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p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 28 Luglio 2020

Si diceva un tempo che quando non si sapeva di cosa parlare o non si voleva parlare di cose importanti, si parlava del tempo. Cosa vogliamo evitare parlando del tempo, che cosa vogliamo raggiungere non parlando di ciò che maggiormente ci sta a cuore?

L’altro argomento importante che occupa le nostre giornate per non parlare di cose serie, è il parlare dei difetti degli altri, dei loro sbagli. La misericordia è data a noi per gli altri, noi invece la usiamo per giustificare noi stessi e per condannare gli altri. Se non fosse cosa seria la condanna del prossimo, ci sarebbe materia per rendersi ridicoli quando giustifichiamo noi stessi e condanniamo gli altri. La verve adolescenziale che c’è in noi viene a galla con tutta la sua forza e mette in atto tranelli disumani con cui noi pensiamo di difenderci dal cosiddetto mondo malvagio.

Il giudizio di Dio è solo suo ed è solamente alla fine dei tempi, non possiamo continuare il gioco al massacro dove noi ci mettiamo al posto di Dio e dove noi giudichiamo oggi ciò che è solo del domani. Il presente è il tempo della grazia, è il tempo della pazienza come virtù che non è nata per sopportare ma per guardare avanti, per guardare il futuro. Il futuro è questo: che tutti siano salvi e che tutti giungiamo a conversione e a salvezza. Come? Il come è cosa di Dio ed è cosa secondaria rispetto alla sostanza che è la salvezza da Lui a noi donata e che noi dobbiamo accogliere.

Ma se noi abbiamo comprensione con tutti non si rischia il disimpegno? Se Dio perdona comunque, allora si può fare quello che si vuole, quello che ci pare e piace trascurando l’amore? Qui, non vi è dubbio, facciamo un passo indietro: da adolescenti diveniamo bambini capricciosi. Un ragionamento che è insensato e che di ragionamento ha ben poco.

Sarebbe come dire: “Mia madre mi vuole bene e non si vendica. Allora posso impunemente maltrattarla”. Può avvenire questo? Sì! Ma non venitemi a dire che questo sia bello, buono e giusto e che questo faccia parte dell’orizzonte della nostra speranza.

In fondo questi versetti di vangelo ci dicono che l’altra faccia della medaglia della libertà, a cui noi tanto guardiamo, è la responsabilità, che noi così poco ascoltiamo. Essere responsabili significa essere persone che non giudicano ma usano misericordia. La comunità cristiana non è una setta di giusti e neppure una banda di malfattori. La comunità cristiana è una comunità di misericordia verso l’altro.

Ascoltare la zizzania che c’è in noi e intorno a noi e contemplare la misericordia che viene a noi è la strada non per perdere giudizio ma per far sì che il giudizio diventi creativo nel fare crescere la vita proprio laddove la vita è deficitaria. Vedere il deficit di vita per amare la vita e creare condizioni perché la vita possa fare un passo avanti, è misericordia che fa nascere vita e non la uccide col giudizio.

Non possiamo separare il male dal bene, la zizzania dal grano buono. Non possiamo neppure continuare a vedere Dio come separato dall’uomo. L’uomo è distinto da Dio, non separato. Come il male è distinto dal bene, non separato. Come la zizzania è distinta dal grano buono, non separata. La vita di Dio e la nostra libertà sono distinti ma guai se le vivessimo come realtà separate: sarebbero due realtà zoppe. L’uomo senza Dio come Dio senza l’uomo non stanno in piedi e non camminano. L’azione di Dio rende possibile l’azione dell’uomo. Come l’azione dell’uomo porta a buon fine, a compimento, l’azione di Dio.

Noi siamo nella misura in cui rispondiamo liberamente all’azione di Dio in noi. Dio non si sostituisce a noi ma ci fa come Lui fino a potere dire che: siamo tutto nostro Padre, è tutto suo Padre.

Questa è la nostra salvezza: diventare ciò che siamo.


AUTORE: p. Giovanni Nicoli 
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fra Mario Berišić – Commento al Vangelo del 28 Luglio 2020

Dentro i discepoli è nato il bisogno di sapere di più da quello che Gesù rivelava nelle parabole, che Gesù ha usato come esempio per alcune situazioni, così abbiamo bisogno anche noi dello Spirito di Gesù per farci conoscere le profondità del suo insegnamento : In quel tempo: Gesù lasciato la folla entra nella casa.

I discepoli gli si avvicinarono e gli dissero: “Spiegaci la parabola della zizzanie nel campo”. Gesù non era sempre chiaro ai suoi discepoli, ancora meno per chi lo ascoltava qua e là, sebbene parlasse molto semplicemente. Coloro che entrano in relazioni più profonde con Lui hanno semplicemente il privilegio di saperne di più, infatti ai discepoli Gesù spiega alcune parabole in privato, soprattutto questa sul seme e la zizzania. Gesù spiega questa parabola in modo cristallino, noi siamo il seme della parola di Dio, il seminatore è Gesù Cristo che semina in noi la sua parola.

La zizzania è un male che ci opprime, che vuole consumare la nostra vita e tutto nostro impegno per il quale Dio ci ha dato la forza. Il seminatore delle zizzanie è il male o il diavolo. Il suo ruolo è di sterilizzarci e renderci sterili, in modo che Dio non possa mai nutrire gli altri con i nostri frutti. La raccolta è, come dice l’evangelista Matteo, la fine del mondo e di ogni vita terrena. Cosa possiamo estrarre utile per le nostre vite dalla parabola del grano e della zizzania?

Ciò che dobbiamo imparare è saper semplicemente essere pazienti, cioè convivere anche con il male. Se Dio non rimuove da noi alcuna zizzania, che sta soffocando il nostro frutto della vita, il nostro grano, allora lo fa perche vuole rendere il grano più forte e vuole che diventa ancora più solido e più grande.

Gesù ci ha dato la forza è il senso di vivere con la zizzania, cioè vivere alcune situazioni difficili, vivere con alcune persone difficili, vivere alcune malattie che sono l’immagine della zizzania.

Commento a cura di fra Mario Berišić OFMCap

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Commento al Vangelo del 28 Luglio 2020 – Don Francesco Cristofaro

Vangelo del giorno e breve commento a cura di Don Francesco Cristofaro.


AUTORE: Don Francesco Cristofaro
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Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 28 Luglio 2020

Gesù in questi giorni ci sta donando tante parole, insegnamenti dati per immagini, che ci colpiscono ma a volte risultano oscuri ai nostri orecchi e al nostro cuore. Oggi gli stessi discepoli hanno bisogno di fermarsi, in un luogo raccolto, nella casa: luogo dell’intimità di Gesù con i suoi, con coloro ai quali “è datò conoscere i misteri del regno di Dio” (Mt 13,11). All’interno essi chiedono di ricevere una parola in più, la parola di “spiegazione” (cf. v. 36): una parola che renda più comprensibile per loro le immagini delle parabole. Desiderano capir e Gesù non nega, non ci nega, una parola chiara, di insegnamento, e prontamente dona loro ciò di cui hanno bisogno.

Come già per la parabola del seminatore, Gesù scioglie per i suoi discepoli un’altra parabola densa di immagini, quella del grano e della zizzania. Se nella parabola in origine la domanda era “Da dove viene la zizzania?” (Mt 13,27), ora Gesù ci fa spostare lo sguardo. Gesù rimanda alla mietitura, “la fine del mondo” (v. 39), il compimento del tempo, il giudizio del bene e del male, e nel presente fissa il suo sguardo sulla nostra identità di figli, su chi siamo nel campo del mondo.

Quali “figli” siamo? Figli del “Figlio” o del nemico? Perché vi è il buon seme, seminato dal “Figlio dell’uomo” (v. 38), che sono i figli del Regno, e poi vi è la zizzania, “i figli del Maligno”, seminati non dal Figlio ma dal nemico. Entrambi continuano a seminare: l’uno semina vie di bene, di comunione, di solidarietà, di vicinanza, di cura, di attenzione, l’altro semina separazione, vie di discordia, di violenza, di indifferenza, di cattiveria, di egoismo. Sono chiaramente due vie ben distinte, diverse, ma si mescolano nel “campo che è il mondo” (cf. v. 38), il cuore di ciascuno di noi. Nonostante la forza vitale del vangelo, il nemico continua ad avere un’estrema forza nel seme di male che seminato cresce e si diffonde, perché trova il terreno nel quale crescere.

Nel campo la nostra identità di figli ha la possibilità di crescere, ma cresce ambigua: i semi seminati dal Figlio e dal nemico si mescolano. Gesù spiegando ci chiama alla vigilanza proprio su questa coesistenza in noi dei diversi semi che lasciamo crescere e ci rimanda all’oggi, il presente, come il tempo di piccole e personali mietiture. Personali perché è sul campo del nostro cuore che noi possiamo tentare di lavorare e sradicare il seme della zizzania, per il resto giungerà un tempo altro. Ora è il tempo della quotidiana e personalissima scelta tra l’una e l’altra via, tra il Figlio e il nemico, su questo possiamo esercitarci continuamente a discernere. Gesù ci invita quindi a scegliere quale relazione filiale curare, quali figli vogliamo essere, ci chiede di impegnarci ad “ascoltare” (cf. v. 43) la parola del vangelo che ci viene dal Figlio. Figlio che ha saputo coltivare la relazione con il Padre e nella parola del quale troviamo ciò che può farci crescere come figli dello stesso Padre. Nell’ambiguità del campo in cui tutti i semi trovano spazio, la filialità a immagine di Gesù può crescere per giungere a portare frutti che solo alla fine saranno rivelati, e può crescere all’interno di una cura costante della illuminante relazione con il Padre. La verità cui aneliamo, la nostra verità sarà rivelata solo alla fine, solo alla luce del Padre. Nell’oggi pazientiamo nel lento e faticoso lavoro di discernimento e di cura del nostro cuore per crescere sempre più come figli nel Figlio.

sorella Elisa


Fonte

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Gesuiti – Commento al Vangelo del giorno, 28 Luglio 2020

Come è possibile, Gesù, accettare che il grano e la zizzania crescano insieme? Come si fa a tollerare anche la presenza del male nel nostro cuore e nel mondo senza prodigarsi per estirparlo appena riconosciuto? Spiegaci, Signore…

I nostri occhi vorrebbero vedere soltanto spighe di grano all’orizzonte, frutti di bene che maturano nelle nostre vite, buone notizie che riempiono le pagine dei giornali e invece ci scontriamo quotidianamente con la presenza, a volte lontana, a volte vicinissima, del male.

Il tuo sguardo, Signore, è diverso, sei disposto ad accettare che anche la zizzania cresca in noi perché neanche un chicco di grano vada perduto.

Il nostro compito allora è chiederti la grazia del discernimento per riconoscere ciò che produce e alimenta la vita da ciò che invece assopisce il desiderio e porta alla morte, la pazienza nell’attesa per accogliere con misericordia anche il male commesso e subito, la speranza che al momento opportuno vedremo risplendere alla tua luce ogni figlio, per noi fratello.

Anna Laura Lucchi Filippo Zalambani


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Fonte: Get up and Walk – il vangelo quotidiano commentato

don Pasquale Giordano – Commento al Vangelo del 28 Luglio 2020

I figli del Maligno sono i figli di Dio corrotti

Martedì della XVII settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

I discepoli, mescolati con la folla, avevano ascoltato la parabola del grano e della zizzania; una volta entrati in casa chiedono a Gesù di spiegarla. Essi hanno ascoltato con gli orecchi ma desiderano comprenderla col cuore. La spiegazione funge da ponte tra l’immagine e la realtà. È un passaggio importante perché il vangelo non è una cosa astratta ma s’incarna nella realtà del mondo. Altrettanto reale è l’anti-vangelo che pure attecchisce nello stesso campo nel quale Dio semina. 

La Parola di Dio fa di coloro che l’ascoltano e la comprendono, cioè la meditano e la interiorizzano, i figli del Regno. Chi vive il vangelo e ne assimila la logica, in qualsiasi luogo o situazione o condizione di vita si trovi, contribuisce a realizzare il Regno di Dio. I figli del Regno sono sparsi nel mondo per fare di esso il Regno di Dio. Chi sono i figli del Maligno? I discepoli di Gesù potrebbero pensare che i figli del Maligno sono i pagani o quelli che non appartengono alla comunità visibile della Chiesa. In realtà i figli del Maligno possono essere i cristiani stessi che in apparenza sono seguaci di Cristo, ma che nel segreto del loro cuore seguono la logica di satana. Chiunque si fa giudice accusatore dei fratelli è zizzania che insidia la crescita degli altri fratelli.

A tal proposito San Paolo ricorda a coloro che si ergono a giudici dei fratelli provenienti dal paganesimo, che avevano tradizioni alimentari diverse da quelle ebraiche, che: «Il regno di Dio infatti non è cibo o bevanda, ma giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo: chi si fa servitore di Cristo in queste cose è bene accetto a Dio e stimato dagli uomini» (Rm 14, 17-18). Dunque i figli del Regno sono coloro che favoriscono la giustizia con gesti concreti di carità, che costruiscono ponti di pace e riconciliazione, che portano la gioia della comunione fraterna. Al contrario quando lasciamo spazio all’opera del Maligno, che agisce sempre nell’oscurità e nel nascondimento, diventiamo ipocriti, cioè nascondiamo dietro la maschera di persone cortesi pensieri giudicanti e, con le parole cariche di disprezzo e le azioni discriminatorie, inquiniamo il mondo che Dio ci ha dato per farne un giardino. I figli del Maligno sono presenti nella Chiesa stessa e, in quanto tali si oppongono all’azione della grazia di Dio e sono causa di scandalo per gli altri fratelli. 

Da qui l’invito a lasciarci giudicare da Dio per essere strappati non dalla Chiesa, ma dal potere del Maligno. La Parola di Dio ha il potere di liberarci dal male e restituirci la bellezza e la bontà che ci è stata donata sin dall’inizio.

Auguro a tutti una serena giornata e vi benedico di cuore!


Commento a cura di don Pasquale Giordano
FonteMater Ecclesiae Bernalda
La parrocchia Mater Ecclesiae è stata fondata il 2 luglio 1968 dall’Arcivescovo Mons. Giacomo Palombella, che morirà ad Acquaviva delle Fonti, suo paese natale, nel gennaio 1977, ormai dimissionario per superati limiti di età… [Continua sul sito]

Sr. Palmarita Guida – Commento al Vangelo del 28 Luglio 2020

Gesù chi parla apertamente dell’azione del demonio nella vita del mondo. Il demonio semina la zizzania, il male, ciò che è tossico, ciò che velenoso… tale è il seme della zizzania che assomiglia in modo straordinario al grano.

È tipico dell’azione del maligno confondere scimmiottare Dio, far passare il male per bene. Allora l’attenzione del cristiano deve essere di saper cogliere la zizzania ovunque si trovi, nella propria vita, e a saper fare la distinzione ma senza avere la pretesa di condannare o di giudicare il male: tutto questo tocca a Dio, è il suo mestiere, lasciamo a Lui di giudicare il male e chei opera il male, noi cerchiamo di essere un buon grano quello che viene appunto seminato dal cuore di Dio.

Chi vive nell’amore che Dio riversa nel suo cuore, certamente è un buon grano, certamente porta nel Regno la fecondità di Dio. Il grano è proprio il simbolo della fecondità della farina che dà pane, quindi dà vita: l’elemento essenziale per la vita dell’uomo. L’essenziale è l’amore, tutto ciò che è contrario all’amore non viene mai da Dio. Viene dal demonio. Impariamo a dare anche noi i nomi Giusti ai valori, alle situazioni che viviamo, e chiediamo al Signore di tenerci lontano dallo spirito della zizzania, di non essere noi operatori di zizzania. D’altra parte si tratta di appartenenza.

Gesù qui parla di “figli”, quindi un’appartenenza molto stretta al bene o al male. A chi vogliamo appartenere? Questa domanda oggi solleciti il nostro cuore di una profonda riflessione. Il bene e il male coabitano in noi. Sta a noi distinguerli e optare sempre per il bene. Il cristiano gioca tutta la sua vita sull’amore. E questo comporta impegno. Ma dà ricompensa eterna e gioia duratura.


A cura di Sr Palmarita Guida della Fraternità Vincenziana Tiberiade 


Fabrizio Morello – Commento al Vangelo del giorno, 28 Luglio 2020

La liturgia persevera nel parlarci del “ Regno dei Cieli “.

Vuole, probabilmente, richiamarci alla grande importanza del tema per la nostra fede.

Se deve essere la “ nostra meta “, è necessario capire bene cosa sia questo “ Regno “.

Oggi, in particolare, Cristo lo paragona ad un campo di frumento a cui si è mescolata la zizzania.

Zizzania.

E’ una pianta erbacea simile al frumento, che nasce nei campi coltivati e che produce una farina tossica, la quale nuoce al frumento, con il quale si confonde.

Da cio’ nasce l’espressione “ seminare ” o “ mettere zizzania ”, che significa creare, subdolamente e con malignità, ostilità fra le persone.

E’ accaduto al Signore e…accadrà anche a noi: è questo l’insegnamento da trarre.

Dobbiamo prendere atto che se vogliamo iniziare a costruire “ il regno dei cieli “ già su questa terra, seminando buon frumento, cioè diffondendo la Parola, testimoniando la nostra fede, ci sarà qualcuno che ci osteggerà, ci combatterà, ci calunnierà, metterà, cioè, zizzania, per cercare di screditare noi e, soprattutto, la Parola.

Animo dunque…, è successo a Cristo e, quindi, non lamentiamoci, anzi, insistiamo, quando capiterà a noi poiché….. sappiamo come andrà a finire.

Quando saremo faccia a faccia con Cristo, se avremo perseverato e avremo sempre seminato frumento “ splenderemo come il sole nel Regno del Padre “.

Chi, invece, avrà seminato zizzania, sarà “ gettato nella fornace ardente “.

Restiamo sempre creatori di unione, di concordia, e mai di divisione.

Buona giornata e buona riflessione a tutti.


don Marco Scandelli – Commento al Vangelo del 28 Luglio 2020

Il commento di don Marco Scandelli

Iniquità: invidia, gelosia, inimicizia contro l’innocente

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AUTORE: don Marco Scandelli
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don Antonio Savone – Commento al Vangelo del 28 Luglio 2020

Sulle rive del fiume Giordano era stato annunciato come il Messia della separazione e della purificazione: finalmente stava per venire colui che avrebbe pulito l’aia dalla pula, avrebbe posto la scure alla radice. Giovanni Battista si faceva interprete di una attesa che era di tutta una fascia di persone che coltivava la pretesa di costruire un popolo santo di fedeli osservanti della Legge. Viene il Messia, nulla di tutto questo. Anzi! Sembra vada nella direzione opposta rispetto alle attese del popolo e dello stesso Giovanni che gli manderà addirittura a chiedere, scandalizzato com’era: sei tu colui che deve venire o dobbiamo attendere un altro?

Non apparterranno a Gesù i verbi suggeriti da Giovanni. Ne coniugherà un altro: voce del verbo lasciare. Non il lasciare della rinuncia ma il permettere che l’altro sia. Lasciare: il verbo del mite, colui che lascia che l’altro sia. Verbo che a fatica sentiamo nostro soprattutto quando si tratta di qualcosa che non rientra nel nostro orizzonte interpretativo. Vorremmo continuamente porre linee di demarcazione tra il bene e il male, tra i buoni e i cattivi, tra chi è dei nostri e chi non lo è. Vorremmo finalmente che la comunità cristiana (soltanto questa?) sia un luogo di puri.

Appartiene anche a noi lo zelo dei discepoli che vorrebbero riconoscere l’evidenza del regno di Dio, che invece manterrà sempre la misura umile del granellino di senapa e del poco lievito in grado di far fermentare tutta la pasta. Ciò che ci manca è quello sguardo profetico che ci permette di riconoscere l’interminabile travaglio del suo regno, la sua continua gestazione.

La pagina evangelica, piuttosto, che parla della e alla vita ci restituisce un dato incontrovertibile: Ambiguo è il tempo – ogni tempo – che viviamo. E non solo fuori di noi ma anzitutto dentro di noi. Un’ambiguità che ci appartiene e ci accompagna. Perciò bando ad ogni sterile allarmismo oggi tanto frequente anche sulle nostre labbra come se tutto dipendesse solo ed esclusivamente da noi, rimasti gli ultimi strenui difensori della verità delle cose. Bando ad ogni fretta di voler finalmente situazioni chiare e distinte. A fronte dell’allarmismo e della fretta dei discepoli (vuoi che…?) la mitezza e l’indulgenza del Signore (lasciate…). A chi vorrebbe farsi prendere dalla smania di estirpare il Signore propone il far crescere…

Altro è lo sguardo di Dio sul mondo, sulla storia, su di me. Ed è questo sguardo che dobbiamo imparare a fare nostro ponendoci continuamente in ascolto della parola del vangelo, per non lasciarci guidare da disamine sul reale tanto sicure quanto sommarie.

Il problema non è stabilire ciò che è bene e ciò che è male e finalmente distinguerlo. A tema c’è piuttosto come stare in un tempo segnato inevitabilmente dalla presenza del male. È in questo tempo pure ambiguo, infatti, che il regno di Dio è già all’opera.

La prospettiva non è quella di costituire un gruppo di soli giusti ma stare con pazienza in questo tempo, nella consapevolezza che non è questa l’ora per giudicare e che non spetterà a noi il farlo. Il rischio di estirpare il grano con la zizzania è dietro l’angolo. Non è forse accaduto così con Gesù, grano estirpato perché non corrispondente alle aspettative separatiste di un gruppo?

Gesù non coniugherà mai i verbi della separazione ma quelli della prossimità a tal punto da essere annoverato tra gli empi. Osare la prossimità, rischiare la prossimità: ecco i verbi consegnati alle nostre comunità che volentieri prenderebbero le distanze. Rischiare la prossimità a tal punto da essere considerato amico dei pubblicani e dei peccatori. Così Gesù. Così l’invito evangelico. Perché nulla è mai del tutto perduto.

Ecco la dolce speranza che deve abitare il cuore dei discepoli, quella che deve far osare ancora la prossimità. Se il buon grano è buon grano non rischia affatto la contaminazione. A tema, semmai, è come essere buon grano. Il male non lo si combatte estirpandolo: lo si vince con il bene. Combattere il male, infatti, equivale ad usare le sue stesse armi. E ciò non è mai evangelico, anche se in gioco c’è un bene da difendere.

Lasciate…


AUTORE: don Antonio Savone
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