le grida… le urla… le costrizioni… ma la semplice… umile… silenziosa perseveranza…
Sii così con la tua testimonianza di fede… in silenzioso ma continuo martello pneumatico… martello spirituale… martellante testimone della verità… della giustizia… dell’amore!

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AUTORE: Don Antonio Mancuso
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don Vincenzo Marinelli – Commento al Vangelo del 18 Luglio 2020

“Non spegnerà una fiamma smorta”

La profezia del profeta Isaia descrive gli atteggiamenti di Gesù che chiama “servo del Signore”. Tra questi afferma che non spegnerà una fiamma smorta, ovvero lascerà accesa la speranza anche lì dove la situazione sembra consumarsi e precipitare, senza nessuna soluzione. A volte davanti a chi soffre si è capaci di sperare fino alla fine, e di tenere accese anche le prospettive più piccole, ma nella vita quotidiana sono tante le fiamme smorte su cui si rischia di soffiare e di spegnere.

Tante volte si usano espressioni come “tu non sei capace”, “lascia fare a me”, “per questo, meglio che me la veda io” che in alcuni contesti possono sminuire il lavoro, le capacità e l’operato dell’altro, spegnendo quella creatività o la capacità di iniziativa che invece va curata e sostenuta. A volte da genitori si guarda al risultato finale di alcune iniziative dei ragazzi e si rischia di spegnerle in anticipo. Non bisogna dimenticare che per loro invece, più del risultato, conta il mettersi in gioco e vedere cosa sono capaci di realizzare, fino a che punto. Se non ci sono pericoli fisici o morali, lascia accesa attorno a te qualunque fiamma, sè è nella volontà di Dio si alimenterà sempre più o, altrimenti, si spegnerà da sola.

In breve

Lascia accesa attorno a te ogni iniziativa che non induca a gravi pericoli fisici o morali. Se è nella volontà di Dio crescerà sempre di più o si spegnerà poco a poco.


Di don Vincenzo Marinelli anche il libretto:

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Commento a cura di don Vincenzo Marinelli

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Piotr Zygulski – Commento al Vangelo del 18 Luglio 2020

Quando siamo esposti alla vulnerabilità ci domandiamo come vivere all’altezza di ciò che ci è affidato. Guardiamo all’agire di Gesù, è essenziale: non fronteggia a muso duro chi sa che lo vuole e lo può uccidere, ma si sposta per mettersi silenziosamente a fianco dei bisognosi.

Questo fa venire in mente all’evangelista Matteo il “primo Canto del Servo” scritto dall’autore della seconda parte del Libro di Isaia. Quel Canto, rivolto inizialmente forse al re Ciro, all’intero Israele o al profeta Geremia, il cui messaggio è poi riattualizzato in Isaia, esplicita una vocazione, una chiamata, una missione: fare conoscere universalmente la volontà di Dio.

È lui infatti che, concedendogli sempre un’esperienza speciale di fiducia personale, lo ha scelto proprio per quello; non per vantarsi di tale privilegio, bensì per sostenere gli ultimi. Chi davvero è al servizio lo fa consentendo a tutti di assaporare la tenerezza di Dio che si è chinato su di lui. È la stessa che lo ha scelto – lui, debole, fragile, incerto, umiliato, rifiutato, discriminato – e che lo continua a sostenere. Dio ha creduto in quella fiammella, seppur piccola, anziché soffocarla con sensi di colpa.

Si è fidato del bene possibile, offrendo la sua presenza con il potere della delicatezza, della pazienza, della misericordia. Con questo incoraggiamento divino, attento a ciascuno e a partire da chi è più indietro, l’inviato di Dio consentirà alla giustizia di emergere ovunque, sempre, da tutti i popoli.

Si spiega dunque il silenzio: il vero potente di fronte al male non lo sopraffà di parole – più o meno inutili, fuori luogo o propagandistiche – ma anzi tace; ascolta ogni vittima, perché sia resa libera, capace di prendere in mano la propria storia.


Commento a cura di:

Piotr Zygulski, nato a Genova nel 1993, dopo gli studi in Economia all’Università di Genova ha ottenuto la Laurea Magistrale in Filosofia ed Etica delle Relazioni all’Università di Perugia e in Ontologia Trinitaria all’Istituto Universitario Sophia di Loppiano (FI), dove attualmente è dottorando in studi teologici interreligiosi. Dirige la rivista di dibattito ecclesiale “Nipoti di Maritain” (sito).

Tra le pubblicazioni: Il Battesimo di Gesù. Un’immersione nella storicità dei Vangeli, Postfazione di Gérard Rossé, EDB 2019.

Arcidiocesi di Pisa – Commento al Vangelo del 18 Luglio 2020

Medita

Alla notizia che i farisei vogliono farlo morire, Gesù non affronta direttamente i suoi avversari e, affinché si compia la profezia di Isaia, si ritira, mentre la gente non si allontana, ma lo segue. Gesù non è venuto per sconfiggere l’uomo, ma per salvarlo, ed egli agisce infatti non come Messia vincente, ma come servo del Signore, attraverso i mezzi dell’amore: è nello stile di Gesù annunciare il Vangelo con mitezza e fermezza, fedele al mandato ricevuto. Non contenderà, non griderà, non spezzerà, ma, mite ed umile di cuore, con il suo amore per gli uomini annuncerà e farà trionfare la giustizia. Dio sarà fedele alla sua promessa di salvezza, e giustizia di Dio significa mantenere la parola; la Sua giustizia è sinonimo di redenzione, di salvezza.
La giustizia dell’uomo diventa quindi conformità al volere di Dio: è giusto colui che compie la volontà di Dio.

Rifletti

Nelle mie giornate riesco a seguire l’esempio di Gesù ed agire con mitezza e umiltà anche nelle situazioni difficili? Riesco a compiere la volontà di Dio? Riesco ad essere giusto?

Prega

O Gesù che ci hai insegnato
a chiedere a Dio Padre:
“Sia fatta la tua volontà”
e “Venga il Tuo regno”
fa’ che con la preghiera
riusciamo a realizzare la nostra relazione con Dio
e che si possa realizzare il Suo progetto di salvezza.


AUTORE: Claudia Lamberti e Gabriele Bolognini
FONTE: Ascolta e Medita – Centro Pastorale per l’Evangelizzazione e la Catechesi
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p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 18 Luglio 2020

Gesù è Signore del sabato sia nel dare da mangiare ai suoi discepoli che raccolgono spighe dai campi di grano, sia nel guarire l’uomo dalla mano inaridita. Se Lui è Signore del sabato, dicono fra di loro i farisei, il nostro potere dove va a finire?

Specchiamoci in questo quadro e vediamo il nostro eterno bisogno di potere, il nostro continuo bisogno di pensare di fare meglio degli altri, la nostra necessità di sconfiggere il bene che gli altri fanno. Viviamo una smania di dovere essere meglio degli altri che ci porta ad inaridirci, a non avere più mani adatte ad essere bene. La lotta succhia tutte le nostre energie di bene. Le nostre mani sono chiuse a pugno perché la lotta si fa dura.

Specchiamoci in questo atteggiamento farisaico e specchiamoci nelle mani del Signore del sabato che si apriranno per essere inchiodate all’albero della croce. Da lì scenderà il suo sangue versato per noi. La mano secca nella sfiancante ricerca del potere, che è potere di morte, si incontra con la mano del Figlio di Dio che esalta il suo potere sulla vita aprendo le sue mani sulla croce. Il dono della vita costerà la vita a Lui: questo è il prezzo che ha pagato per amor nostro. Questo è il prezzo che siamo chiamati a donare per amore dei fratelli.

            Gesù evita il conflitto perché non è interessato a conquistare il potere: si ritira in solitudine. Non combatte la violenza con la violenza. Finché può evita il conflitto, quando non potrà più berrà il calice della sua passione.

Ciò che noi facciamo fatica a cogliere nella vita di Gesù, è il fatto che Lui non accetta il malefico gioco della competizione. Ciò che vale vita è il non potere, ciò che è fonte di morte è la ricerca di potere. È una questione di posizione dominante sui mercati come sulla vita: tale posizione è fonte di morte, ha bisogno di morti, di vittime. Il non potere è fonte di vita perché dona la vita per i fratelli.

Nessuno oserebbe vivere tale atteggiamento, anche se una gran folla lo segue. Questo capita perché ormai Lui ha capito di essere per tutti nella sua passione. Gesù non lo si può conoscere veramente, nella sua passione per l’uomo e per il non potere, se non sotto la croce: solo lì conosciamo veramente il nostro Dio.

Gesù si ritira, non grida, non cerca rivalsa. Ricerca se stesso e la verità di se stesso al di là e al di sopra di quanto gli uomini lo provocano a cercare.

Lui, il Dio con noi, ci rimanda ad un’immagine che è fonte di scelta ogni attimo della nostra esistenza. È atteggiamento che cambia la vita. Per la nostra visione di vita non è una scelta migliorativa ma peggiorativa. Per la sapienza della croce tale scelta è l’apice perché da lì scaturisce la vita. Fiumi d’acqua viva sgorgheranno, infatti, dal suo cuore trafitto.

A questo punto non solo il popolo dei credenti, i figli che siedono a tavola, ma anche i cani pagani che si accontentano delle briciole cadute dalla sua tavola, mettono in Lui la speranza. Certi che Lui dona la vita, non la prende.

Non chi grida di più e si impone è degno di fede e di essere seguito. Non chi usa al meglio i mezzi di comunicazione per ottenere maggiore consenso è necessariamente colui che dona vita. Non chi gestisce la finanza, alta o bassa che sia poco importa, dona vita. Dona vita chi dona la propria vita: Gesù non grida, non vuole imporsi, non vuole dominare, semplicemente si pro-pone come servo. A noi accoglierlo nel silenzio della nostra esistenza dove la non vita non può e non deve entrare. 


AUTORE: p. Giovanni Nicoli 
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Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 18 Luglio 2020

Quella che leggiamo oggi è la più lunga citazione isaiana nel Vangelo secondo Matteo. È tratta dal passo che si considera solitamente come il primo canto del Servo. Lasciamo stare quale sia il significato storico di questa figura nel libro di Isaia, e limitiamoci all’intenzione dell’evangelista nel farla propria a questo punto del suo racconto. Appena prima (cf. Mt 12,9-14), assistiamo a una disputa di Gesù con i farisei in merito all’osservanza del sabato. Un uomo si presenta in sinagoga davanti a Gesù, e ha una mano paralizzata. Il problema che si pone è: “È lecito guarire in giorno di sabato?” (Mt 12,10). Il principio farisaico, e poi anche rabbinico, è che “la salvezza di un uomo prevale sul sabato”. Ma il problema che richiede discernimento è se una mano paralizzata sia un motivo sufficiente per essere considerato una salvezza che prevale sul sabato. Quest’uomo non è in pericolo di vita. Potrebbe essere guarito negli altri giorni della settimana. Invece Gesù lo guarisce proprio di sabato. Per lui vale un criterio ancora più generale: “In giorno di sabato è lecito fare del bene” (Mt 12,12). Non solo è lecito, ma anche doveroso. Il sabato per questo è stato creato: per la salvezza dell’uomo. 

Ed è qui che interviene la citazione matteana di Isaia 42,1-4, che ci presenta il Servo del Signore. Questi è l’uomo dotato dello Spirito del Signore per eseguire un giudizio (un “giudizio” più che una “giustizia”: il greco legge krísis e non dikaiosýne). È lui a operare un discernimento su cosa sia bene, un discernimento relativo alla salvezza. Difatti, il suo giudizio è connotato in maniera negativa. Per cinque volte si dice ciò che il Servo “non” fa: si tratta di una figura letteraria chiamata “litote”. Si afferma una cosa negando il suo contrario. Il Servo “non” contesta, “non” grida, “non” fa udire la sua voce sulle piazze, “non” spezza una canna incrinata, “non” spegne uno stoppino fumigante. Tradotto in positivo vuol dire ciò che il Servo fa: opera la salvezza. Non opera nessun giudizio clamoroso, altisonante, non toglie a nessuno il respiro, non spegne nessuna speranza. Il suo giudizio è ispirato a un’assoluta clemenza. È un giudizio di salvezza. Per questo è lecito guarire proprio di sabato, perché si deve sempre discernere qual è il bene delle persone e operare per la loro salvezza. 

Che cosa viene a insegnarci tutto questo? Che cosa vuol dire per noi? Il sabato non è soltanto un giorno della settimana: è il tempo che dedichiamo a Dio. E il tempo che dedichiamo a Dio, alla sua Parola, alla preghiera, è il tempo più benedetto e più prezioso per noi. Soprattutto è il tempo in cui ci asteniamo dal giudicare gli altri: non facciamo quello che siamo soliti fare nel tempo del lavoro. “Non” contestiamo nessuno, “non” gridiamo contro qualcuno, “non” alziamo la voce adirata, “non” spezziamo dei rapporti fragili, “non” spegniamo le poche attese residue che ci fanno ancora vivere. Apparentemente, è un tempo “perso”, inefficace, non lavorativo, ma in realtà è il tempo che opera la nostra salvezza.

fratel Alberto


Fonte

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Gesuiti – Commento al Vangelo del giorno, 18 Luglio 2020

Riunirsi per festeggiare, unire le forze per una causa comune, convergere con altri, anche sconosciuti, verso un luogo dove speriamo di incontrare una parola sensata, o una mano che possa aiutarci, guarirci. Gli umani non son creati per la solitudine. L’onestà drammatica del Vangelo: ci si può incontrare anche per fare il male, per confrontarsi e scegliere insieme dettagli e strategie dell’ingiustizia. Scendere dal letto e uscire di casa per celebrare la vita con altri o per bestemmiarla meglio.

La beffa della storia: i presunti esperti della legge di Dio si ritrovano per discernere come meglio violare lo spirito e la lettera del comandamento della vita («non uccidere!»), mentre molte vite incrinate e anonime, segnate forse dal sospetto («chi ha peccato, lui o i suoi genitori?»), si ritrovano inconsapevolmente dal lato dello Spirito di Dio.

Gesù si esercita nell’arte di vivere secondo il sogno di Dio: lontano dal consiglio degli empi, lontano fisicamente dalle loro piazze ma soprattutto da ciò che agita i loro cuori; raggiungibile e vicino per tutti quelli che sono animati dal fuoco santo della speranza, per sostenere con amore la loro fiammella, oggi e fino alla fine.

Matteo Suffritti SJ


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Fonte: Get up and Walk – il vangelo quotidiano commentato

don Claudio Bolognesi – Commento al Vangelo del 18 Luglio 2020

Dal Vangelo di oggi:
“Molti lo seguirono ed egli li guarì tutti e impose loro di non divulgarlo…” (Mt 12,15-16)

Da cosa li guaristi? Ognuno di noi ha qualche male che lo fa soffrire. Forse per alcuni era il bisogno di un leader da cui dipendere. La Tua è l’unica battaglia che non lascia vittime, ma salvati.