Vangelo del giorno e breve commento a cura di Don Francesco Cristofaro.
AUTORE: Don Francesco Cristofaro
FONTE: YouTube
SITO WEB:
CANALE YOUTUBE: https://www.youtube.com/channel/UC5QE8R_HI_h4XCN_31qhm5Q
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Venerdì della XVI settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)
L’evangelista Matteo insiste molto sulla fede praticata. La prima professione di fede è quella che si effettua con le opere della carità. Esse sono possibili nella misura in cui il seme della Parola di Dio è accolto in un cuore contrito e umiliato, cioè aperto e desideroso d’incontrare il Signore.
Il frutto, che sono le opere di misericordia, rivela se siamo come il terreno che si lascia lavorare, purificare e fecondare o siamo refrattari all’opera di Dio in noi. Leggendo in chiave missionaria la parabola ci rendiamo conto che il discepolo è chiamato a portare nel mondo la luce e la sapienza di Dio. Per essere autentici testimoni di Cristo dobbiamo offrire al mondo la salvezza di Dio non anatemi, soluzioni umane o, peggio ancora, noi stessi.
Tutto si gioca tra la semina e il raccolto del frutto, quindi tra l’ascolto e la fede professata attraverso le opere di Carità. Nel tempo di mezzo c’è quello che Matteo chiama il comprendere che è qualcosa di molto più ampio del capire. Dio ha parlato all’uomo in tanti modi attraverso i profeti, ora parla a noi attraverso Gesù, parola del Regno. Dire Regno significa alludere a Dio nell’atto di governare, prendersi cura di noi, entrare in relazione con noi attraverso cui rivelare non tanto segreti ma comunicare il suo Amore. Dio parla agli uomini alla maniera umana perché quello che Lui comunica possa essere accolto dall’uomo e attivare un processo attraverso il quale egli diventa capace di amare come è amato da Dio. Comprendere dunque non significa afferrare dei concetti e possederli ma lasciarsi trasformare nella mente. La comprensione di cui parla Gesù altro non è che la conversione ovvero il cambiamento di mentalità che si traduce in cambiamento di modo di vivere e relazionarsi.
È impossibile comprendere Dio ma Lui, diventando uomo e usando il nostro linguaggio ha reso comprensibile il suo amore, cioè la logica con la quale parla agendo e agisce parlando. Alcuni, trovando la scusa di non capire quello che c’è scritto nella Bibbia, si scoraggiano nel leggerla. La Bibbia contiene in un mirabile intreccio la parola di Dio e le parole degli uomini. Nella lettera del testo biblico palpita il cuore di Dio e quello degli uomini. Perché la parola di Dio entri nel cuore è necessario che passiamo dalla nostra pelle al cuore di quegli uomini le cui vicende e le cui parole interpretano il nostro vissuto e attraggono il nostro vissuto nel grande flusso della storia della salvezza guidata dal Signore. Questo passaggio non è automatico perché richiede una scelta di fede che si incarna nell’atteggiamento dell’apertura mentale e della fiducia, nella disponibilità a crescere umanamente senza accontentarsi di quello che si è, si sa o si fa, nell’accettare i tempi lunghi e ritmi, a volte ripetitivi, che il processo di maturazione richiede, nell’abbandonare pensieri che alimentano l’ansia.
L’ascolto e la comprensione, ovvero la conversione, che ha le sue tappe, le sue verifiche, il suo linguaggio e le sue scelte, culmina con il portare frutto, l’essere generativi. Il discepolo di Cristo nel momento cin cui si verifica non deve domandarsi cosa ha ottenuto o quali risultati ha conseguito, ma come ha ascoltato la Parola di Dio e in che modo la interiorizzata e tradotta in opere di amore?
Auguro a tutti una serena giornata e vi benedico di cuore!
Commento a cura di don Pasquale GiordanoPartiamo da una considerazione: per capire occorre ascoltare. Per crescere nella conoscenza occorre accogliere con intelligenza e disponibilità.
E già qui cadiamo molto male… la nostra contemporaneità si caratterizza per un paradosso insolubile: da una enorme disponibilità di informazioni rese possibile dai nuovi media e dalla rete di internet. Ma proprio questo enorme accumulo di informazioni diventa un problema: non abbiamo tempo per discernere, per distinguere, per ragionare, per capire e diventiamo superficiali, assecondando la nostra pigrizia mentale.
Figuriamoci, poi, se l’ascolto è rivolto alla Parola di Dio, piuttosto complessa, che richiede un minimo di studio e di preparazione per non farle dire delle emerite stupidaggini. L’ignoranza che abbiamo verso la Scrittura è sconfortante ma, come bene diceva san Girolamo: l’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo.
Detto questo dobbiamo poi vedere come accogliamo la Parola e la spiegazione fatta da Gesù sulla parabola del seminatore ci aiuta e ci incoraggia. Perseveriamo nell’ascolto perché il seme della Parola fruttifichi in noi!
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Strada, sassi, rovi e terreno buono sono descrizioni della nostra umanità. Se è vero che nessuno di noi si può dare la fede da solo, è però vero che ciascuno di noi può decidere con quale umanità vuole accogliere questo dono.
Perché il vero problema molto spesso non è la mancanza di fede, ma la mancanza di umanità da parte nostra nel riuscire a far tesoro di ciò che Dio ci semina dentro. C’è un’umanità necessaria alla base del nostro essere credenti. San Tommaso avrebbe detto che <<la grazia suppone la natura, non la crea>>, e con ciò avrebbe voluto dire che la fede non suppone che siamo già delle persone migliori: quello dipende dalle nostre scelte.
La fede è un dono che potrebbe essere sprecato. Ecco perché Gesù non si limita semplicemente a raccontare la parabola del seminatore ma ne fornisce anche una spiegazione. Lo fa perché credo che sia decisivo non fraintendere e capire fino in fondo cosa vuole dirci. Distratti, incostanti, ansiosi, sono solo l’inizio di un lungo elenco di modi di vivere che alla fine soffocano la stessa vita, la rovinano, la feriscono, la condannano a non portare frutto.
Nessuno di noi ovviamente si sveglia la mattina e vuole essere ansioso o incostante o superficiale, eppure delle volte lo siamo. La vita spirituale ci deve aiutare ad avere una grande lealtà nei confronti di noi stessi e a saper dire il nome proprio del nostro atteggiamento umano. Solo così possiamo anche trovare un modo di correggerci senza per forza passare attraverso l’umiliazione di un giudizio, ma attraverso il realismo di una diagnosi.
Un buon medico non ci umilia spiegandoci che abbiamo la febbre ma ce ne fa consapevoli dandoci anche la cura, la medicina, le cose da fare. La vera domanda non è perché siamo distratti, ma come possiamo curare la nostra distrazione. E così via per ognuna delle possibilità. A volte è la praticità che ci manca forse perché confondiamo lo spirituale con il teorico, mentre non c’è nulla di più concreto dello spirituale.
Ed è proprio quando riprendiamo sul serio la vita spirituale che sperimentiamo i frutti nella vita di ogni giorno.
AUTORE: don Luigi Maria Epicoco
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Il commento alle letture di domenica 26 Luglio 2020 a cura dei Missionari della Via.
Anche nel Vangelo di questa domenica, Matteo ci presenta le ultime parabole raccolte nel capitolo tredicesimo. Gesù nelle sue parabole (oscure alla folla ma spiegate in disparte a chi vuol capire) fa ricorso a delle immagini di vita concreta.
Soffermandoci sulle prime due parabole, vi sono due uomini che vendono i loro tesori nascosti anche ai loro occhi, e un contadino e un mercante li trovano e li comprano. I due che vendono hanno qualcosa di prezioso tra le mani eppure non se ne accorgono! Non siamo noi cristiani che spesso, molto spesso viviamo il nostro rapporto con Cristo in maniera così fredda e distratta che abbiamo perso cammin facendo la gioia e siamo diventati ciechi a indifferenti al gran tesoro che abbiamo fra le mani? Il risultato è che ultimi, poveri, prostitute, peccatori ci passano avanti perché loro hanno comprato il campo e la perla mentre noi li abbiamo venduti per un piatto di lenticchie!
Due comprano. Uno trova il tesoro mentre lavora, il commerciante trova la perla cercando. Due modi diversi, ma il Vangelo è liberante: Gesù si manifesta in modo sempre diverso, il rischio che noi corriamo è quello di volerlo incanalare nei nostri pensieri e schemi. Leggendo la vita di tanti santi scopriamo invece che ad ognuno di loro Dio si è rivelato in maniera differente. Santa Teresa d’Avila diceva addirittura che Dio passa anche “fra le pentole della cucina”, che è il nostro campo di ogni giorno, là dove si vive, si lavora e si ama. Quindi attenzione ad assolutizzare il proprio modo di vedere e intendere le cose!
Cosa accade quando uno trova il tesoro e la perla? Pieni di gioia vendono tutto e comprano. La gioia, il tesoro trovato, dona il tesoro della gioia. L’aver trovato il tesoro che ci ha donato la gioia è il carburante che ci fa correre, per cui vendere tutti gli averi non porta con sé nessuna tristezza di rinuncia, perché ci sta prima l’aver trovato qualcosa di più grande, qualcosa al cui cospetto tutto passa in secondo piano.
«Il contadino e il mercante vendono tutto, ma per guadagnare tutto. Lasciano molto, ma per avere di più. Non perdono niente, lo investono. Così sono i cristiani: scelgono e scegliendo bene guadagnano. Non sono più buoni degli altri, ma più ricchi: hanno investito in un tesoro di speranza, di luce, di cuore. I discepoli non hanno tutte le soluzioni in tasca, ma cercano, Colui che li sta già cercando. Mi piace accostare a queste parabole un episodio accaduto a uno studente di teologia, all’esame di pastorale. L’ultima domanda del professore lo spiazza: «come spiegheresti a un bambino di sei anni perché tu vai dietro a Cristo e al Vangelo?». Lo studente cerca risposte nell’alta teologia, usa paroloni, cita documenti, ma capisce che si sta incartando. Alla fine il professore fa: «digli così: lo faccio per essere felice!». È la promessa ultima delle due parabole del tesoro e della perla, che fanno fiorire la vita» (Ermes Ronchi).
Dammi la grazia, o Signore, di essere un cristiano che sa custodire quanto di buono e bello Tu mi hai donato, e fa che non smetta mai di cercare il tuo tesoro infinito sempre anelato e mai veramente tutto posseduto!
Posso dire che Cristo è “il mio tesoro”?
Cerco il Signore durante le mie giornate? Cerco di amarlo in ogni cosa che faccio?
Vivo la vita cristiana come una serie di cose da fare o da non fare, o vivo cercando il bene, il meglio in ogni cosa?
Immagine by Benjamin Sz-J. from Pixabay
Buongiorno brava gente e pace e bene.
Oggi condividiamo alla luce del Vangelo la pagina del tralcio alla vite…. San Francesco commenterà seguiamo le sue orme…..
Gesù ci ama infinitamente, ed è l’unico a renderci beati perché è lo Sposo fedele che, nella Chiesa dove ci ha chiamati per pura Grazia, ci rivela ogni mistero del suo cuore. In essa possiamo infatti “ascoltare” la sua Parola mentre la “vediamo” compiuta nella nostra vita. In questo modo il Signore ci sono spiega le Parabole, immagini tratte dalla realtà che svelano innanzitutto i pensieri dei nostri cuori, per poi illuminare quelli di ogni uomo. Anche noi eravamo meritevoli d’ira, come tutti, ma nelle viscere di misericordia della Chiesa il Signore ci ha aperto occhi e orecchi per mezzo dello Spirito Santo: “Proprio questi sono i figli, i signori, gli dei: gli schiavi, i prigionieri, i disprezzati, i crocifissi…
Questi, unti con l’unguento estratto dal legno della vita, Gesù Cristo, e dalla pianta celeste, sono resi idonei a raggiungere il culmine della perfezione, del Regno e dell’adozione; infatti quelli che sono intimi del Re del Cielo, e ancorati alla fiducia dell’Onnipotente, entrano fin da questo mondo nel suo palazzo… e neppure si meravigliano come di cosa insolita e nuova di essere chiamati a regnare con Cristo, grazie allo Spirito che li colma di fiducia. Perché, mentre ancora vivono sulla terra, sono posseduti da quella soavità e dolcezza, da quella forza che è propria dello Spirito. Poiché già prima hanno potuto conoscere i misteri della Grazia… Noi infatti, pur vivendo ancora sulla terra, abbiamo in Cielo la nostra cittadinanza, vivendo secondo il nostro uomo interiore come se già fossimo nell’eternità” (Da un’antica Omelia del IV secolo).
Gesù dunque ci rivela i misteri del Regno facendocene sperimentare un anticipo nella beatitudine celeste che scaturisce dall’amore che, riversato nei nostri cuori, si traduce in pensieri, parole e opere soprannaturali come il perdono che abbraccia anche chi ha tradito, il dono di se stessi sino a caricare il peccato dell’altro, accettare malattie e umiliazioni sul lavoro. Anche quando Gesù non spiega qualche avvenimento doloroso, ce ne rivela il senso nella profondità del cuore, dove il suo amore illumina ogni istante della nostra storia. SI tratta della “esah” di Dio, la volontà misteriosa nella quale Egli conduce Giobbe ad esempio, intraducibile nei lessici occidentali, un progetto d’amore pensato e calibrato nei particolari, che si incarna nella nostra storia concreta, passata, quella presente, quella futura.
Il senso profondo di ogni parabola infatti, è che Dio è fedele in ogni sua opera, perché sulla Croce ha svelato il mistero del suo amore che rovescia ogni prospettiva e criterio umano, muovendo a compiere la volontà di Dio che la carne non può accettare,in una consegna di sé che solo l’amore ricevuto può realizzare. Chi ha il cuore indurito non lo sa, per questo di fronte al male e alla morte non ha parole, se non la solita indignazione coagulata in frasi rancide di retorica e proclami effimeri. E a un popolo di dura cervice, a questa generazione incredula e perversa siamo inviati come una parabola che desti gli uomini alla Verità. Chiunque non ha conosciuto Dio come suo Padre è idolatra, per questo, come gli idoli, “pur vedendo non vedono, e pur udendo non odono e non comprendono… sono infatti diventati duri di orecchi, e hanno chiuso gli occhi, per non vedere con gli occhi, non sentire con gli orecchi e non intendere con il cuore e convertirsi, e io li risani”.
Ma a tutti è offerta una possibilità: la beatitudine dei cristiani, sigillo di autenticità impresso sull’amore di Dio Padre, la gioia autentica e la pace inossidabile che siamo chiamati a vivere e a rivelare mentre siamo crocifissi con Cristo. Solo su di essa, infatti, i nostri occhi sono beati perché vedono il compimento di ogni profezia nel sacrificio d’amore dell’Agnello che molti profeti e giusti hanno desiderato vedere; e sono beati anche i nostri orecchi perché nella Chiesa possono ascoltare l’annuncio della sua vittoria, primizia del Regno i cui misteri risplendono dinanzi al mondo nella vita nuova che si compie in noi.
Stai con me, e io inizierò a risplendere come tu risplendi,
a risplendere fino ad essere luce per gli altri.
La luce, o Gesù, verrà tutta da te:
nulla sarà merito mio.
Sarai tu a risplendere, attraverso di me, sugli altri.
Fa’ che io ti lodi così nel modo che tu più gradisci,
risplendendo sopra tutti coloro
che sono intorno a me.
Dà luce a loro e dà luce a me;
illumina loro insieme a me, attraverso di me.
Insegnami a diffondere la tua lode,la tua verità, la tua volontà.
John Henry Newman
AUTORE: don Antonello Iapicca
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Gesù, con due parabole simili, brevi e lampeggianti, dipinge come su un fondo d’oro il dittico lucente della fede. Evoca tesori e perle, termini bellissimi e inusuali nel nostro rapporto con Dio.
Lo diresti un linguaggio da romanzi, da pirati e da avventure, da favole o da innamorati, non certo da teologi o da liturgie, che però racconta la fede come una forza vitale che trasforma la vita, che la fa incamminare, correre e perfino volare. Annuncia che credere fa bene! Perché la realtà non è solo questo che si vede: c’è un di più raccontato come tesoro, ed è accrescimento, incremento, intensità, eternità, addizione e non sottrazione .
«La religione in fondo equivale a dilatazione» (G. Vannucci). Siamo da forze buone misteriosamente avvolti: Qualcuno interra tesori per noi, semina perle nel mare dell’esistenza, «il Cielo prepara oasi ai nomadi d’amore» (G. Ungaretti). Trovato il tesoro, l’uomo va, pieno di gioia, vende tutto e compra quel campo. Si mette in moto la vita, ma sotto una spinta che più bella non c’è per l’uomo, la gioia.
Che muove, mette fretta, fa decidere, è la chiave di volta. La visione di un cristianesimo triste, che si innesca nei momenti di crisi, che ha per nervatura un senso di dovere e di colpa, che prosciuga vita invece di aggiungerne, quella religiosità immatura e grigia è lontanissima dalla fede solare di Gesù. Dio ha scelto di parlarci con il linguaggio della gioia, per questo seduce ancora.
Viene con doni di luce avvolti in bende di luce (Rab’ia). Vale per il povero bracciante e per l’esperto mercante, intenditore appassionato e ostinato che gira il mondo dietro il suo sogno. Ma nessun viaggio è lungo per chi ama. […]
Continua a leggere tutto il testo del commento su Avvenire
AUTORE: p. Ermes Ronchi
FONTE: Avvenire
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Mons. Costantino Di Bruno – Commento al Vangelo del 24 Luglio 2020
Il commento alle letture del 24 Luglio 2020 a cura di Mons. Costantino Di Bruno, Sacerdote Diocesano dell’Arcidiocesi di Catanzaro–Squillace (CZ).
Viene il Maligno e ruba
VENERDÌ 24 LUGLIO (Mt 13,18-23)
Il Maligno ruba personalmente, ma ruba anche attraverso coloro che gli appartengono, che sono suoi. Oggi sta rubando la Parola di Dio da ogni cuore attraverso ladri che visibilmente sembrano pastori di Cristo Gesù, in realtà sono suoi ministri. Così Gesù nel Vangelo secondo Giovanni: “«In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei. Io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza. Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore” (Gv 10,1-13). il Maligno è riuscito, oggi, servendosi di maestri e dottori, a rubare la verità contenuta in ogni Parola della Scrittura Santa. La Parola senza la verità dello Spirito Santo a nulla serve.
San Paolo parla di falsi apostoli e di operai fraudolenti: “Io provo per voi una specie di gelosia divina: vi ho promessi infatti a un unico sposo, per presentarvi a Cristo come vergine casta. Temo però che, come il serpente con la sua malizia sedusse Eva, così i vostri pensieri vengano in qualche modo traviati dalla loro semplicità e purezza nei riguardi di Cristo. Infatti, se il primo venuto vi predica un Gesù diverso da quello che vi abbiamo predicato noi, o se ricevete uno spirito diverso da quello che avete ricevuto, o un altro vangelo che non avete ancora sentito, voi siete ben disposti ad accettarlo. Ora, io ritengo di non essere in nulla inferiore a questi superapostoli! Questi tali sono falsi apostoli, lavoratori fraudolenti, che si mascherano da apostoli di Cristo. Ciò non fa meraviglia, perché anche Satana si maschera da angelo di luce. Non è perciò gran cosa se anche i suoi ministri si mascherano da ministri di giustizia; ma la loro fine sarà secondo le loro opere” (2Cor 11,1-15). I mali della Chiesa sono generati dal suo interno, mai dal suo esterno. Satana sa che, trascinando un operaio di Cristo Gesù dalla sua parte, i danni da esso provocati alla Chiesa saranno ingenti e irreparabili.
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore. Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l’accoglie subito con gioia, ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno. Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto. Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno».
Ognuno nel regno di Dio ha le sue responsabilità eterne. L’apostolo deve sempre seminare il buon grano della Parola di Dio, secondo purezza di verità e di dottrina. Se lui non semina il buon grano, è responsabile di tutti coloro che si perdono per la sua cattiva semina. La stessa responsabilità eterna è per maestri, dottori, profeti, evangelisti, ministri della Parola. La Parola non solo va seminata, ma anche spiegata secondo purezza di luce eterna. Anche chi spiega la Parola è responsabile in eterno dinanzi a Dio. Chi invece riceve la Parola, deve porre ogni attenzione. La dovrà custodire gelosamente nel suo cuore e chiedere allo Spirito Santo una comprensione sempre più profonda. Per questo dovrà anche liberarsi da ogni vizio, trasgressione dei Comandamenti, farsi un bell’abito di virtù. Così la Parola produrrà frutti buoni.
Madre di Dio, Angeli, Santi, fateci annunziatori fedeli della Parola della salvezza.
Fonte | @MonsDiBruno
Nota: Questo commento al Vangelo è gratuito pertanto l’autore non autorizza un fine diverso dalla gratuità.