Il commento di don Marco Scandelli
Il Regno dei cieli: la possibilità di compimento della nostra vita!
AUTORE: don Marco Scandelli
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Trovare la gioia – il Vangelo della XVII domenica anno A
“il mio tesoro…” sibila con la sua voce gracchiante Gollum, completamente soggiogato dal potere dell’anello che vuole tenere ad ogni costo! Gollum è una figura fondamentale nella storia de “il Signore degli Anelli” di J.R.R. Tolkien, che in un mondo immaginario popolato da personaggi fantastici narra lo scontro tra bene e male, e tutto ruota attorno ad un anello magico che riesce a possedere chi lo possiede, facendolo passare anche dalla parte del male. È quello che capita al povero Smeagol che venuto in possesso dell’anello forgiato dall’Oscuro Signore Sauron, pur di non perderlo viene trasformato nell’ambiguo Gollum, e proprio per la bramosia finirà distrutto anche lui insieme all’anello nel baratro infuocato di Orodruin.
Il Signore degli Anelli è diventato una saga cinematografica grazie al regista Peter Jackson che ha saputo ritrarre bene Gollum nella sua continua ambiguità tra bene e male proprio a causa del terribile anello.
Gesù parlando del Regno dei cieli, cioè della presenza e azione di Dio nel mondo, usa due esempi che in qualche modo hanno un legame con questa storia di Tolkein. Nella parabola dell’uomo che trova un tesoro nel campo, colpisce la determinazione di questo uomo nell’entrare in possesso del campo che nasconde il tesoro. L’uomo è disposto anche all’inganno pur di avere quel campo che non è suo. Nasconde il tesoro che ha scavato, non dice nulla, tanto meno al proprietario, e vende tutto per acquistarlo. Quel tesoro è il suo tesoro anche se forse non ne avrebbe diritto. Così come il cercatore di perle che trova la perla che cercava e per farla sua è disposto a rischiare tutto quel che possiede.
In questi racconti del Vangelo mi sembra davvero di rivedere la bramosia di Gollum e di tutti coloro che nella saga di Tolkien sono disposti a qualsiasi cosa, anche a perdere se stessi, per avere quel tesoro.
Gesù vuol far leva su questo desiderio profondo del tesoro per spingere ad interrogarci quanto ci teniamo davvero a Dio nella nostra vita. Dio, la sua Parola, la sua presenza e azione nella mia storia sono davvero un tesoro per me? Cosa sono disposto a dare per questo tesoro? Lo sento davvero come un “mio tesoro”?
Gesù ovviamente non sta pensando a Dio come ad una idea astratta, ma a Dio come scelta di vita, come “regno” concreto nel mondo. Ritenere Dio come tesoro della mia vita non è semplicemente e astrattamente il “credere che Dio esista”, ma avere Dio come punto di riferimento concreto per ogni mia scelta concreta di ogni giorno, in ogni situazione. Dio, come in qualche modo l’anello della storia di Tolkien che possiede chi lo possiede, vuole possedere me e modificare la mia vita nel profondo. Ma mentre l’anello forgiato da Sauron è per il male, Dio vuole condurmi al bene e modificare in bene la storia umana attraverso di me.
Gesù quindi mi invita a scavare con attenzione dentro il terreno delle mie giornate, dentro le relazioni che ho con le persone, dentro la mia comunità cristiana a cui appartengo, dentro anche quello che ho nel cuore e scoprire il tesoro di Dio, la perla preziosa della sua presenza. Devo scavare a fondo e cercare con attenzione evitando quindi di rimanere sempre superficiale e distratto come atteggiamento di vita spirituale, altrimenti rischio di non accorgermi del tesoro di Dio che mi sta sotto i piedi o sotto il naso.
Gesù alla fine dei suoi discorsi aggiunge un’altra immagine usando ancora la parola “tesoro”. Se divento discepolo scavatore e cercatore di Dio, alla fine la mia vita si trasforma come in una stanza di cose preziose che si accumulano e diventano sempre disponibili per me e per chi mi incontra. Se sono discepolo di Gesù imparo a trovare e a custodire la preziosità di Dio dentro la mia vita che diventa essa stessa un vero tesoro che altri possono trovare.
E sentirò nel profondo del cuore la voce di Dio che tenendomi in mano dice “il mio tesoro!”.
Fonte: il blog di don Giovanni Berti (“in arte don Gioba”)
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Per la terza domenica consecutiva la liturgia ci consegna una pagina di parabole.
Matteo dice che la vita è una caccia al tesoro.
Questo tesoro, altro non è che il Vangelo stesso, ovvero la bella notizia che Dio è Padre, Amore assoluto, misericordia senza limiti; che io sono figlio amato e che l’altro è un fratello da amare come il Padre ama me.
Toh… chi l’avrebbe detto: la vita cristiana è una bella avventura e non solo un formale rispetto di codici e leggi per stare in pace con la coscienza e guadagnarsi la vita eterna.
La stragrande maggioranza dei cristiani pensa alla fede come un ricettario di comportamenti da rispettare per poter mettere tanti bei timbri sulla propria tessera e guadagnarsi un bel posticino in paradiso… Gesù, per fortuna, dice che la vita cristiana è qualcosa di ben diverso!
Non si tratta solo di cose da fare o da non fare, regole da rispettare o cavilli da non trasgredire. Se il cristianesimo fosse solo questo sarebbe una tristezza devastante!
La fede, quella nel Dio di Gesù Cristo, è l’esperienza di un incontro che può cambiare la vita, che può mutare l’ordine delle priorità, che può donare un coraggio inaspettato per vivere i momenti più duri della vita. Dobbiamo solo avere il coraggio di scavare un po’ e di smuovere le muffe delle nostre abitudini.
Matteo dice che incontrare Cristo è l’evento più spettacolare che possa capitare nella vita di un uomo.
Lui ne sa qualcosa: aveva soldi, successo, fama e ha lasciato tutto per andare incontro al Nazareno e ora, mentre scrive il suo vangelo, dopo trent’anni da quel giorno, dice che ne è valsa la pena.
La tua vita è una caccia al tesoro, amico lettore: l’hai già trovato?
Noi non avanziamo nella vita a colpi di volontà, ma solo per scoperta di tesori (là dov’è il tuo tesoro, lì è anche il tuo cuore); per passione di bellezza (mercanti che cercano le perle più belle); per riserve di gioia che Qualcuno, uomo o Dio, amore o tesoro, seme o spiga, colma di nuovo.
Siamo dei cercatori, dei viandanti, nasciamo solo per scoprire di essere dei cercatori, dei bisognosi, dei mendicanti. La vita è mistero, ci appare inesplicabile, il senso del nostro esistere, velato, ambiguo.
Molti, intorno a noi, dicono che non c’è nessun tesoro da trovare, o, peggio, dicono che loro sanno dove si trova il tesoro e ti vendono la mappa.
La verità è un’altra: il tesoro è nascosto ma accessibile.
Alla luce di Dio capiamo, anche se sempre e solo parzialmente, il mistero dell’esistenza.
Trovare il senso, trovare Dio, avviene sostanzialmente in due modi.
O ti capita, come per il contadino che sta arando e inciampa nel tesoro fortuitamente.
O perché lo cerchi con ostinazione, come il mercante di perle che passa la vita a cercare la perla più bella.
Ma, nell’un caso come nell’altro, la parabola dice che per possedere il tesoro, per non lasciarselo scappare, occorre pagare, anche a costo di vendere tutto.
Matteo ricorda che non basta essersi imbattuti (prima parabola), o aver scoperto dopo lunghe ricerche (seconda parabola) il segreto della vita, occorre anche vivere tutto questo nella propria carne, decidersi per esso. E decidere, letteralmente significa troncare.
L’amore chiede tutto!
Camminare con un piede in due scarpe, risulta perlomeno un po’ scomodo…
Ogni decisione ti obbliga a lasciare qualcos’altro.
Scoperta la logica dell’amore, abbandoni la mentalità giocata sul potere, sul successo.
Oggi si fa sempre più fatica a decidersi.
S’intuisce anche la strada per la vita, ma non si ha il coraggio di troncare con altri sentieri.
Si vuole stringere tutto, senza mai giungere ad abbracciare nulla.
La terza parabola ci fa compiere un passo ulteriore.
Dinanzi a questo essere di misericordia, come mi comporto?
Tu che hai fatto esperienza di questo, come ti giochi l’amore che ti è stato offerto?
Non basta godere dell’amore di Dio. La salvezza è insieme grazia e responsabilità.
Una vita fallita, a cosa può servire?
Come la zizzania (Domenica scorsa) verrà presa e bruciata; semplicemente distrutta.
La separazione non avviene tra due parti di umanità, i buoni e i cattivi, ma tra la parte di me che si è formata amando, e quella che si è distrutta attraverso il male compiuto.
Quando il mondo, la storia giungerà a compimento, allora Dio mi giudicherà, ovvero distinguerà in me ciò che si è costruito nell’amore e ciò che ha fallito nel male e l’amore di Dio che è fuoco divorante, distruggerà questo male, ovvero quella parte di me che ha fallito e rimarrà solo ciò che è bene.
Dio ama tutti, perdona tutti e tutto, ma proprio per quest’amore che mi ha raggiunto, mi chiede di vivere, di spendermi secondo lo stesso amore riversandolo sui fratelli.
Si risponde all’Amore divenendo responsabili.
Ne vale la pena, dice Matteo.
In fondo, siamo tutti cercatori di perle.
Allora cerchiamo la perla bella, quella di grande valore, in grado di darci la felicità, e il nostro cuore non trova pace sino a quando non troverà proprio quella.
Nel corso della vita capita d’imbatterci in miriadi di altre perle, a volte di bassa bigiotteria, ma nessuna è come quella di cui eravamo in ricerca.
Curioso… è come se ci portassimo dentro, l’immagine di “quella” perla. Come se l’avessimo già contemplata da qualche parte, come se sapessimo che solo quella è la mia perla bella, come se qualcuno ce l’avesse già mostrata o perlomeno ce ne avesse già parlato. E quando vediamo, tocchiamo, di tante altre simili, ma non uguali, alla fine diciamo: “non è quella per cui io son fatto, non è quella che desideravo. Ho bisogno d’altro. Son fatto per altro”.
La bella notizia di questa Domenica? La vita è una ricerca e Dio solo conosce ciò che può riempire i nostri cuori.
AUTORE: Paolo di Martino
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Siamo cercatori di perle, di tesori perché abbiamo il presentimento del Vero, di ciò che – crediamo – sarebbe in grado di compierci il cuore. Siamo inquieti, palombari dello spirito, assetati di una bellezza in cui poter finalmente far riposare il cuore.
La cosa migliore che ci possa capitare è riuscire a distinguere nella vita ciò che conta da ciò che è superfluo, ciò che ha consistenza da ciò che è effimero, ciò che è essenziale da ciò che è solo necessario.
Scoperto il vero tesoro e la perla di grande valore, allora tutto il resto può essere abbandonato.
Il Vangelo ci svela in cosa consiste la perla e il tesoro di grande valore: l’Amore.
Fatta propria la logica dell’amore, viene vinta la logica del mondo incentrata sul potere l’avere e il successo. La luce dissolve la tenebra, in quanto il bene abbraccia il male sconfiggendolo. San Paolo, fatto esperienza dell’Amore, arriverà a considerare tutto ciò che fino ad allora gli sembrava essenziale e necessario per il suo compimento, semplicemente sterco: «Ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura (lett = sterco), per guadagnare Cristo» (Fil 3, 8).
La terza parabola (vv. 47-50) del Vangelo di oggi ci aiuta poi a comprendere dove può condurre una vita che non arrivi a far propria questa logica dell’amore. Il risultato di non essersi giocati nel bene è simboleggiato qui dal “pesce cattivo”, inteso come guasto, fallito, inutile. Una vita spesa fuori dell’amore, è come essere gettati fuori dalla rete. Una vita guasta, fallita, non buona, a cosa può servire? Come la zizzania (Vangelo di domenica scorsa) verrà presa, e bruciata; semplicemente distrutta. I giusti, i buoni della parabola saranno invece coloro che hanno vissuto del medesimo amore che hanno ricevuto e sperimentato nella propria storia. E questa vita sarà conservata, come il grano che andò a finire nel granaio di Dio. Ma occorre fare un passo ulteriore. La separazione non avviene tra due parti di umanità, i buoni e i cattivi, ma tra la parte di me che si è formata amando, e quella che si è distrutta attraverso il male compiuto.
Quando il mondo, la storia giungerà a compimento, allora la Parola di Dio (gli angeli, v. 49b) mi giudicherà, ovvero distinguerà in me ciò che si è costruito nell’amore e ciò che ha fallito nel male. E l’amore di Dio che è fuoco divorante, distruggerà questo male, la parte di me che ha fallito nell’egoismo, nel potere, nell’incentramento sull’io. E rimarrà – ancora una volta – solo ciò che è bene.
In questo modo non ha avrà più senso domandarsi: ma allora se Dio salverà tutti (la rete che accoglie tutti) che bisogno c’è ancora di far qualcosa? Tanto son salvo, vivo come voglio! No, perché l’amore reclama la responsabilità. Dio ama tutti, perdona tutti e tutto, ma proprio per questo ora questo stesso amore che mi ha raggiunto, mi chiede di vivere, di spendermi secondo il medesimo amore riversandolo sui fratelli.
Si risponde all’Amore divenendo responsabili. Il resto è fallimento.
AUTORE: don Paolo Squizzato
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SITO WEB: https://www.paoloscquizzato.it
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Anche questa domenica proseguiamo il nostro cammino accompagnati dalle parabole, questa novità di annuncio che non vincola ma ci invita ad una riflessione, ad un cambiamento interiore.
Oggi viene illustrata la parabola che in un certo senso riassume tutto il Vangelo, il saper mettere insieme cose nuove e cose antiche, il saper trovare un senso al nostro esistere, il saper interrogarsi su cosa è davvero fondamentale per la nostra vita, cosa rappresenta il tesoro sepolto nel campo e la perla preziosa.
Gesù ci suggerisce di trovare il tesoro nascosto nel campo… ci vuole il coraggio di chiedere, di osare, la pazienza e la costanza. Il vero tesoro nascosto lo abbiamo, è accessibile, dobbiamo solo desiderarlo, il Vangelo di Gesù Cristo! Mai accontentarsi o rassegnarci, continuiamo sempre e comunque a cercare, prima o poi troveremo il tesoro che Dio ha nascosto nel campo.
Quando troviamo il Vangelo nella nostra vita, tutto il resto continua ad esserci, ma assume un valore diverso. Qual è il tesoro che stiamo cercando? Cosa nella nostra vita dobbiamo ancora trovare? Tu continua a cercare! Non spegnere mai il desiderio di trovare!
Commento a cura di don Guido Santagata della Parrocchia Santa Maria Assunta-Duomo di Sant’Agata de’Goti (BN)
Se la settimana scorsa ci siamo trovati dinanzi ad una parola dalla radice incerta («zizzania»), anche quest’oggi, nel brano matteano che prosegue gli estratti delle due domeniche precedenti, siamo al cospetto di un termine dall’etimo «misterioso»: TESORO.
È molto probabile che la strada etimologica più lineare sia quella corretta: questa, infatti, fa risalire il sostantivo greco thesaurós al verbo títhemi («porre/collocare»).
A tale verbo, poi, si può aggregare, in combinazione, anche il nome aũron (in latino aurum) ovvero «oro».
Tuttavia, la lettura e la contemplazione del Vangelo odierno ci può sussurrare un’altra via.
Il «tesoro», recita la Parola di Dio, è «nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde» e poi «compra quel campo» (Cf. Mt 13, 44).
I termini «nascosto/nasconde», «campo» e «trova», ci indicano la strada.
Invero, che c’è nascosto nel campo? Ovvero: qual è quella cosa che in un campo va trovata?
Se la risposta ancora non è giunta, leggiamo l’ultimo versetto della pericope odierna, ovvero Mt 13, 52, nel quale si torna a parlare proprio di «tesoro»; e su questo «tesoro» agisce un verbo, ovvero «estrae» («Ed egli disse loro: “Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche”»).
Il greco del Vangelo adopera per «estrae» il verbo ek-bállei, il quale letteralmente vale «scagliare/gettare» (bállo) «fuori» (la preposizione ek esprime moto da luogo), ma può rendersi in traduzione anche con «estirpare».
Orbene, cos’è quella cosa che si trova nascosta in un campo, su cui agisce l’azione dell’’estirpare?
La radice.
In greco il nome «radice» è ríza, e il suo verbo associato è rizóo («mettere radici»).

Di ciò dato atto, è possibile ritrovare ríza in thesaurós, e ciò è ancor più manifesto e forte nel momento in cui abbiniamo i loro verbi di riferimento, ovvero rizóo e thesau-rízo («accumulare/deporre nel tesoro»).
In merito a ciò, è decisivo riportare il passo di Mt 6, 19-21: «Non accumulate (tesaurízete) per voi tesori (tesauroùs) sulla terra, dove tarma e ruggine consumano e dove ladri scassìnano e rubano; accumulate (tesaurízete) invece per voi tesori (tesauroùs) in cielo, dove né tarma né ruggine consumano e dove ladri non scassìnano e non rubano. Perché, dov’è il tuo tesoro (tesaurós), là sarà anche il tuo cuore».
Ebbene, non è forse vero che la «radice» è il «cuore» della pianta?
E se a questo brano appena citato inseriamo i concetti di «radice/radicare» ogni qual volta troviamo tesaurízete/ tesauroùs/ tesaurós, il senso di queste righe assume una decisiva pienezza.
Ecco, allora, che quest’oggi il brano evangelico ci ispira ad interrogarci in cosa e dove siamo radicati; ci invita a ricercare quale sia la radice da cui traiamo linfa.
È grano o zizzania il frutto dei nostri germogli? Le nostre opere riempiono il granaio del Signore, oppure alimentano la carestia che viene dal maligno?
Insomma, qual è il nostro «tesoro»?
Ovvero: qual è la nostra «radice»?
Per gentile concessione di Fabio Quadrini che cura, insieme a sua moglie, anche la rubrica ALLA SCOPERTA DELLA SINDONE: https://unaminoranzacreativa.
Come già nelle due precedenti domeniche, anche la liturgia della XVII domenica del tempo Ordinario dell’annata A presenta un brano evangelico tratto da quel capitolo tredicesimo del vangelo secondo Matteo che contiene essenzialmente delle parabole. E le prime due parabole – brevissime – che aprono la pericope liturgica, la parabola del tesoro (Mt 13,44) e quella della perla (Mt 13,45-46), sono spesso presentate come parabole gemelle. Ma accanto alle analogie che balzano all’occhio già a una prima lettura, si devono cogliere anche le differenze che una lettura attenta fa emergere tra le due. Entrambe parlano del “Regno dei cieli” (vv. 44.45), ma con immagini diverse. Ci si potrebbe chiedere perché il proliferare di immagini paraboliche per parlare dell’unica e medesima realtà del regnare di Dio. Non basta una sola parabola per parlare del Regno perché le parabole non definiscono il Regno, che, appunto, è al di là di ogni definizione. Le parabole, invece, da un lato, accennano a quell’agire di Dio che è eccedente la misura – tanto di ragionevolezza quanto di immaginazione – umana, e dall’altro, ne evocano l’impatto sugli umani. Solo dunque una pluralità di parabole può rendere adeguatamente conto di una realtà che eccede la misura umana. Le parabole devono pertanto essere narrate l’una accanto all’altra e l’una dopo l’altra per evocare nella loro pluralità l’evento inesauribile del Regno di Dio. Come esiste una pluralità di vangeli e non uno solo, così esiste una pluralità di parabole e non una sola. E come i vangeli presentano aspetti differenti e in tensione tra di loro, così le parabole non devono solo essere addizionate l’una all’altra, ma completarsi l’una con l’altra, correggersi l’una con l’altra, dispiegare le loro peculiarità e diversità suggerendo al lettore-ascoltatore una pluralità di vie con cui Dio si manifesta all’uomo e con cui l’uomo può accogliere l’irruzione di Dio nella sua vita. Insomma, questo pluralismo rispetta e onora il mistero di Dio e degli umani. Onora la pluralità delle forme della presenza di Dio nella storia.
In entrambe le parabole l’uomo che ha “trovato” o un tesoro o una perla reagisce a tale scoperta vendendo tutto ciò che ha per acquistare quel bene. Ma l’uomo che trova il tesoro lo trova senza cercarlo, mentre il mercante che trova la perla di grande valore è un cercatore: egli “va in cerca di belle perle” (kaloùs margarítas). Centrale, e comune alle due parabole, è il “trovare”, il ritrovamento, non nel senso di ritrovare, di recuperare ciò che si era perduto (come nella parabola della pecora perduta e della moneta perduta: Lc 15,4-7.8-10), ma nel senso della scoperta, di un novum che irrompe nella vita e nella vicenda di una persona e che ha il potere di sconvolgerne e trasformarne l’esistenza. Nella prima parabola, tuttavia, questo ritrovamento sembra fortuito, mentre nella seconda avviene a seguito di una ricerca. E se la ricerca dice una mancanza e una sete, essa ha a che fare con il desiderio. L’effetto sorpresa del ritrovamento sembra pertanto maggiore nella prima parabola, dove, in effetti, a differenza della parabola della perla, si specifica la reazione emotiva di colui che ha trovato il tesoro e, “pieno di gioia”, vende tutti i suoi averi e compra quel campo” (v. 44). Nella seconda parabola il ritrovamento è preceduto dalla ricerca, ma la perla trovata sorprende il cercatore stesso. Egli cercava belle perle e ora trova una perla preziosissima. La parabola presenta il passaggio dalle molte perle all’unica e sola perla il cui valore supera tutte le altre. Si passa da un ordine di tipo quantitativo a un ordine qualitativo. La perla trovata eccede la ricerca stessa del mercante, supera la sua attesa, e sembra rendere non più necessaria la ricerca di altre “belle perle”. La parabola non dice cosa quest’uomo faccia della perla trovata, come la utilizzi, ma solo che essa acquisisce per lui un valore immenso: essa ha valore di per sé, tanto che egli vende tutto per acquistarla. È come se, metaforicamente, qui fossimo di fronte alla scoperta di ciò che dà valore a tutto, al senso che dà senso a tutti sensi che noi possiamo accordare al vivere. Questa scoperta trasforma anche la ricerca e il desiderio del cercatore: ha valore trasformativo. Trovando la perla preziosissima (polýtimon), il mercante trova altro da ciò che cercava. Chi cerca, desidera, e chi desidera, immagina l’oggetto del desiderio. Qui la perla trovata opera per quest’uomo il passaggio dall’immaginazione alla realtà e lo conduce a una trasformazione esistenziale. A uno sconvolgimento esistenziale. Entrambi i protagonisti delle due parabole, per accogliere ciò che hanno trovato sono condotti a uno spogliamento, a uno spossesso: vendono tutti i loro averi. Capiamo che dietro al tesoro e alla perla si cela il vangelo stesso, il tesoro per cui vale la pena di vendere tutto, di lasciare tutto e seguire Gesù. Ciò che nella parabola è espresso con il verbo “trovare” altrove, nel vangelo, è espresso con il verbo “incontrare”. Non dirà forse Gesù al giovane ricco che aveva incontrato: “Va’, vendi quanto possiedi, dàllo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli; poi vieni e seguimi”(Mt 19,21)? A questo punto possiamo ricomprendere le due parabole aiutandoci con un’antica invocazione: “Tu il tesoro, Tu la perla preziosa; O Signore, Tu hai incontrato me, non io ho trovato Te; Tu hai conquistato e afferrato me, non io ho acquistato Te; o mio Tu, io sono tuo”. Il vero soggetto delle parabole non è l’uomo che ha acquistato il campo o il mercante che ha acquistato la perla, ma proprio il tesoro, proprio la perla preziosa; essi sono la luce che dà nuovo senso e orientamento alla vita e in nome e in vista di cui si può vendere tutto, abbandonare tutto. E farlo nella gioia. La radicalità cristiana è autentica se sigillata dalla gioia. Anzi, la gioia è costitutiva di tale radicalità, perché questa va vissuta come grazia e nel rinnovarsi di una quotidiana gratitudine: noi siamo grati di essere nella gioia.
L’esperienza di chi trova il tesoro o la perla e vende tutto per essi è l’esperienza di chi sente la parola di Dio che gli dice: “Tu sei prezioso ai miei occhi e io ti amo” (Is 43,4). È questo amore il segreto della gioia della radicalità di una vita cristiana, è questo amore il bene prezioso da custodire e salvaguardare, è questo amore del Signore e per il Signore che può rinnovare vite tentate da vecchiezza, stanchezza, insensibilità, cinismo, indifferenza, demotivazione. A noi che nella preghiera diciamo al Signore: “Sei tu il mio Signore, nessun bene per me al di fuori di te” e “Sei tu il mio unico bene” (Sal 16,2) e ancora “In te, o Dio, gioisce il mio cuore, esulta il mio intimo” (Sal 16,9), è chiesto di metterci alla prova se Cristo abita in noi (cf. 2Cor 13,5). E questo perché noi abitiamo là dov’è il nostro tesoro: è il tesoro che ci colloca, che ci situa. Se Cristo abita in noi, noi dimoriamo in Cristo e allora possiamo gioire di gioia indicibile nel cammino verso il Regno. C’è solo da riscoprire ogni giorno la preziosità del dono ricevuto combattendo la tentazione del banale, dello scontato, del “tutto è dovuto”.
Una terza parabola segue quelle del tesoro e della perla. Si tratta ancora di una parabola del Regno ma espressa con immagini tratte dal mondo della pesca (Mt 13,47-48). Questa ulteriore parabola ha anch’essa qualcosa da insegnare circa il Regno di Dio. L’immagine è quella di pescatori che, con una rete a strascico gettata nel lago di Genesaret (chiamato “mare” in Mt 13,1 e 4,18), raccolgono ogni genere di pesci. Trascinata a terra la rete, avviene una cernita tra i pesci buoni e quelli cattivi, ovvero quelli commestibili e quelli impuri o non commestibili. I primi vengono racconti in canestri, i secondo gettati via (letteralmente: gettati “fuori”). I vv. 49-50 propongono un’interpretazione escatologica della parabola: si parla espressamente di “fine del mondo” (o della storia) e, riprendendo essenzialmente il momento della cernita dei pesci, si annuncia la realtà del giudizio finale. Questa parabola, la settima e ultima nel capitolo tredicesimo di Matteo, presenta la prospettiva del giudizio finale come punto di osservazione che suggerisce al lettore la gravità e serietà della situazione e l’urgenza di una scelta nell’oggi storico. Di fronte al regnare di Dio che si è manifestato nella persona e nel ministero di Gesù, occorre una scelta per orientare la propria vita sulla scia del rabbi di Nazaret.
Il discorso in parabole si conclude con una domanda di Gesù ai suoi discepoli sulla comprensione di “tutte queste cose” (v. 51; cf. Mt 13,34), cioè, i “misteri del Regno dei cieli” (Mt 13,11). La risposta affermativa dei discepoli li assimila al seme seminato sul terreno buono: infatti questi “è colui che ascolta la parola e la comprende” (Mt 13,23). La replica di Gesù è forse una maniera discreta con cui Matteo appone la propria firma e rappresenta se stesso come scriba divenuto discepolo di Gesù, colui che è il Regno di Dio in persona. Ma questa parola diviene anche un invito alla sapienza rivolto al discepolo affinché sappia integrare nuovo e antico, in cui il nuovo è espressione nell’oggi dell’antico e l’antico è fondamento del nuovo. Principio che vale certamente per il primo Testamento riletto e attualizzato nel Nuovo, ma anche per le stesse parole evangeliche che devono essere riespresse in ogni epoca in modo nuovo. Anche oggi.
A cura di: Luciano Manicardi
Fonte: Monastero di Bose
Il commento al Vangelo di domenica 26 luglio 2020 a cura di Sua Eminenza Monsignor Mario Russotto, Vescovo della Diocesi di Caltanisetta.
Il cristiano crede all’amore, ad un amore senza limiti e senza eccezioni, un amore instancabile e mai deluso, perché crede all’Amore di Dio che si è fatto Uomo per incarnare l’Amore nell’esperienza umana di ogni giorno. Buona domenica!
p. Arturo MCCJ – Commento al Vangelo del 26 Luglio 2020
Matteo ci dona altre 3 parabole, tutte introdotte dalla formula «il regno dei cieli è simile a…». Gesù non smette di parlare della presenza di Dio, è qualcosa di più forte di lui, come quando succede una cosa bella nella nostra vita e non possiamo fare altro che condividerla. Potremmo dire che con queste 3 parabole Matteo, nel sottofondo, ci ricordi che tutti possono incontrare Dio: chi per caso, chi cercandolo e chi inciampandovi dentro. Anche se molto diverse tra loro c’è qualcosa che le accomuna: il tesoro, la perla, i pesci sono tutti nascosti, da qualche parte. L’occhio nudo non riesce a vederli, ma qualcosa avviene e li fa affiorare. C’è sempre una esperienza, un incontro, o la fine di una ricerca esistenziale che ci porta a intravedere la presenza e l’azione di Dio nelle nostre vite. Ma non basta percepire, le parabole insistono sul fatto che trovare non significare possedere. Chi trova un tesoro deve rinunciare a tutto il resto, chi trova la perla deve vendere tutto le altre che considerava preziose e chi ha visto i pesci sotto la superficie del mare non può fermarsi a contemplarli ma deve fare uno sforzo per raccoglierli.
Infine tutte e tre ci dicono che chi fa il salto, vendendo, comprando e pescando riceve come ricompensa subito una cosa: la gioia (anche se viene citata solo nella prima parabola). Se si deve rinunciare ai propri beni, a quello che si ha, a qualcosa che dà sicurezza, non è mai per un’ascesi fine a se stessa o per il gusto della rinuncia: è per la gioia, perché il Regno porta una ricompensa infinitamente più grande di quanto si deve lasciare per entrarci. Non si tratta di vivere facendo sacrifici, infatti la parola “sacrifici” nel vangelo di Matteo appare solo due volte ed è per negarli.
In queste parabole Gesù invita a vedere nell’esperienza di Dio il cammino certo per la pienezza di vita alla quale ogni persona aspira. In verità, secondo la terza parabola, Dio non è così nascosto da non farsi trovare. “È simile a una rete gettata in mare che raccoglie ogni genere…”. Dio accoglie tutti, non fa distinzioni e ciò che viene scartato non è una pesce buono o cattivo , che rende l’idea di un giudizio morale ma una pesce vivo da uno morto, putrefatto. La parabola ci fa intendere che chi trova e accoglie l’invito di Gesù e ne diventa discepolo (il nome pesce in Greco è l’acronimo della parola CRISTO) verrà riconosciuto da Dio nell’ultimo giorno. Si, perché con quest’ultima parabola sul Regno Matteo vuole ricordarci che Dio non è solo invisibilmente presente ed attuante nel nostro ora , ma lo sarà anche nel giorno del giudizio dove coloro che hanno seguito Gesù saranno riconosciuti come pesci (cristiani) sani, pieni di vita e non morti/putrefatti e quindi da gettare nel fuoco.
«Avete compreso tutte queste cose?» Gli risposero: «Sì». Ecco la conclusione nella quale l’evangelista probabilmente mette la sua firma: comprendere e scegliere il mistero di Dio alle certezze, alle delusioni e credere nel concreto che le nostre vite siano guidate, alimentate e sostenute da questa sua presenza invisibile che ci guida ai valori del bene e della vita. Chissà se noi cristiani del XX secolo abbiamo capito o meno queste cose? Voi che ne pensate???
Buona domenica!
Fonte: Sito Web
Un luogo dove ascoltare ed approfondire la Parola con l’apporto di P. Arturo, missionario comboniano ?? ???????????, teologo biblista. Se vuoi comunicarti con loro, scrivici a paturodavar @ gmail.com BUON CAMMINO!!!
https://t.me/parolaviva
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