Buongiorno brava gente e pace e bene.
Oggi condividiamo alla luce del Vangelo la domanda indiretta di Gesù: che terreno siamo? Di che pasta siamo fatti…
E chiediamo a san Francesco di donarci la forza di essere terreno buono…..
Buongiorno brava gente e pace e bene.
Oggi condividiamo alla luce del Vangelo la domanda indiretta di Gesù: che terreno siamo? Di che pasta siamo fatti…
E chiediamo a san Francesco di donarci la forza di essere terreno buono…..
Il Vangelo di questa domenica, contiene due mini-parabole, non più di un versetto ciascuna, ma di portata incalcolabile. La prima dice:
“Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo;
un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia,
vende tutti i suoi averi e compra quel campo”.
Gesù si è servito fin qui di immagini di vita agricola. Ora ripete lo stesso concetto con un’immagine tratta dal mondo del commercio, in modo da farsi capire anche dalla seconda grande categoria del tempo che erano appunto i commercianti. Dice:
Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose;
trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra.
C’è il rischio di scambiare queste parabole per due simpatici quadretti di vita. Invece ci troviamo davanti a due potenti squilli di tromba, capaci, se uno ne comprende il significato, di non lasciarlo più tranquillo per il resto della vita. Cosa voleva dire infatti Gesù? Più o meno questo. È scoccata l’ora decisiva della storia. È apparso in terra il regno di Dio! Cioè, che cosa? Quello che i patriarchi hanno atteso, che i profeti e i re avrebbero voluto vedere, ma non hanno visto: Dio che viene a salvare il suo popolo, a riscattarlo dal peccato e dalla morte, a introdurlo nella sua intimità.
Gesù altrove chiama tutto questo il “vangelo”, “la buona notizia”, la notizia tanto attesa: “Il tempo è compiuto, e il regno di Dio è vicino: convertitevi e credete al vangelo”. Concretamente, si tratta di lui, della sua venuta sulla terra. Il tesoro nascosto, la perla preziosa non è altri, in fondo, che Gesù stesso.
È come se Gesù con quelle parabole volesse dire: la salvezza è venuta a voi gratuitamente, per iniziativa di Dio, prendete la decisione, afferratela, non lasciatevela sfuggire. Questo è tempo di decisione. Capita, a volte, di vedere dei negozi di lusso con fuori scritto: “Offerta speciale. Affrettarsi. Tempo limitato a due settimane!” e la gente si accalca per non perdere l’occasione.
Mi viene anche in mente quello che successe il giorno che finì la guerra. In città i partigiani o gli alleati, non ricordo, aprirono i magazzini delle provviste lasciate dall’esercito tedesco in ritirata. In un baleno la notizia arrivò nelle campagne e tutti di corsa ad attingere a tutto quel ben di Dio, tornando chi carico di coperte, chi con ceste di prodotti alimentari.
Penso che Gesù con quelle due parabole voleva creare un clima del genere. Come per dire: “Correte finché siete in tempo! C’è un tesoro che vi aspetta, una perla preziosa. Non lasciatevi sfuggire l’occasione”. Solo che nel caso di Gesù la posta è infinitamente più seria. Si gioca il tutto per tutto. Il Regno è l’unica cosa che ci può salvare dal rischio supremo della vita che è quello di fallire il motivo per cui siamo in questo mondo.
Viviamo in un società che… vive di assicurazioni. Ci si assicura contro tutto. In certe nazioni è diventata una specie di mania. Ci si assicura anche contro il rischio del mal tempo durante le vacanze. Tra tutte, la più importante e frequente è l’assicurazione sulla vita. Una cosa buona, per carità, non voglio metterla in discussione. Ma riflettiamo un momento: a chi serve una tale assicurazione e contro che cosa ci assicura? Contro la morte? No di certo! Assicura che, in caso di morte, qualcuno riceverà un indennizzo.
Il regno dei cieli è anch’esso una assicurazione sulla vita e contro la morte, ma una assicurazione reale, che giova non solo a chi resta, ma anche a chi va, a chi muore. “Chi crede in me, anche se muore, vivrà”, dice Gesù. E sappiamo che non sono parole vuote. Pietro ha creduto in lui e vive ora più di quando era in vita e pescava sul lago; Paolo ha creduto in lui e vive. C’è qualcuno che dubita che Paolo apostolo vive? Anche se non crede al cielo e al paradiso, guardi sulla terra. Chi, tra gli antichi, è oggi più vivo, più letto, più studiato tra noi? Francesco d’Assisi ha creduto in lui, e vive. Per non parlare, naturalmente, della madre di lui, Maria, che “ha creduto” e vive. Vive nel cuore di milioni di persone che la “proclamano beata”, vive anche nelle infinite opere d’arte che ha ispirato.
Si capisce allora anche l’esigenza radicale che un “affare” come questo pone: vendere tutto, dare via tutto. In altre parole, essere disposti, se necessario, a qualsiasi sacrificio. Non per pagare il prezzo del tesoro e della perla, che per definizione sono “senza prezzo”, ma per essere degni di essi. Perché non si può tenere il piede in due staffe, o, come diceva Gesù, servire due padroni. Mettere sullo stesso piano questo tesoro e un altro tesoro, fosse pure, dice Gesù, il proprio occhio e la propria vita, significherebbe “disprezzarlo”, tradirlo.
Nel Cantico dei cantici si dice che “se uno desse tutte le ricchezze della sua casa in cambio dell’amore, non ne avrebbe che dispregio” (Cantico dei Cantici 8,7): cioè, non avrebbe dato ancora nulla, tanto l’amore è superiore a tutte le ricchezze. E se questo vale per l’amore umano, vale infinitamente di più per l’amore che non avrà mai fine, che sarà pieno, totale.
Confesso che ho quasi paura a spiegare queste due parabole di Gesù. Perché esse, oggi come allora, creano in chi le ascolta una tremenda responsabilità. Adesso sai; la notizia dell’esistenza del tesoro e della perla è giunta anche a te. L’ora della decisione è scoccata anche per te che hai ascoltato, e naturalmente, ancor prima, per me che ho parlato. Sta a noi decidere se continuare a cincischiare con la vita, in attesa che essa ci sfugga dalle mani, o fare invece la cosa seria.
A questo riguardo, vorrei attirare ora l’attenzione su un aspetto trascurato delle due parabole. In ognuna di esse vi sono, in realtà, non uno, ma due attori: uno palese che va, vende, compra, e uno nascosto, sottinteso. L’attore sottinteso è il vecchio proprietario che non si accorge che nel suo campo c’è un tesoro e lo svende al primo richiedente; è l’uomo o la donna che possedeva la perla preziosa, e non si accorge del suo valore e la cede al primo mercante di passaggio, forse per una collezione di perle false, bigiotteria da nulla.
La domanda che ora ci dobbiamo porre è semplice: noi, a quale dei due attori somigliamo? La risposta non ci fa molto onore. Noi gente del vecchio continente – italiani, francesi, tedeschi, spagnoli e via dicendo- siamo, nelle due parabole, “il villano della storia”. Siamo il contadino stolto e il mercante sconsiderato. Nostro era il campo con il tesoro, nostra la perla preziosa. Noi conoscevamo Cristo, avevamo la fede, nostre erano le promesse, nostro il regno di Dio.
Ma, eccetto una minoranza sempre più esigua, abbiamo svenduto la fede. Chi l’ha barattata per un’ideologia, chi per i soldi, chi per pigrizia, chi semplicemente per l’andazzo del tempo, che fa sembrare chic mostrarsi agnostici, superiori a queste cose, “gente di mondo”, come si dice. Abbiamo venduto, o stiamo vendendo, anche noi la primogenitura per un piatto di lenticchie, come fece Esaù. Altro che disposti a dare via tutto, pur di non perdere Dio e la fede! Non siamo neppure capaci di dare una mezz’ora di tempo per andare la Domenica a rinfrescare la nostra fede nel contatto con la parola di Dio e il corpo di Cristo!
Per molti battezzati, l’ultima preoccupazione della vita è il regno di Dio. Lo dicono anche a volte con ostentazione. “Dio, la Chiesa, la fede? Non mi interessano, vivo bene così, ne faccio volentieri a meno!”. Quanto è pericoloso questo atteggiamento! E se avesse ragione il vangelo? Che farai?
Ma non voglio terminare su questa nota triste, senza, anche questa volta, dare “una ragione di speranza” a chi ascolta. Tornando alle due parabole, notiamo una cosa. Non è detto: “Un uomo vendette tutto quello che aveva e si mise alla ricerca di un tesoro nascosto”. Sappiamo come vanno a finire le storie che cominciano così. Uno perde quello che aveva e non trova nessun tesoro. Storie di illusi, di visionari.
No: un uomo trovò un tesoro e perciò vendette tutto quello che aveva per acquistarlo. Bisogna, in altre parole, aver trovato il tesoro per avere la forza e la gioia e di vendere tutto. Fuori parabola: bisogna aver prima incontrato Gesù, averlo incontrato però in maniera nuova personale, convinta. Averlo scoperto come proprio amico e salvatore. Dopo sarà uno scherzo vendere tutto. Lo si farà “pieni di gioia” come quello scopritore di cui parla il vangelo.
Fonte: il sito di p. Raniero
Qui tutti i commenti al Vangelo domenicale di p. Cantalamessa
Vorrei tanto ritrovarmi nel gruppo dei discepoli che osano avvicinarsi a Gesù per essere messi a parte di uno sguardo nuovo sulla realtà e riuscire a vedere quello che ad occhio nudo non si riesce a cogliere.
In un tempo in cui il disincanto sembra essere la categoria che più rilegge il nostro vivere, siamo invitati ad apprendere l’arte di stupirci. Di cosa? Di un Dio che instancabilmente si rivolge all’uomo perché venga rigenerato mediante il dono della sua Parola, proprio come l’acqua rigenera un suolo riarso. Dio ci parla continuamente. E lo fa nei modi più diversi. Senz’altro attraverso il dono della sua Parola proclamata nella liturgia o ascoltata nel chiuso della nostra camera; attraverso il dono dell’esistenza o la grazia di un’amicizia, mediante un evento di luce come per mezzo di un momento di fatica. Sempre Dio parla al nostro cuore. Sappiamo tutti la risonanza positiva che esercita su di noi il fatto che qualcuno ci parli, che non ci consegni mutismo, come conosciamo altresì l’angoscia patita quando qualcuno distoglie da noi il suo sguardo e ci toglie la parola. No: Dio non si ritrae mai in un atteggiamento risentito. È un infaticabile tessitore di dialogo. Per lui non esiste un tempo in cui egli non getti il seme della sua Parola. Ci parla persino nella morte e attraverso il silenzio a tutta prima infecondo di un sabato santo.
Non esistono condizioni previe perché questo accada: egli, infatti, non ha preferenze di luoghi o di persone. Se nell’agricoltura perché il sema porti frutto è necessario preparare il terreno, non così per Dio: ogni terreno è adatto alla possibilità che il seme attecchisca e germogli. “Il sasso può diventare una terra fertile, la strada non essere più calpestata dai passanti e diventare un campo fecondo, le spine essere sradicate e permettere al seme di dare frutto liberamente” (S. Giovanni Crisostomo). Quando ciò non accade non è perché io non sia stato raggiunto dalla sua Parola ma perché, verosimilmente, o non l’ho riconosciuta o, se l’ho riconosciuta, non l’ho accolta con docibilità, che è la capacità propria di chi si lascia plasmare continuamente dalla parola che ascolta. La fecondità del seme, infatti, non è legata alla misura del frutto ma alla qualità dell’accoglienza.
Il solo fatto che il Signore scelga di cadere nel solco della nostra vita (sia esso fatto di spine o di pietre o dell’aridità della strada) è già motivo per sperare contro ogni speranza.
È vero: l’intelligenza si apre quando l’uomo è in grado di tornare alla meraviglia, allo stupore. Ed è proprio ciò di cui più abbiamo bisogno. Quanto ha fatto Dio per rendere fertile il nostro cuore! Più che fissare lo sguardo sulla nostra pochezza, allora, abbiamo bisogno di non distoglierlo dalla prodigalità con cui Dio si prende cura di noi. Nasce da qui la possibilità di imparare a coltivare noi stessi che equivale a lasciarsi coltivare da Dio.
Nel gesto largo della semina è contenuto l’invito a non aver paura dello spreco: accade sovente di chiedersi se davvero valga la pena fare una cosa, accompagnare un percorso, investire in un certo campo. In genere chi si pone questa domanda sposta l’attenzione sulle condizioni oggettive di ciò che è esterno da noi. L’invito, invece, che soggiace alla parabola del seminatore, è quello di non smettere di vivere di fiducia, nonostante i numerosi fallimenti. L’esito della semina, infatti, non è già precostituito: quante volte, infatti, abbiamo visto spuntare qualcosa di nuovo proprio là dove non ce lo saremmo aspettato! C’è uno sguardo da levare, ripete a noi Gesù, proprio come fece con i discepoli dopo l’incontro con la Samaritana: “Levate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura” (Gv 4,35). Vorremmo volentieri stabilire noi i criteri per misurare tanti nostri investimenti e forse ci mancano gli occhi capaci di riconoscere ciò che Dio sta già facendo spuntare proprio attorno a noi. La capacità di seminare sempre e ovunque non è proporzionale alla preoccupazione del raccolto ma alla grandezza del cuore: solo un cuore dilatato non lesina gesti e parole.
La parabola del seminatore, infatti, ci parla di Dio e del suo cuore. Anche se sa che il suo amore potrà non essere accolto e perciò potrà andare sprecato, Dio non cessa di riversarlo con abbondanza e senza risparmio. Anche di fronte alla resistenze più manifeste e persino di fronte all’opposizione più dura, Dio non cessa di mettere a parte l’uomo della sua volontà di comunione con lui.
AUTORE: don Antonio Savone
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Non è facile per noi abituarci a queste piccole quantità di successo, Gesù. Se facciamo due conti, non conviene: è molto di più io seme perso che quello che porta frutto. E noi, si sa, abbiamo bisogno che una cosa sia conveniente.
Ma poi tu ci dici che questo sene porterà frutto per tutto il seme perso e allora nulla sarà stato inutile! Insegnaci a tentarci sempre, fino a quando riusciremo a trovare il terreno che porta frutto.
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Ed ecco sentiamo una delle parabole più belle, quella del seme. Ci potremmo domandare: che senso ha spiegare una parabola di per sé così chiara? nella sua forma originale , Gesù, raccontando questa parabola, sembra voler raccontare l’agire di Dio nella storia dell’umanità, mettendo l’attenzione sulla gratuità di Dio nel diffondere la sua parola senza alcun invito alla produttività umana perché tutto è grazia, tutto viene da Dio.
Matteo invece sembra focalizzarsi non tanto sul il seminatore o sul seme ma sulla recezione dell’annuncio da parte degli ascoltatori. La domanda che sorge dalla spiegazione matteana sembra essere proprio questa: tu quale terreno sei? È una bella domanda, non credete? Chi ha orecchi, Ascolti!
Fonte: Telegram
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Un luogo dove ascoltare ed approfondire la Parola con l’apporto di P. Arturo, missionario comboniano ?? ???????????, teologo biblista. Se vuoi comunicarti con loro, scrivici a paturodavar @ gmail.com BUON CAMMINO!!!
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La meditazione di questa pagina mi fa pensare, ancora una volta, che nella vita non è importante ascoltare… ma ciò che è importante è COME si ascolta… e questo vale sia per le relazioni con gli altri… che per le relazioni con Dio… con la Sua Parola…
Il COME fa la differenza… ci dice che c’è uno stile da seguire… c’è uno stile da assumere… ed è lo stile di chi sa che l’ascolto dell’altro e dell’Altro aiuta a crescere…
Ma oggi mi sono soffermato anche su un’altra considerazione…
Il Maligno può rubare ciò che è stato seminato nel cuore…
Mamma mia che cosa brutta… mamma mia che rischio che corriamo…
Proprio così: nessun luogo è sicuro se non lo difendiamo…
Il Signore può parlare… seminare dentro il nostro cuore la Sua Parola… la Sua presenza… santi propositi… grandiosi progetti… ma anche importanti desideri… relazioni… ma niente è definitivamente al sicuro… se non viene costantemente e con forza difeso!
E se ci tieni davvero… fai tutto per difendere questi doni preziosi che più preziosi sono… più verranno attaccati dal Maligno!
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AUTORE: Don Antonio Mancuso
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Tante volte a fine giornata è difficile ricordare il vangelo del giorno, ma questo capita anche alla fine della stessa messa. Da cosa deriva questo? Non è solo una debolezza della memoria, è qualcosa di più profondo, che tocca la propria dimensione spirituale. Gesù afferma che chi non comprende la Parola che ha ascoltato è soggetto all’azione del Maligno che ruba quanto è stato seminato nel cuore. Il messaggio della Parola di Dio non si ricorda tutte le volte in cui non viene compreso, non viene fatto proprio, inserito all’interno del proprio vissuto.
La vita infatti è come il terreno in cui deve essere inserita la Parola di Dio per potersi radicare e crescere. Quando ascolti la Parola, ma se non ti fermi a riconoscere come ti tocca il cuore, ecco che diventa un seme destinato a morire, a non essere ricordato. Saranno sufficienti le piccole o grandi preoccupazioni della giornata ad allontanare dalla tua mente e dal tuo cuore il messaggio della Parola di Dio. A fine giornata, prima o dopo cena, chiediti: qual era il messaggio della Parola di Dio di oggi? In che modo l’ho fatto mio?
In breve
Se non riconduci alla tua vita il messaggio della parola di Dio, il tuo ascolto è incompleto e puoi dimenticarlo con molta più facilità.
Di don Vincenzo Marinelli anche il libretto:
Commento a cura di don Vincenzo Marinelli
Il verbo “comprendere” è decisivo per la spiegazione della parabola del seminatore offerta dall’evangelista Matteo. Infatti il termine greco “syniemi”, letteralmente “insieme+mandare, lanciare, inviare” si ritrova già nella versione greca della profezia di Isaia: «Ascoltate pure, ma senza comprendere» (Is 6,9).
In ebraico leggiamo “byin”, cioè distinguere, discernere; la traduzione greca rimanda invece a una missione comunitaria ma anche e soprattutto alla sintesi che metta insieme il prima e il dopo, il fuori e il dentro, la resistenza e la fragilità, l’idea e la realtà, la Parola e la Vita. Questa è la relazione tra il seme, offertoci in dono sin dentro il cuore delle nostre decisioni più importanti, e il nostro terreno da mantenere ben concimato.
Questo “comprendere” ha a che fare con una decisione, con la nostra volontà, con la nostra libertà: è una assimilazione esistenziale, come il pane eucaristico che ci rende pane per sfamare gli altri. Scegliendo di distinguere la Parola di Dio in mezzo a tanto disturbo e scegliendo di integrarla nella nostra vita – anch’essa dono per noi – il seme getta solide radici che superano le indecisioni interne e germogli vigorosi che vincono gli ostacoli esterni.
Sino a moltiplicare, per mezzo del nostro corpo, tutto l’amore ricevuto da Dio per ridonarlo gli altri con la nostra speciale e plurale sensibilità.
Piotr Zygulski, nato a Genova nel 1993, dopo gli studi in Economia all’Università di Genova ha ottenuto la Laurea Magistrale in Filosofia ed Etica delle Relazioni all’Università di Perugia e in Ontologia Trinitaria all’Istituto Universitario Sophia di Loppiano (FI), dove attualmente è dottorando in studi teologici interreligiosi. Dirige la rivista di dibattito ecclesiale “Nipoti di Maritain” (sito).
Tra le pubblicazioni: Il Battesimo di Gesù. Un’immersione nella storicità dei Vangeli, Postfazione di Gérard Rossé, EDB 2019.
Collochiamo innanzitutto il brano nel suo contesto. Gesù seduto sulla riva del lago di Tiberiade fa il suo grande discorso alla folla sul regno dei cieli ed inizia raccontando la parabola del seminatore. Ai discepoli intervenuti per chiedergli il perché delle parabole Gesù risponde che la sua parola è destinata ad essere compresa solo da chi già ha avuto la grazia di essere suo discepolo, mentre la folla è destinata a non capire. In altre parole, Gesù non sta facendo evangelizzazione, ma catechesi. Qui inizia il brano con la spiegazione rivolta ai discepoli della parabola del seminatore che stiamo meditando. In effetti il regno dei cieli, e quindi parabola e spiegazione, sono argomenti per chi la parola di Gesù l’ha ascoltata ed accolta. Proprio come noi, che siamo quindi sollecitati a trarne insegnamento.
Dal seme caduto sulla strada, quindi allo scoperto, si può imparare che la parola va meditata e ben compresa dentro di sé prima di proclamarla e di metterla in pratica.
Come i sassi per un germoglio, così il conformismo e le contrarietà impediscono alla parola di ben radicare nel nostro cuore pregiudicandone il pieno sviluppo.
Le lusinghe del mondo possono essere fatali per un cuore fecondato dalla parola, come i rovi per una pianta che ci si trova in mezzo.
Ma che gioia quando il seme si trova in terra buona! La pianta cresce vigorosa, dà frutto e il frutto a sua volta dà altri semi.
“Produce ora il cento, ora il sessanta ora il trenta”. Questo tipo di modo di dire viene espresso di solito nella sequenza contraria, cioè in crescendo. Vien fatto quindi di pensare che l’evangelista Matteo, esprimendola in questa forma, volesse dire qualcosa. Se così è, forse Matteo ci vuol dire che ciò che conta è il frutto, non la quantità. Un po’ come con gli operai della vigna, pagati tutti alla stessa stregua indipendentemente dalle ore di lavoro fatte perché “così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi”.
Le difficoltà che incontriamo
nel mettere in pratica la tua parola, Signore,
sono molte e Tu sai quanto sia debole la nostra fede.
Ti preghiamo se possibile di risparmiarcele,
altrimenti aiutaci tu a superarle.
AUTORE: Claudia Lamberti e Gabriele Bolognini
FONTE: Ascolta e Medita – Centro Pastorale per l’Evangelizzazione e la Catechesi
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Mons. Costantino Di Bruno – Commento al Vangelo del 24 Luglio 2020
Il commento alle letture del 24 Luglio 2020 a cura di Mons. Costantino Di Bruno, Sacerdote Diocesano dell’Arcidiocesi di Catanzaro–Squillace (CZ).
Tra voi non sarà così
SABATO 25 LUGLIO (Mt 20,20-28)
In ogni momento della sua giornata, dal sorgere del sole al suo tramonto, e anche nella notte, Gesù mostra ai suoi discepoli, con la Parola e con l’esempio, come si vive nel regno del Padre suo: ponendo tutta la sua vita a disposizione del Padre nel servizio della salvezza e della redenzione. Redenzione e salvezza sono dell’anima, dello spirito, del corpo. Gesù mai è stato dalla sua volontà, ma sempre dalla volontà del Padre suo. Mai è stato dai suoi pensieri, ma sempre dalla mozione e ispirazione, conduzione e guida dello Spirito Santo. L’esempio più alto del servizio lo ha dato nel Cenacolo, quando si è piegato dinanzi ai suoi Apostoli e ha lavato loro i piedi: “Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto. Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi” (Gv 13,1-15). Il primo servizio è dell’Apostolo verso l’altro Apostolo. Ogni Apostolo deve lavare di ogni altro Apostolo e anima e spirito e corpo. Così dicasi di ogni discepolo verso l’altro discepolo. Questo servizio è prima di ogni altro servizio. Solo una Chiesa che serve la Chiesa potrà mostrare al mondo come si serve, come si ama, come si obbedisce alla Parola di Cristo Gesù. Una Chiesa che non serve la Chiesa mai potrà essere luce delle genti, mai sale della terra, mai verità di Cristo nel mondo.
Modello di vero servizio alla Chiesa e al mondo è San Paolo: “Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero: mi sono fatto come Giudeo per i Giudei, per guadagnare i Giudei. Per coloro che sono sotto la Legge – pur non essendo io sotto la Legge – mi sono fatto come uno che è sotto la Legge, allo scopo di guadagnare coloro che sono sotto la Legge. Per coloro che non hanno Legge – pur non essendo io senza la legge di Dio, anzi essendo nella legge di Cristo – mi sono fatto come uno che è senza Legge, allo scopo di guadagnare coloro che sono senza Legge. Mi sono fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno. Ma tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io” (1Cor 10,19-23). “Per conto mio ben volentieri mi prodigherò, anzi consumerò me stesso per le vostre anime” (2Cor 12,15). Litigare per un primo posto quando vi sono sette miliardi di persone da servire per condurre alla salvezza che si ottiene in Cristo Gesù, mediante la predicazione della Parola e la fede in essa, è somma stoltezza, tentazione di Satana per la rovina dei cuori. Come Gesù ha dato la vita per la redenzione del mondo, così anche ogni suo Apostolo deve dare la vita. Chi consegna la sua vita in riscatto per le anime, mai litigherà per un primo posto. Il primo posto del cristiano è sempre la croce.
In quel tempo, si avvicinò a Gesù la madre dei figli di Zebedèo con i suoi figli e si prostrò per chiedergli qualcosa. Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Di’ che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno». Rispose Gesù: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?». Gli dicono: «Lo possiamo». Ed egli disse loro: «Il mio calice, lo berrete; però sedere alla mia destra e alla mia sinistra non sta a me concederlo: è per coloro per i quali il Padre mio lo ha preparato». Gli altri dieci, avendo sentito, si sdegnarono con i due fratelli. Ma Gesù li chiamò a sé e disse: «Voi sapete che i governanti delle nazioni dóminano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».
La salvezza del mondo è dal servizio del cristiano, mai dal suo cuore, sempre dal cuore del Padre, con la potenza della grazia di Cristo, in obbedienza allo Spirito Santo.
Madre di Dio, Angeli, Santi, fateci servi, imitando Cristo, il Servo perfetto del Padre.
Fonte | @MonsDiBruno
Nota: Questo commento al Vangelo è gratuito pertanto l’autore non autorizza un fine diverso dalla gratuità.