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Luciano Manicardi, Commento al Vangelo di domenica 26 Luglio 2020

Una radicalità gioiosa

Come già nelle due precedenti domeniche, anche la liturgia della XVII domenica del tempo Ordinario dell’annata A presenta un brano evangelico tratto da quel capitolo tredicesimo del vangelo secondo Matteo che contiene essenzialmente delle parabole. E le prime due parabole – brevissime – che aprono la pericope liturgica, la parabola del tesoro (Mt 13,44) e quella della perla (Mt 13,45-46), sono spesso presentate come parabole gemelle. Ma accanto alle analogie che balzano all’occhio già a una prima lettura, si devono cogliere anche le differenze che una lettura attenta fa emergere tra le due. Entrambe parlano del “Regno dei cieli” (vv. 44.45), ma con immagini diverse. Ci si potrebbe chiedere perché il proliferare di immagini paraboliche per parlare dell’unica e medesima realtà del regnare di Dio. Non basta una sola parabola per parlare del Regno perché le parabole non definiscono il Regno, che, appunto, è al di là di ogni definizione. Le parabole, invece, da un lato, accennano a quell’agire di Dio che è eccedente la misura – tanto di ragionevolezza quanto di immaginazione – umana, e dall’altro, ne evocano l’impatto sugli umani. Solo dunque una pluralità di parabole può rendere adeguatamente conto di una realtà che eccede la misura umana. Le parabole devono pertanto essere narrate l’una accanto all’altra e l’una dopo l’altra per evocare nella loro pluralità l’evento inesauribile del Regno di Dio. Come esiste una pluralità di vangeli e non uno solo, così esiste una pluralità di parabole e non una sola. E come i vangeli presentano aspetti differenti e in tensione tra di loro, così le parabole non devono solo essere addizionate l’una all’altra, ma completarsi l’una con l’altra, correggersi l’una con l’altra, dispiegare le loro peculiarità e diversità suggerendo al lettore-ascoltatore una pluralità di vie con cui Dio si manifesta all’uomo e con cui l’uomo può accogliere l’irruzione di Dio nella sua vita. Insomma, questo pluralismo rispetta e onora il mistero di Dio e degli umani. Onora la pluralità delle forme della presenza di Dio nella storia.

In entrambe le parabole l’uomo che ha “trovato” o un tesoro o una perla reagisce a tale scoperta vendendo tutto ciò che ha per acquistare quel bene. Ma l’uomo che trova il tesoro lo trova senza cercarlo, mentre il mercante che trova la perla di grande valore è un cercatore: egli “va in cerca di belle perle” (kaloùs margarítas). Centrale, e comune alle due parabole, è il “trovare”, il ritrovamento, non nel senso di ritrovare, di recuperare ciò che si era perduto (come nella parabola della pecora perduta e della moneta perduta: Lc 15,4-7.8-10), ma nel senso della scoperta, di un novum che irrompe nella vita e nella vicenda di una persona e che ha il potere di sconvolgerne e trasformarne l’esistenza. Nella prima parabola, tuttavia, questo ritrovamento sembra fortuito, mentre nella seconda avviene a seguito di una ricerca. E se la ricerca dice una mancanza e una sete, essa ha a che fare con il desiderio. L’effetto sorpresa del ritrovamento sembra pertanto maggiore nella prima parabola, dove, in effetti, a differenza della parabola della perla, si specifica la reazione emotiva di colui che ha trovato il tesoro e, “pieno di gioia”, vende tutti i suoi averi e compra quel campo” (v. 44). Nella seconda parabola il ritrovamento è preceduto dalla ricerca, ma la perla trovata sorprende il cercatore stesso. Egli cercava belle perle e ora trova una perla preziosissima. La parabola presenta il passaggio dalle molte perle all’unica e sola perla il cui valore supera tutte le altre. Si passa da un ordine di tipo quantitativo a un ordine qualitativo. La perla trovata eccede la ricerca stessa del mercante, supera la sua attesa, e sembra rendere non più necessaria la ricerca di altre “belle perle”. La parabola non dice cosa quest’uomo faccia della perla trovata, come la utilizzi, ma solo che essa acquisisce per lui un valore immenso: essa ha valore di per sé, tanto che egli vende tutto per acquistarla. È come se, metaforicamente, qui fossimo di fronte alla scoperta di ciò che dà valore a tutto, al senso che dà senso a tutti sensi che noi possiamo accordare al vivere. Questa scoperta trasforma anche la ricerca e il desiderio del cercatore: ha valore trasformativo. Trovando la perla preziosissima (polýtimon), il mercante trova altro da ciò che cercava. Chi cerca, desidera, e chi desidera, immagina l’oggetto del desiderio. Qui la perla trovata opera per quest’uomo il passaggio dall’immaginazione alla realtà e lo conduce a una trasformazione esistenziale. A uno sconvolgimento esistenziale. Entrambi i protagonisti delle due parabole, per accogliere ciò che hanno trovato sono condotti a uno spogliamento, a uno spossesso: vendono tutti i loro averi. Capiamo che dietro al tesoro e alla perla si cela il vangelo stesso, il tesoro per cui vale la pena di vendere tutto, di lasciare tutto e seguire Gesù. Ciò che nella parabola è espresso con il verbo “trovare” altrove, nel vangelo, è espresso con il verbo “incontrare”. Non dirà forse Gesù al giovane ricco che aveva incontrato: “Va’, vendi quanto possiedi, dàllo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli; poi vieni e seguimi”(Mt 19,21)? A questo punto possiamo ricomprendere le due parabole aiutandoci con un’antica invocazione: “Tu il tesoro, Tu la perla preziosa; O Signore, Tu hai incontrato me, non io ho trovato Te; Tu hai conquistato e afferrato me, non io ho acquistato Te; o mio Tu, io sono tuo”. Il vero soggetto delle parabole non è l’uomo che ha acquistato il campo o il mercante che ha acquistato la perla, ma proprio il tesoro, proprio la perla preziosa; essi sono la luce che dà nuovo senso e orientamento alla vita e in nome e in vista di cui si può vendere tutto, abbandonare tutto. E farlo nella gioia. La radicalità cristiana è autentica se sigillata dalla gioia. Anzi, la gioia è costitutiva di tale radicalità, perché questa va vissuta come grazia e nel rinnovarsi di una quotidiana gratitudine: noi siamo grati di essere nella gioia.

L’esperienza di chi trova il tesoro o la perla e vende tutto per essi è l’esperienza di chi sente la parola di Dio che gli dice: “Tu sei prezioso ai miei occhi e io ti amo” (Is 43,4). È questo amore il segreto della gioia della radicalità di una vita cristiana, è questo amore il bene prezioso da custodire e salvaguardare, è questo amore del Signore e per il Signore che può rinnovare vite tentate da vecchiezza, stanchezza, insensibilità, cinismo, indifferenza, demotivazione. A noi che nella preghiera diciamo al Signore: “Sei tu il mio Signore, nessun bene per me al di fuori di te” e “Sei tu il mio unico bene” (Sal 16,2) e ancora “In te, o Dio, gioisce il mio cuore, esulta il mio intimo” (Sal 16,9), è chiesto di metterci alla prova se Cristo abita in noi (cf. 2Cor 13,5). E questo perché noi abitiamo là dov’è il nostro tesoro: è il tesoro che ci colloca, che ci situa. Se Cristo abita in noi, noi dimoriamo in Cristo e allora possiamo gioire di gioia indicibile nel cammino verso il Regno. C’è solo da riscoprire ogni giorno la preziosità del dono ricevuto combattendo la tentazione del banale, dello scontato, del “tutto è dovuto”.

Una terza parabola segue quelle del tesoro e della perla. Si tratta ancora di una parabola del Regno ma espressa con immagini tratte dal mondo della pesca (Mt 13,47-48). Questa ulteriore parabola ha anch’essa qualcosa da insegnare circa il Regno di Dio. L’immagine è quella di pescatori che, con una rete a strascico gettata nel lago di Genesaret (chiamato “mare” in Mt 13,1 e 4,18), raccolgono ogni genere di pesci. Trascinata a terra la rete, avviene una cernita tra i pesci buoni e quelli cattivi, ovvero quelli commestibili e quelli impuri o non commestibili. I primi vengono racconti in canestri, i secondo gettati via (letteralmente: gettati “fuori”). I vv. 49-50 propongono un’interpretazione escatologica della parabola: si parla espressamente di “fine del mondo” (o della storia) e, riprendendo essenzialmente il momento della cernita dei pesci, si annuncia la realtà del giudizio finale. Questa parabola, la settima e ultima nel capitolo tredicesimo di Matteo, presenta la prospettiva del giudizio finale come punto di osservazione che suggerisce al lettore la gravità e serietà della situazione e l’urgenza di una scelta nell’oggi storico. Di fronte al regnare di Dio che si è manifestato nella persona e nel ministero di Gesù, occorre una scelta per orientare la propria vita sulla scia del rabbi di Nazaret.

Il discorso in parabole si conclude con una domanda di Gesù ai suoi discepoli sulla comprensione di “tutte queste cose” (v. 51; cf. Mt 13,34), cioè, i “misteri del Regno dei cieli” (Mt 13,11). La risposta affermativa dei discepoli li assimila al seme seminato sul terreno buono: infatti questi “è colui che ascolta la parola e la comprende” (Mt 13,23). La replica di Gesù è forse una maniera discreta con cui Matteo appone la propria firma e rappresenta se stesso come scriba divenuto discepolo di Gesù, colui che è il Regno di Dio in persona. Ma questa parola diviene anche un invito alla sapienza rivolto al discepolo affinché sappia integrare nuovo e antico, in cui il nuovo è espressione nell’oggi dell’antico e l’antico è fondamento del nuovo. Principio che vale certamente per il primo Testamento riletto e attualizzato nel Nuovo, ma anche per le stesse parole evangeliche che devono essere riespresse in ogni epoca in modo nuovo. Anche oggi.

A cura di: Luciano Manicardi
Fonte: Monastero di Bose


Commento al Vangelo del 26 Luglio 2020 – S.E. Mons. Mario Russotto

Il commento al Vangelo di domenica 26 luglio 2020 a cura di Sua Eminenza Monsignor Mario Russotto, Vescovo della Diocesi di Caltanisetta.

Il cristiano crede all’amore, ad un amore senza limiti e senza eccezioni, un amore instancabile e mai deluso, perché crede all’Amore di Dio che si è fatto Uomo per incarnare l’Amore nell’esperienza umana di ogni giorno. Buona domenica!

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Commento al Vangelo di domenica 26 Luglio 2020 a cura di Fabrizio Giannini

Seguo la Tua Parola!

Commento alla Liturgia domenicale di Fabrizio Giannini

p. Gaetano Piccolo S.I. – Commento al Vangelo di domenica 26 Luglio 2020

Amore ed economia

La finanza domina in maniera così pervasiva la nostra vita che spesso arriviamo a confondere i piani: a un certo punto succede di guardare anche le nostre relazioni in termini economici. Viviamo con l’obiettivo inconfessato di portare a termine qualche buon affare, barattiamo l’amore con la nostra dignità, ci vendiamo al primo offerente, inviamo ingiunzioni di pagamento a chi ancora non ci ha ripagato di tutto l’amore che abbiamo versato.

Probabilmente la comunità a cui si rivolge il Vangelo di Matteo viveva dinamiche molto simili, visto che Gesù ha sentito l’esigenza di rivolgersi ai suoi interlocutori usando il linguaggio dell’economia e costruendo immagini che richiamano il mondo degli affari: nei versetti del Vangelo di questa domenica si parla infatti di mercanti e di contadini, ma anche di pescatori, e tutti cercano di trarre vantaggio da quello che succede nella loro vita.

Scegliere e rischiare

Tutti a un certo punto abbiamo bisogno di fare delle scelte, dobbiamo decidere che cosa conta nella nostra vita, dobbiamo scegliere su cosa vogliamo scommettere. E ovviamente non possiamo escludere in maniera definitiva il dubbio: ne sarà valsa veramente la pena? Ad alcuni capita quasi per caso di imbattersi in una relazione che sembra rispondere a quello che da sempre avevano desiderato: il contadino di cui parla Gesù è un uomo che sta facendo il suo lavoro quotidiano, è preso nelle sue abitudini, e forse si è anche dimenticato di quello che avrebbe voluto trovare, potrebbe essere addirittura una persona rassegnata, che però a un certo punto della vita trova finalmente qualcosa di importante. Quello è il momento, non facile, della decisione.

Ci sono però anche coloro che, come mercanti, passano tutta la vita a cercare una risposta alla loro inquietudine. E a volte capita di sfiorare ciò che sembra colmare ogni attesa. Ma anche lì siamo riportati davanti all’esigenza di prendere una decisione. E non si può evitare la sottile tentazione che forse, se avessi cercato ancora, avrei potuto trovare una perla ancora più preziosa. È proprio questo dubbio che molte volte avvelena l’anima e impedisce di spendersi in maniera piena.

Dietro questa insicurezza c’è in fondo un’immagine ingannevole di Dio, come se Dio giocasse a nascondino con noi e si divertisse a rendere complicata la nostra esistenza.

Le parabole che Gesù racconta mostrano invece un volto diverso di Dio: Egli si lascia trovare.

Se diventiamo familiari con Dio, impariamo anche a riconoscerlo nelle situazioni in cui è meno evidente la sua presenza.

Dio esigente e accogliente

È vero però che, dopo aver trovato Dio, occorre anche accoglierlo. Dio infatti non può stare insieme a tutto quello che non ci aiuta a vivere. Dio è esigente ed esclusivo. Non accetta di convivere con tutte quelle altre divinità che ci riducono in schiavitù. Dobbiamo vendere tutto per conquistare il tesoro e la perla. Questa operazione di vendita è ovviamente prima di tutto in nostro favore, perché ci consente di liberarci da tutto quello che ci costringe a essere preoccupati, afflitti e in ansia. Solo un cuore veramente libero può essere conquistato da Dio.

Ma in fondo sperimentiamo questa dinamica anche nelle relazioni affettive: quando un cuore è già occupato da altro, non riesce veramente a innamorarsi di qualcuno. Purtroppo di solito preferiamo vivere di compromessi e portiamo avanti un’esistenza nella quale non arriviamo mai a decidere veramente e per questo non arriviamo mai a essere pienamente felici.

Alla fine c’è la scelta

Le parabole che Gesù ha raccontato diventano efficaci nel momento in cui rivediamo in esse la nostra vita. La parabola è un’immagine davanti alla quale siamo chiamati a prendere posizione: cosa decidiamo di fare?

Ecco perché alla fine del discorso in parabole nel Vangelo di Matteo, Gesù conclude con due riflessioni che riprendono il tema della scelta.

La vita è come una rete a strascico che prende tutto, trattiene pesci di ogni tipo. Così è il mondo, la Chiesa, la comunità. C’è però un tempo nel quale il Signore fa chiarezza. Non dobbiamo dunque meravigliarci se c’è un momento nel quale ci ritroviamo nella stessa rete insieme a chi ci sembra così diverso e lontano da noi.

Le parole di Gesù ci chiedono, dunque, di scegliere da che parte vogliamo stare, per questo il discepolo diventa tale solo quando impara a discernere.

Imparare a discernere significa affrontare le situazioni nuove della vita alla luce dell’esperienza e di tutto quello che abbiamo capito con la nostra intelligenza. Senza questo cammino non si arriva mai a diventare discepoli, ma si rimane non tanto degli scribi (che sarebbe comunque già un complimento), ma degli scribacchini, persone cioè che conoscono le carte a menadito, ma non sanno come usarle. Possiamo conoscere le norme, i precetti, le regole, ma non è detto che possediamo anche la saggezza di applicarle di volta in volta alle situazioni della vita. Questa saggezza infatti è un dono di Dio, non una competenza personale. Salomone ottiene un cuore saggio grazie alla preghiera!

Il discernimento ci aiuta a fondare in maniera stabile le nostre decisioni, ma non toglierà mai quella parte di rischio che inevitabilmente appartiene alla nostra vita.

Leggersi dentro

  • Che cosa ti sembra di non riuscire a vendere per essere pienamente conquistato da Cristo?
  • Ti eserciti nel discernimento per diventare un discepolo sempre più autentico?

P. Gaetano Piccolo S.I.
Compagnia di Gesù (Societas Iesu)Fonte


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don Roberto Seregni – Commento al Vangelo del 26 Luglio 2020

Ognuno di noi, anche chi non lo sa, è alla ricerca di un tesoro. Lo chiamiamo felicità, serenità, gioia, pienezza, bellezza… C’è chi lo trova quasi per caso, come l’uomo che scopre il tesoro nascosto in un campo; o chi lo trova dopo una lunga ricerca, come il mercante di perle. Il Regno di Dio, dice Gesù, è così: è per chi lo cerca, ma anche per chi non lo cerca e, incontrandolo, si lascia conquistare.

I due contesti sono diversi, certo, ma la reazione dei protagonisti è la stessa: vendono tutto, e lo fanno con gioia e senza esitazione. Il Regno di Dio è così: ti chiede tutto, e ti restituisce molto di più di quello che puoi immaginare.

Mi piace sottolineare la gioia e la prontezza, che sono due caratteristiche di chi si è lasciato conquistare dal Regno di Dio. La gioia è il linguaggio di Dio, è l’esperienza profonda e grata della sua presenza che accompagna il cammino e sostiene nelle fatiche. La prontezza è la risposta dell’uomo che si consegna nelle mani del Padre e si abbandona fiduciosamente alla sua volontà.

Ed è bello anche osservare che il coinvolgimento dei due uomini è totale, sembra davvero che non abbiano nessun altro interesse che conquistare quel tesoro che li ha conquistati. È quello che ha sperimentato Paolo: “Tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo” (Fil 3,8).

Coraggio cari amici, lasciamoci conquistare dal Regno di Dio e dalla sua giustizia; lasciamoci travolgere dalla gioia per sperimentare la sublimità della conoscenza di Cristo, nostro Signore.

Uniti nella preghiera
Don Roberto

Se vuoi continuare a meditare sulle parabole di Gesú, mi permetto di consigliarti il mio testo “Risillabare la Parabole”, edito con Ancora. È un libro scritto per essere letto personalmente, ma anche in gruppo (di giovani, di famiglie, di volontari…). Ogni capitolo, infatti, termina con domande per riflettere e condividere la Parola.


Don Roberto (prete missionario della Diocesi di Como) – Sito Web

Fonte: il canale Telegram “Sulla Tua Parola“.

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Commento al Vangelo del 25 Luglio 2020 – Massimiliano Arena

Commento al Vangelo della 17ma Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) di Domenica 126 luglio 2020 a cura del Prof. Massimiliano Arena

IL CORAGGIO DI INVESTIRE PER SE STESSI

Gesù ci aiuta a guardare con Sapienza la vita per comprendere come e dove investire noi stessi senza disperdere energie (Video girato nelle colline tra Mattinata e Vieste sul Gargano, ad altezza di Vignanotica).

È possibile trovare commenti e riflessioni su www.massimilianoarena.net e su www.facebook.com/VangeloSocial

Link al video

Fonte

A cura di Massimiliano Arena

Sono nato il 16 Settembre del 1984 a Manfredonia (Provincia di Foggia- Puglia), una meravigliosa città di cui sono innamorato, incastrata tra il blu cristallino del mare Adriatico ed il verde delle montagne del Gargano che proteggono le sue spalle.
Dopo un percorso di ricerca vocazionale verso il sacerdozio ho deciso di vivere il mio impegno nella società e nella Chiesa da laico. […]

Alberto Maggi – Commento al Vangelo di domenica 26 Luglio 2020

Commento video (e trascrizione) al Vangelo di p. Alberto Maggi OSM

Link al videoSito Web

VENDE TUTTI I SUOI AVERI E COMPRA QUEL CAMPO

Nel capitolo 13 del vangelo di Matteo, Gesù, con tre parabole, ha messo in guardia la comunità contro i tre rischi, contro le tre tentazioni: con la parabola della zizzania ha messo in guardia la comunità dalla tentazione di essere una comunità di eletti; con la parabola della senape dalla tentazione della grandezza e, infine, con la parabola del lievito dallo scoraggiamento. Ora come antidoto a queste tre tentazioni, Gesù invita alla fedeltà alla prima beatitudine, lo fa di nuovo con delle parabole.

Leggiamo, è il capitolo 13 versetto 44 di Matteo: “il regno dei cieli”, ricordo che regno dei cieli non si intende un regno nell’aldilà, un regno nei cieli, ma il regno di Dio, cioè la società alternativa che Gesù è venuto a realizzare su questa terra, “è simile a un tesoro”, il termine tesoro apre e chiude questo brano, quindi è all’insegna della bellezza, dello splendore, “nascosto nel campo; un uomo lo trova”, questo uomo non cercava il tesoro, lo ha trovato, è stata un’opportunità che lui ha saputo cogliere al volo nella sua vita e, senza esitare, scrive l’evangelista “lo nasconde; poi va, pieno di gioia”, letteralmente per la gioia di aver trovato questo, “vende tutti i suoi averi”, non ci ripensa, “e compra quel campo”. C’è San Paolo nella lettera ai Filippesi, che scrive: quello che per me era un guadagno, l’ho considerato una perdita a motivo di Cristo; per Lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura. Quando s’incontra Gesù ed il suo messaggio, questa è la risposta a quel desiderio di pienezza di vita, che ogni persona si porta dentro, e tutto il resto perde valore.

Continua Gesù, che sempre “il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose“, mentre il primo uomo lo ha trovato per caso, ha saputo cogliere al volo l’occasione, l’opportunità della sua vita, il secondo invece è uno che cerca questa occasione, “trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra”. Quello che vuol dire l’evangelista è che seguire Gesù non è a costo di chissà quali sacrifici, il termine sacrifici appare soltanto due volte e in senso negativo in questo vangelo, ma per la gioia, il termine gioia appare nel vangelo di Matteo per ben sei volte.

Ma continua Gesù: “Ancora, il regno dei cieli è simile ad una rete gettata nel mare”, Gesù ha invitato i suoi discepoli ad essere pescatori di uomini e ora dice come devono pescare, “che raccoglie ogni genere”, non c’è nel testo “di pesce”, è un’aggiunta del traduttore, quindi raccoglie di tutto. L’offerta di Dio, l’offerta del suo amore, è per tutta l’umanità, sta agli uomini poi rispondere o meno, “Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via”, e qui purtroppo la traduzione c’ha “cattivi”, che indica un giudizio morale da parte del pescatore. No, non è così, “butta via i marci”, il termine adoperato dall’evangelista è marcio, non è un giudizio, buoni e cattivi, è una constatazione: quelli che possono portare vita e quelli che invece sono marci, quindi non è un giudizio morale, ma una constatazione. Quelli che scelgono la vita sono pieni di vita, quelli che scelgono la morte, sono pieni di morte, quindi sono inutili.

E infatti continua Gesù: “Così sarà alla fine”, non del mondo, ma “dei tempi”, “Verranno gli angeli e separeranno i cattivi”, letteralmente i maligni, sono come i seminatori di zizzania, sono i figli del diavolo, “dai”, non è buoni, “giusti”, giusti significa i fedeli, i fedeli al messaggio di Gesù, “e li getteranno nella fornace ardente”. Questa è una citazione del profeta Daniele, il capitolo 3 versetto 6, dove la fornace ardente era la pena per chi non adorava il potere espresso dalla statua di Nabucodonosor. Ecco, ora invece per Gesù, la fornace ardente – fornace ardente cosa significa? distruzione completa – è la fine di chi adora il potere. Quindi quelli che scelgono l’amore, la condivisione, la generosità, il perdono, questo è il regno dei cieli, è il regno di Dio che Gesù è venuto ad inaugurare, sono pieni di vita e la comunicano; quelli che invece scelgono l’ egoismo, l’avidità, il potere, sono pieni di morte. Allora non c’è un giudizio da parte di Dio, ma semplicemente una constatazione tra chi è pieno di vita e chi invece è già nella putrefazione della morte; “dove sarà pianto e stridore di denti”, immagine biblica che indica il fallimento nella vita.

Al termine delle sette parabole del regno, Gesù dice: “Avete compreso tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì». Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba”, lo scriba era il personaggio importante, era il maestro per eccellenza di Israele, rappresentava il magistero infallibile, “divenuto discepolo”: anche il maestro, di fronte alla novità di Gesù, deve tornare a scuola, deve diventare discepolo, forse questo è un po’ il ritratto dell’evangelista. “del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro”, ecco la parola tesoro ha aperto il brano e lo chiude, “cose nuove”, letteralmente migliori, l’evangelista adopera lo stesso termine che, nel vangelo di Giovanni, indicherà il comandamento nuovo, il comandamento migliore, “dalle cose antiche”, cosa vuol dire l’evangelista? Che il messaggio di Gesù ha sempre la precedenza su quello di Mosè: la nuova alleanza viene prima dell’ultima alleanza dell’antico testamento.


p. Enzo Fortunato – Commento al Vangelo del 25 Luglio 2020

Buongiorno brava gente e pace e bene.

Oggi condividiamo alla luce del Vangelo la festa di San Giacomo e le sue gesta con Gesù… Insieme a lui un cambio di mentalità… Che ne dite?…

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don Alessandro Dehò – Poesia al Vangelo del 26 Luglio 2020

Per quando

Per quando la vita è inciampata nelle mie miserie,

ed ha sorriso.

Per quando non si è scandalizzata di me,

per quando qualcuno ha trovato un tesoro sepolto proprio sotto le rughe dei miei giorni,

per quando l’ha trovato per caso e non me l’ha fatto pesare,

per quando l’ha trovato e io non ci credevo.

Per quando chi mi amava non ha smesso di scavare nonostante le mie resistenze,

per quando non c’è stato fatalismo ma l’incontro con un Dio inaspettatamente

comico travestito

da dea fortuna, o destino, o fato. E ridendo ha sfiorato la mia fronte.

Per quando chi mi amava ha deciso di perdere tutto di me,

ma proprio tutto, pur di non perdermi.

Per chi, dopo aver dato al mondo tutti i suoi averi, è riuscito a rimanere solo, e nudo, ed esposto con tutto il suo essere vulnerabile davanti a me.

Per quando chi mi amava ha scelto la scandalosa maturità della zolla affamata di seme.

Per quando tutto questo è avvenuto proprio a me, e ve lo giuro, è avvenuto.

Per quando io non riuscivo a credere a quel tesoro,

e non riuscivo a credere che era me

ma proprio non potevo negare la gioia negli occhi di chi mi amava, beh, per tutto questo: grazie

è il Regno dei Cieli

è il Vangelo

è qualcosa che mi sembra Dio.

E io non lo so bene se ho fede oppure no ma quando è successo io so che sono stato felice di essere stato partorito al mondo. E credo che anche Dio lo fosse. Come chi trova un tesoro.

Per quando mi ero perso ma la Vita segugio è venuta a cercarmi,

per quando ho lasciato perdere ma la storia è tornata a bussare,

proprio alla porta della mia, della mia storia.

Per quando ho buttato tutto credendo fosse senza valore,

per quando qualcuno ha dimostrato che non potevo essere io a decidere la preziosità di me stesso.

Per quando l’amore si è fatto cocciuto, tormento, assillo.

Per quando qualcuno ha deciso che non c’era nessun altro da cercare ma me, proprio me, ed è successo, ve lo giuro.

Per quando ho avuto rabbia per quella fissazione

e poi paura

e poi vergogna

e poi ho ceduto.

Per quando ho accettato che dentro lo scarto dei miei giorni si annidasse una perla.

E non ho avuto paura di riconoscere che ero io

perché era scritto negli occhi di chi mi cercava.

Per tutto questo: grazie.

A Dio, al Regno, alla Vita. A Qualsiasi Accadimento di cui ancora non conosco nome.


Per quando si vive così come viene, come rete gettata nel mare

per quando tutto si prende e poi si deciderà cosa trattenere

per la vita normale

feriale

per quel suo raccogliere pur di giustificare la rete prima che sia troppo tardi

per la pazienza di chi ha trattenuto il bello e sorridendo non mi ha fatto pesare lo scarto

Per tutto questo, solo, grazie.

 Solo, grazie.

Ora posso sedermi sul bordo del campo, in riva al mare

e da discepolo della vita ringraziare per ciò che è stato

cose nuove e cose antiche

cosa importa? “tutto concorre al bene

se non si nega la verità,

se non si ha paura di mostrarsi per quel che si è

di leggersi in occhi altri

poveri martiri bisognosi di un Dio

insopportabile e infaticabile

cercatore di preziosi.


AUTORE: don Alessandro Dehò
FONTE: Sito personale
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don Ivan Licinio – Commento al Vangelo del 25 Luglio 2020

FESTA DI SAN GIACOMO

«Di’ che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno».

Erano detti boanerghes, Giacomo e Giovanni, cioè figli del tuono. E nel Vangelo di oggi risulta chiaro che hanno preso dalla madre! Questa mamma che interferisce, pretende, porta scompiglio tra i dodici… Insomma questa donna era tutt’altro che discreta e misurata.

Inoltre aveva il vizio di molte mamme: essere paladina per i propri figli.
Del resto funziona sempre così. Pensiamo alla scuola, dove spesso le mamme prendono le difese dei figli a spada tratta, contestando l’autorità dell’insegnante.
Eppure Gesù ha parlato chiaro: solo con il cammino della croce si conquista la resurrezione. Ma bisogna berlo questo calice amaro. E non potrà essere la mamma di turno ad evitare la sofferenza di un figlio.

Obiettivo di ogni mamma – e di ogni educatore – non è quello di proteggere i ragazzi, ma quello di essere pronti a sostenerli quando cadono. Il loro compito è quello di aiutarli ad apprendere che da un fallimento si può imparare quanto da un successo e che può essere più mortificante e pericoloso un bel voto immeritato, piuttosto che un brutto voto giusto.
Così, da buon educatore, Gesù zittisce la mamma di Giacomo e Giovanni e ripone tutti e tre sulla strada sicura e salvifica della croce.

Buon cammino, insieme.


Fonte: don Ivan Licinio su Facebook