Il commento di don Marco Scandelli
Chiedi a Maria come capire la vocazione che Dio ha scelto per te
AUTORE: don Marco Scandelli
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Commento alla prima lettura di domenica 26 luglio 2020, 1 Re 3, 5. 7-12, a cura di p. Ermes Ronchi.
Un contadino e un mercante trovano tesori.
Lo trova uno che, occhi fissi al suo lavoro, per caso, tra rovi e sassi, su un campo non suo, si imbatte nell’inaudito!
Lo trova l’altro, intenditore esperto che sa bene dove cercare, navigante per il quale la ricerca stessa è pura gioia: andare e ancora andare, occhi che guardano oltre.
E il suo fiuto gli dà ragione.
Un bellissimo Dio che non sopporta le statistiche: a tutti è dato incontrarlo, o esserne incontrati.
“Come un tesoro nascosto in un campo”.
Parola magica, da innamorati, da favole, da storie grandi.
I protagonisti della parabola non sono i due fortunati, ma il tesoro, che da sempre convoca mercanti e discepoli del Vangelo da ogni angolo della terra. Un tesoro ci attende, a dire che l’esito della storia sarà felice, comunque e nonostante tutto, perché sono in gioco forze più grandi, e il grande segreto è ben oltre noi.
Tesoro e perla sono nomi di Dio.
E sono per me, contadino e mercante, e mi chiedono: ma Dio è un tesoro o un dovere? È una perla o un obbligo?
Cristo è tesoro e perla per me, e seguirlo è stata l’azione migliore della mia vita. Mi sento contadino fortunato, mercante immeritatamente ricco! E ringrazio Lui che mi ha fatto inciampare in uno e in molti tesori, lungo molti giorni e strade della mia vita, facendola diventare una finestra DI GIOIA nel cielo.
I discepoli stessi non hanno soluzioni, ma cercano! Con GIOIA!
Come quel trepidante uomo, che in fretta va! Vende! Compra!
E tutti trovano perle seminate nel mare della vita, perché credere ci sprona a cercare, proiettarci, lavorare il campo, scovare dal tesoro “cose nuove e cose antiche”.
Noi avanziamo solo cercando tesori (là dov’è il tuo tesoro, lì è anche il tuo cuore) con fame di bellezza, come ostinati mercanti che cercano le perle più belle.
Chiedi al Signore la gioia e Lui ti risponderà dandoti vita.
Gioia non facile: c’è un campo da lavorare, rovi e sudore, tesori da trovare e nascondere, un tutto da vendere e investire. Ma il cristianesimo non è rinuncia, è tesoro. Se uno stupore, un “che bello!”, non precede le rinunce, esse saranno solo tristezza, disamore, consumazione del cuore, freddo.
La vita non è etica ma estetica, e avanza dritta per attrazione, sedotta dalla bellezza di Cristo e del mondo come lui lo sogna.
Allora lascerò tutto, per avere tutto!Venderò tutto, per guadagnare tutto!
Ma come diventerò cercatore di perle?
L’uomo compra il campo ma non il tesoro, che SA ATTENDERE.
Chiederò il dono di Salomone:
dammi Tu un cuore che ascolta!
Tesoro immenso per ascoltare Dio e il grido di Abele, e cielo e terra, e angeli e parabole; per ascoltare la cattedra dei piccoli della terra.
Solo allora vedremo tesori nascosti.
L’uomo che vive davvero è un cercatore d’oro che avanza verso ciò che di buono ama.
E questo lo rende eterno.
Immagine trovata nel web
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AUTORE: Don Francesco Cristofaro
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SAN GIACOMO
Gesù aveva parlato del Regno dei cieli e gli apostoli lo hanno interpretato secondo l’ottica del mondo in cui i governanti delle nazioni dominano e i capi opprimono. Il fascino del potere ha sempre esercitato una forte attrazione sul cuore degli uomini e anche su quello dei discepoli di Cristo i quali sono tentati di “mondanizzare” il vangelo invece di evangelizzare il mondo. Le parole della mamma di Giacomo e Giovanni rivelano quanto sia radicata nell’animo umano, anche della gente semplice e povera, l’ambizione di raggiungere posti di comando per avere sudditi sui quali comandare e dai quali ricevere servigi. Fin quando il cuore è pieno della sapienza del mondo non è possibile partecipare alla forma di governo ed esercitare il potere che Gesù propone.
Il calice da bere non sono i sacrifici e le rinunce, né tantomeno la lotta fino all’ultimo sangue, per raggiungere le vette del successo, della fama e della ricchezza, ma è il cammino interiore di purificazione del cuore da ogni forma di cupidigia, avidità e di rinuncia alla logica del potere inteso come gestione delle persone e delle cose per un proprio interesse.
Gesù chiarisce che non sta a lui concedere benefici e privilegi, ma di invitare tutti a seguirlo sulla via della croce attraverso la quale cambiare la prospettiva nella vita. Per poter partecipare alla gloria di Gesù e sedere insieme a lui nel suo regno è necessario seguirlo sulla via del servizio inteso come dono della propria vita. È propriamente questa la vetta della gloria per raggiungere la quale bisogna abbandonare strada facendo le zavorre che appesantiscono il cuore e offuscano la ragione.
Il mondo alimenta le manie di grandezza e falsa le unità di misura perché l’orgoglioso, pur essendo piccolo, vorrebbe ergersi e imporsi da solo sugli altri, mentre l’umile, essendo magnanimo, tende a farsi piccolo per raggiungere anche l’ultimo dei fratelli e amarlo. L’arrampicatore sociale ed ecclesiale non si dà pace se non ha raggiunto la visibilità e gli onori, magari denigrando e squalificando gli altri, mentre il discepolo di Cristo non può dirsi contento se non ha donato il suo tempo, le sue energie, i suoi carismi, le sue competenze e le sue capacità per far sentire ogni persona incontrata amata. I potenti di questo mondo tendono a far sentire gli altri inferiori e dipendenti, i cristiani invece, incontrando i fratelli e le sorelle nel mondo, devono comunicare loro l’amicizia di Dio che detronizza i potenti e innalza gli umili, sazia di beni gli affamati e rimanda i ricchi a mani vuote. Nel regno di Dio se c’è un primato da raggiungere questo è certamente quello del servizio e se c’è una competizione questa deve avvenire nell’ambito della stima e della comunione fraterna.
Auguro a tutti una serena giornata e vi benedico di cuore!
Commento a cura di don Pasquale GiordanoAncora un santo ci accompagna nel nostro percorso in questa estate: Giacomo il maggiore, fratello di Giovanni, che, insieme a Pietro, faceva parte del ristrettissimo gruppo degli intimi del Signore Gesù.
Insieme a suo fratello e a Pietro, Giacomo di Betsaida è stato fra coloro che hanno avuto la gioia e la fortuna di essere presente nei momenti più intensi e determinanti della vita pubblica di Gesù, come alla Trasfigurazione, alla guarigione della figlia di Giairo o alla preghiera del Getsemani.
Eppure ciò che ci resta è quel titolo, boanerghes, “figli del tuono”, attribuito a lui e a suo fratello, indice, probabilmente, di un carattere non troppo conciliante. E quell’episodio che ne rivela l’ambizione e la fragilità quando chiede, lui o sua madre, secondo le versioni, di sedere alla destra di Cristo nel Regno.
Alla destra di Gesù, invece, non ci sarà nessuno dei discepoli, ma un malfattore crocefisso insieme a lui… Giacomo ha dovuto sudare per crescere, per convertire il proprio cuore, per diventare discepolo secondo le intenzioni del Signore Gesù. Ma lo ha fatto: lo ricordiamo come il primo fra gli apostoli ad essere stato ucciso da Erode, subito dopo la resurrezione. Se anche non era presente al fianco del Signore sulla croce, lo è stato nella testimonianza che gli ha reso nella morte.
Secondo la tradizione, il suo corpo fu traslato in Spagna, a Santiago di Compostela, meta di pellegrinaggio ancora oggi.
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Si sta delineando sempre più chiaramente una via di uscita dal razionalismo. Tale orientamento si basa sul ragionare umano. Ma l’uomo è più di una sua in fondo inesistente ragione astratta. Per esempio maturando può comprendere molte cose in modo nuovo. Se ci si basa tendenzialmente su di un conoscere intellettualista restano poi dell’uomo un’anima allora disincarnata ed un resto emozionale, pragmatico, del vivere quotidiano.
La spiritualità può divenire astratta, tante forme conoscitive si riducono a tecnica, a pratica. Si dice per esempio che per rimediare a ciò lo psicologo deve essere cristiano. Ma se restiamo nei riferimenti di cui sopra quando parla da cristiano ripeterà risposte variamente prefabbricate, poco incarnate nella situazione specifica e quando si esprime da psicologo fornirà indicazioni tecniche. Ma l’uomo è più di un mero meccanismo. Solo l’amore a misura lo aiuta a comprendersi. L’autentico amore di Dio conduce verso la liberazione anche psicologica.
Maturando in questo amore sereno, a misura del proprio personalissimo percorso, non una sua anima disincarnata ma tutto l’uomo viene condotto nel mistero e vede ogni cosa in modo sempre nuovo. Dunque la logica non è ne platonica, a tavolino, né aristotelica, in contatto intellettualistico con la realtà, sfociando nel pragmatismo. La via è quella della serena crescita di tutto l’uomo in Gesù, Dio e uomo, nel suo Spirito che scende come una colomba. La logica è dunque trinitaria in Cristo. Gesù è il vero riferimento anche culturale, da vissutamente scoprire sempre più. Cogliamo in Lui gli aspetti positivi per esempio di Platone e Aristotele ma anche veniamo portati oltre.
La conoscenza è comunque, anche in un ateo, una fede. Ciò in cui davvero crede e matura orienta tutto il suo discernere. Quando nella mia serena coscienza avverto il sì della fede allora ho ricevuto questo dono di luce. Non è prima di tutto un ragionamento. La crescita nella luce fa vedere ogni cosa in modo nuovo e dunque alimenta una riflessione ancorata alla vita concreta. L’intellettualismo ha orientato anche qualche cristiano a ritenere di credere in parte per fede in parte per razionalità. Ma certo non è questa la fede e neanche l’umanità, come visto sopra. La fede è una grazia divina e umana in Gesù. È dunque non fanatica ma piena di autentico senso.
Kurt Goedel ha dimostrato che non può esistere una logica autoesplicantesi. Si deve partire da qualche punto accettato come dato. Una fede. Ormai lo sanno anche gli scienziati atei. Si aprono le vie per una umanità rinnovata, anche per una scienza rinnovata. Non più lo stantio, riduttivo, paradigma di fede e ragione che finisce col prevalere a tutto campo di una tecnica omologante, svuotante, di una falsa solidarietà che non nasce dall’autentico sviluppo delle identità, delle fedi (fosse pure l’ateismo) e dunque dal loro autentico incontro ma da un appiattimento generale che spegne fin dalla scuola gli slanci, la viva ricerca, anche dei giovani. E sta conducendo tutto al crollo. L’ubris, la, magari inconsapevole, superbia della ragione a tavolino sta giungendo alle conseguenze estreme.
Apparire, venire riconosciuti: senza la grazia sono debolezze umane. Lo Spirito viene a portarci una vita nella quale siamo sempre più uniti Dio e liberi da eccessive dipendenze terrene.
Liberi anche dagli sguardi superficiali che restano al ciò che sembra. Liberi da false gratificazioni affettive. Liberi da un possibile pretendere certe cose, magari dicendoci che è a fin di bene. Certo un autentico discernimento è pieno di buonsenso ma nelle intenzioni profonde la strada è la disponibilità a bere il calice stesso di Cristo, vivere al servizio di Dio e dei fratelli.
Solo lì troveremo la pace e la gioia, solo su questa via potremo davvero godere dei doni spirituali, umani e materiali che Dio ci elargisce.
A cura di don Giampaolo Centofanti nel suo blog.
Il Vangelo di oggi è il Vangelo che ci fa festeggiare san Giacomo apostolo. Ci saremmo quindi aspettati un brano in cui Giacomo dice qualcosa, invece il brano di Matteo ci riporta le parole della madre e non le sue. In fondo le mamme sono sempre le mamme anche quando sono mamme di due potenziali santi: <<in quel tempo, si avvicinò a Gesù la madre dei figli di Zebedèo con i suoi figli e si prostrò per chiedergli qualcosa… “Dì che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno”>>.
Queste raccomandazioni di cattivo gusto sono dettate dall’amore esagerato non certo dalla cattiveria. Per questo Gesù non perde tempo a rimproverare, ci penseranno gli altri amici che siccome pensavano la stessa cosa ma non avevano il coraggio di dirlo, svuotano la loro frustrazione facendo i moralisti; Gesù approfitta di quest’occasione per spiegare la logica del regno di Dio: <<Voi sapete che i governanti delle nazioni dominano su di esse e i capi le opprimono.
Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti>>. Noi purtroppo pensiamo che servire sia una cosa al di sotto della nostra dignità.
Invece Gesù riscatta il verbo servire per dire che chi serve è runico che davvero conta, perché chi serve significa che serve (cioè è utile), chi non serve significa che non serve (cioè è inutile). Quindi la logica dei “primi” non è la logica dei furbi, ma’ la logica degli onesti. Ecco perché la festa di oggi è la festa in cui si getta una luce nuova sulle logiche inaugurate dal Vangelo. Seguire Gesù è un affare che si comprende solo con Io sguardo lungo della vita eterna. Se lo sguardo è solo quello miope del “tutto e subito”, allora seguire Gesù non è un affare ma un danno.
I santi sono coloro che hanno saputo fare della loro vita un affare vero.
AUTORE: don Luigi Maria Epicoco
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FONTE: Amen – La Parola che salva
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Fabrizio Morello – Commento al Vangelo del giorno, 25 Luglio 2020
Gesu’, nel Vangelo di oggi, smonta le nostre “ logiche umane “, proponendoci un altro modo di condurre la nostra esistenza.
La madre dei figli di Zebedeo si “ prostra “ dinanzi a Gesu’ per…” chiedergli una raccomandazione “.
Anche noi, spesso, ci “ prostriamo “, ci inginocchiamo “, siamo pronti ad umiliarci dinanzi ad un “ potente “ o a un “ presunto tale “ pur di “ scavalcare gli altri “ ed ottenere di “ sedere uno a destra e uno a sinistra nel Regno “, cioè al PRIMO POSTO, luogo che indica la piena realizzazione perché si è i “ più grandi “.
Gli altri discepoli “ si sdegnarono “.
Tranquilli!!!
Non erano meglio della madre dei figli di Zebedeo.
Si sdegnarono perché siamo tutti bravi a fare i “ censori “ dei comportamenti altrui ma….anche loro avrebbero voluto lo stesso posto.
Gesu’, conoscendo il loro ( e il nostro ) modo di pensare, ribalta la logica.
Vuoi essere grande?
Mettiti a servire gli altri.
E’ quello che ha insegnato ma, prima ancora, ha fatto, Cristo, nella sua vita.
La ha spesa per gli altri, per diffondere il suo messaggio, per operare “ guarigioni del cuore “, senza risparmiarsi, arrivando a donare quanto aveva di più prezioso: la vita.
E allora questo Vangelo dice a tutti noi: se occupiamo un ruolo di “ comando “ non utilizziamolo per schiacciare gli altri ma per metterci al loro servizio.
Che attualità questa parola per i politici, i magistrati, i potenti del mondo.
Ma, lasciamo perdere “ i grandi “.
Veniamo a noi.
Qual logica muove le nostre esistenze?
Mettiamo, come conseguenza naturale della nostra appartenenza a Cristo, il servizio al centro della nostra vita?
Con questi brevi spunti di riflessione vi auguro buona giornata.